Corte di Cassazione Penale sez. III 7/10/2010 n. 35946

Redazione 07/10/10
Scarica PDF Stampa
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. D.F.P. nata a (omissis) era imputata: A) del reato p. e p. dal D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, art. 41 sanzionato dall’art. 50, lett. A) medesimo D.Lgs. perchè, quale amministratrice unica della società Gruppo Coviello s.r.l. con sede legale in (omissis) e stabilimento in (omissis) zona industriale ometteva, di ridurre al minimo i rischi derivanti dall’esposizione al rumore mediante misure tecniche, organizzative e procedurali, concretamente attuabili, nel caso di specie non dotava i banchi di lavoro rappresentati da lamiera zigrinata di una protezione in guaina o altro materiale atto a limitare il rischio rumore;

B) del reato p. e p. dal combinato disposto del D.P.R. n. 462 del 2001, art. 2 e del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 328 sanzionato dall’art. 389, lett. c) del medesimo D.P.R., art. 81 cpv. c.p., perchè quale amministratrice unica della società Gruppo Coviello s.r.l. con sede legale in (omissis) e stabilimento in (omissis) zona industriale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso di cui al capo che precede, anche in tempi diversi, ometteva la verifica degli impianti di messa a terra prescritto per legge allo scopo di accertarne lo stato di efficienza (reati accertati in (omissis)).

Con Decreto Penale n. 37 del 23/5/2008, notificato il 10/6/2008, la D.F. veniva condannata alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda.

Avverso il predetto decreto penale la sig.ra D.F. proponeva opposizione con atto depositato il 20/6/2008, avanzando richiesta di giudizio abbreviato.

Nel giudizio, svoltosi innanzi al Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di S. Angelo dei Lombardi, l’imputata veniva condannata alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.

2. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per cassazione con quattro motivi.

3. Il ricorso, articolato in quattro motivi, è infondato.

Tale è la prima censura con cui la ricorrente deduce che il reato contestato al capo a) – reato p. e. p. dal D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 41 sanzionato dall’art. 50, lett. a) del medesimo D.Lgs. – risultava abrogato dal D.Lgs. 10 aprile 2006, n. 195, art. 5.

Correttamente ha osservato la Corte d’appello che è vero che all’epoca di accertamento del fatto, l’intero capo 4^ del D.Lgs. 15 agosto 1991, intitolato alla protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione al rumore durante il lavoro, nel quale si trovava compreso l’art. 41 invocato dall’Ufficio del Pubblico Ministero ed applicato, in combinato disposto con il successivo art. 50, dal giudice per le indagini preliminari che ha emesso il decreto penale di condanna opposto, era stato dichiaratamente abrogato art. 5 del D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 257.

Però non vi era stata alcuna abolitici criminis atteso che le prescrizioni in questione erano state riprodotte, ancora all’epoca di accertamento del fatto, nell’art. 49 bis e ss. inseriti nel D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626. Vi è quindi continuità normativa.

L’ulteriore riforma in materia, introdotta con D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 che, a sua volta, all’art. 304, ha espressamente dichiarato abrogato lo stesso D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, non ha depenalizzato la condotta contestata alla D.F., riconducibile alla previsione di cui allo stesso D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 192. 4. Infondata è anche l’ulteriore censura con cui la ricorrente deduce che anche la condotta prevista dal D.P.R. 22 ottobre 2001, n. 462, art. 2 già contemplata dal D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, artt. 40 e 328 è stata espressamente abrogata dal D.P.R. n. 462 del 2001, art. 9, comma 1, lett. A). Per cui, all’epoca dei fatti, la condotta contestata non era prevista dalla legge come reato.

Correttamente ha osservato la Corte d’appello che, anche per ciò che concerne il capo b), sussiste continuità normativa tra il D.P.R. n. 547 del 1955, art. 328 e art. 389, comma 1, lett. c), che punivano l’omessa denuncia dell’impianto di messa a terra ai fini dell’omologazione e il D.P.R. n. 462 del 2001 che, pur avendo previsto all’art. 9, comma 1, l’abrogazione dell’art. 328 citato, ha mantenuto la sanzione penale in relazione alle nuove fattispecie grazie al richiamo contenuto nello stesso art. 9, comma 2. Detta norma, infatti, deve essere interpretata nel senso che la sanzione penale relativa all’abrogato art. 328 è ora relativa alle nuove disposizioni. Cfr. Cass, sez. 3, 04/07/2003 – 10/09/2003, n. 35381, secondo cui sussiste continuità normativa tra il D.P.R. n. 547 del 1955, art. 328 e art. 389, comma 1, lett. C, che punivano l’omessa denuncia dell’impianto di messa a terra ai fini dell’omologazione e il D.P.R. n. 462 del 2001 che pur avendo previsto all’art. 9, comma 1, l’abrogazione dell’art. 328 sopra citato, ha mantenuto la sanzione penale in relazione alle nuove fattispecie grazie al richiamo contenuto nello stesso art. 9, comma 2; detta norma infatti deve essere interpretata nel senso che la sanzione penale relativa all’abrogato art. 328 è ora relativa alle nuove disposizioni.

5. Con la terza censura la ricorrente deduce l’insussistenza dell’elemento soggettivo e l’applicabilità art. 5 c.p..

Si tratta di censura in fatto – in quanto riferita alla valutazione delle risultanze processuali in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato – e come tale inammissibile nel giudizio di legittimità.

Parimenti inammissibile è l’ultima censura con cui la ricorrente lamenta l’eccessività della pena applicata.

Infatti la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p. (Cass., sez. 6, 5 dicembre 1991, *******); ne consegue che è inammissibile la censura che nel giudizio di cassazione miri ad una nuova valutazione della congruità della pena.

6. Pertanto il ricorso nel suo complesso va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
la Corte dichiara rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione