Corte di Cassazione Penale sez. III 5/7/2010 n. 25385

Redazione 05/07/10
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza del 30 maggio 2007 il tribunale di Trento, sezione distaccata di Tione, assolveva S.R. dal reato punito dall’art. 110 c.p., L. n. 633 del 1941, art. 171 octies, contestato per avere, in concorso con altri, a fini fraudolenti, posto in vendita e promosso tramite apposito sito Internet apparati atti ad eludere la codificazione delle trasmissioni televisive ad accesso condizionato della Sky Italia S.r.l., denominati splitter o splitty, idonei a replicare le credenziali contenute all’interno della smart card inserita nell’unità principale e a consentire a più decoder privi di autonoma smart card di ottenere le credenziali di accesso per la decodifica del segnale satellitare.

Il tribunale, riteneva di dovere disattendere la tesi difensiva secondo la quale il fatto non poteva essere considerato reato in quanto la ricezione dei programmi era pur sempre ottenuta tramite una smart card lecitamente acquistata e tale apparecchio non era modificato nel suo funzionamento ma solo negli effetti qualitativi, in considerazione della circostanza che vi era già stato nell’ambito del medesimo procedimento un pronunciamento della Suprema Corte che in sede cautelare aveva affermato che lo splitter costituisce parte di un apparato atto alla decodificazione di trasmissioni televisive e che l’art. 171 octies, vieta anche la messa in vendita di parti di apparati idonei alla decodificazione di trasmissioni ad accesso condizionato, pur indicando la necessità di ulteriori indagini volte ad accertare la possibilità di uso legittimo del congegno.

Escludeva invece l’elemento soggettivo del reato ritenendo necessario per integrare la fattispecie penale il dolo specifico.

In sintesi occorreva per il tribunale la prova che la condotta fosse stata posta in essere per fini fraudolenti e, cioè, con fine di inganno, o alternativamente di profitto o di danno perla controparte contrattuale, ditalchè era da escludere l’elemento soggettivo del reato nel caso in cui l’utilizzazione del sistema integrato costituiva semplice agevolazione alla fruizione di un’utenza alla quale il consumatore aveva diritto di accesso per avere pagato il relativo canone.

La corte di appello di Trento, con la sentenza in epigrafe, pronunciandosi sull’impugnazione del procuratore generale, perveniva alla diversa formula assolutoria secondo cui il fatto non sussiste. Ripercorreva all’uopo le modalità di funzionamento dell’apparato rilevando che lo stesso non era in realtà un autonomo sistema di decrittazione, nè un espugnatore di segnali codificati, nè un duplicatore di schede originali, nè un sistema idoneo a permettere la visione di ciò che non sarebbe stato visibile, ma niente altro che una innovazione tecnologica per la quale non a caso era stato richiesto il brevetto, rivolta a potenziare la resa di funzionamento del sistema originale, unico deputato a decrittare i segnali codificati, nell’ambito consentito. Aggiungeva che obiettivo dell’oggetto era quello di poter condividere con un’unica smart card originale più ricevitori in un ambito di tipo domestico, circoscritto all’abitazione del legittimo fruitore del servizio, dopo che questi aveva sottoscritto il contratto con Sky ed aveva ricevuto quindi libero accesso al bouquet di canali concordati, consentendo l’utilizzo di più apparecchi televisivi.

L’uso anomalo e, cioè, l’estensione della possibilità di accedere al servizio Sky senza pagare il canone a terzi condomini, vicini di casa, ecc., solo se accertato, avrebbe potuto determinare secondo la corte di merito una lesione dei diritti del titolare della privativa. Ma la questione investiva aspetti di fatto da esaminare di volta in volta, nè poteva apparire rilevante secondo i giudici di appello che nel 2006 Sky avesse introdotto la regola della singola scheda sul singolo apparecchio, trattandosi di limite di tipo contrattuale che in caso di violazione poteva generare solo responsabilità civile.

Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione sia Sky Italia S.r.l. nella qualità di parte civile, sia il procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello di Trento il quale sostanzialmente recepisce, facendolo proprio, l’atto di impugnazione della parte civile.

Le questioni prospettate in questa sede dai ricorrenti possono essere sintetizzate come segue:

1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla erronea valutazione dell’insussistenza dell’elemento oggettivo. Si contesta al riguardo che lo splitty possa essere ritenuto una innovazione tecnologica, asserendo invece trattarsi, come già affermato da questa Corte, di una parte di apparato atto alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato. Esso consente infatti la decodifica abusiva del segnale criptato e la sua ricezione su apparecchi televisivi collegati a decoder privi di smart card originali e quindi non abilitati alla regolare ricezione del segnale/programma televisivo. Non si versa quindi in ipotesi di duplicazione del segnale già decodificato, ma si consente, invece, di decifrare il segnale proveniente dalla parabola interrogando la smart card originale.

2) erronea applicazione della legge penale ^contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’erronea valutazione sull’insussistenza dell’elemento soggettivo. Al riguardo, dopo avere premesso che non è consentito scindere fra un uso lecito ed illecito dello splitty, osservano i ricorrenti che il giudice di appello ha erroneamente omesso di considerare che Sky in relazione ad ogni singolo programma trasmesso paga consistenti diritti d’autore e da ciò consegue la necessità che a ogni abbonamento corrisponda una sola smart card su un solo decoder. Ritiene quindi che la locuzione fini fraudolenti che caratterizza il dolo specifico del delitto contestato non possa che essere intesa come in frode dei diritti di privativa spettanti all’emittente ed a riprova di ciò osserva che nel 2006 era stata lanciata l’offerta multivision proprio per consentire con un aumento contenuto della spesa, a chi fosse già in possesso di un abbonamento, di sottoscriverne un altro, al fine di poter visionare in contemporanea su due o più apparecchi lo stesso canale o due o più canali differenti mediante l’utilizzo di un numero di decoder e di smart card corrispondenti al numero degli ulteriori abbonamenti. E concludono le parti ricorrenti rilevando che proprio la mancata sottoscrizione di più abbonamenti si risolve in un ingiusto danno per l’emittente ed in un illecito profitto per l’ente pari al risparmio conseguito per il mancato pagamento del prezzo degli abbonamenti ulteriori.

I ricorsi sono fondati.

L’esame della questione impone una premessa.

Come ricordato dai ricorrenti e, invero, sottolineato anche nelle decisioni di merito, questa corte ha avuto modo di affrontare la questione specifica già in sede cautelare a seguito del ricorso del pubblico ministero avverso il provvedimento del tribunale del riesame che aveva ritenuto non ipotizzatale alcun reato in relazione al sequestro di 614 apparecchi modello splitty presso la società degli imputati (Sez. 3^, n. 43887 del 12/10/2004 Rv. 230080).

Nell’occasione la corte aveva ritenuto ipotizzagli congiuntamente, o quanto meno alternativamente, i reati cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. f bis, e art. 171 octies.

Si rilevava tra l’altro che non può essere negato che lo "splitty" – il quale per funzionare deve essere connesso con un decoder che utilizzi una "smart-card" – costituisce parte integrante di un apparato atto alla decodificazione di trasmissioni televisive e che la L. n. 633 del 1941, art. 181 octies, vieta anche la messa in vendita e l’utilizzo, per uso pubblico o privato, di apparati o parti di apparati idonei alla decodificazione di trasmissioni televisive ad accesso condizionato.

In ogni caso, al fine di focalizzare con maggiore precisione la fattispecie penale di riferimento si evidenziava la necessità di accertare nel prosieguo delle indagini:

– se, attraverso l’inserimento di uno "splitty" nell’apparato principale, ogni decoder collegato, per quanto privo di regolare, autonoma "smart-card" Sky, possa ottenere una "chiave" di decodificazione che consenta la visione di programmi di "pay-tv" ai quali non avrebbe, altrimenti, accesso;

– se lo "splitty" abbia come finalità principale quella di eludere il sistema di "cifratura" del segnale oggi trasmesso da Sky;

– se esistano finalità diverse dalla "elusione" delle misure tecnologiche, per le quali lo "splitty" sia suscettibile di concreta utilizzazione commerciale.

Sulla base delle suddette indicazioni il pubblico ministero conferiva incarico peritale formulando i quesiti ad un proprio consulente.

Quest’ultimo dopo avere descritto le modalità di funzionamento del congegno concludeva nel senso che il dispositivo splitty replica le credenziali contenute all’interno della smart card inserita nell’unità principale e consente a più decoder privi di regolare ed autonoma smart card di ottenere le credenziali per la decodifica di un segnale satellitare protetto da sistemi di cifratura. In particolare il consulente riteneva di dover evidenziare che i dispositivi analizzati sono di fatto un ripetitore delle credenziali fomite attraverso l’acquisto di un abbonamento dell’operatore televisivo satellitare e non di un segnale in quanto, attraverso questo apparato, non avviene la replica di un segnale televisivo, ovvero di un canale telematico, ma delle credenziali necessarie per l’accesso a tali canali. In altre parole non viene distribuito un segnale televisivo a più utenti bensì le sole credenziali necessarie alla visione dei canali televisivi ad accesso condizionato. Aggiungeva il consulente che a suo parere lo splitter aveva unicamente la finalità di eludere la protezione che il gestore attua con la smart card ed allo stato riteneva anche che nessuno utilizzo commerciale diverso da quello elusivo indicato potesse essere ipotizzato per il sistema in questione, E importante rilevare che l’elaborato del consulente del pm non risulta aver tonnato oggetto di contestazione nei giudizi di merito, secondo quanto riferito dai ricorrenti e non smentito in sentenza.

E’ utile precisare, anche, che esula dal compito della corte di cassazione quello di verificare la correttezza tecnica delle affermazioni del consulente e che proprio i limiti imposti al sindacato di legittimità, rendono anche difficile in questa sede apprezzare i richiami fatti da tutti i difensori in udienza a precedenti decisioni di questa corte in relazione a congegni e/o dispositivi assimilabili – secondo i difensori -a quello in esame quali ad esempio gli "******" o le "smart card pirata". Come noto, per le sharer è stata in passato esclusa la configurabilità dell’art. 171 octies ritenendosi mancare la funzione di decodificazione, mentre, invece, le smart card pirata sono state effettivamente fatte rientrare nella previsione dell’art. 171 octies.

Giova ricordare, infatti, che proprio in relazione ad un procedimento in cui era stato contestato l’art. 171 octies, per la utilizzazione di smart card idonee a decodificare abusivamente programmi televisivi la corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui, limitatamente ai fatti commessi dall’entrata in vigore di detto art. 171 octies, fino all’entrata in vigore della L. 7 febbraio 2003, n. 22 (Modifica al D.Lgs. 15 novembre 2000, n. 373, in tema di tutela del diritto d’autore), punisce con sanzione penale, anzichè con la sanzione amministrativa prevista dal D.Lgs. 15 novembre 2000, n. 373, art. 6, (Attuazione della direttiva 98/84/CE sulla tutela dei servizi ad accesso condizionato e dei servizi di accesso condizionato), l’utilizzazione per uso privato di apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, m forma sia analogica sia digitale (sentenza n. 426 del 2004).

Va per completezza rilevato anche che, in ogni caso, la fabbricazione e la detenzione per la distribuzione a fini di lucro dei dispositivi denominati sharer è stata comunque ritenuta penalmente rilevante ai sensi della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. f bis, (Sez. 3^ n. 28912 del 7.7.04 RV 229417).

Ciò posto avuto riguardo alla oggettività del reato contestato possono essere in questa sede anzitutto richiamate le puntualizzazioni già fatte in sede cautelare circa il divieto di messa in vendita e l’utilizzo, per uso pubblico o privato, di apparati o parti di apparati idonei alla decodificazione di trasmissioni televisive ad accesso condizionato e circa la rilevanza dello splitty quale parte integrante di un più articolato impianto. La motivazione della decisione di appello che si contrappone alle argomentazioni richiamate rivela sostanziali errori di legge e vizi argomentativi rilevabili in questa sede a prescindere, si ribadisce, da qualsiasi valutazione di merito. Va in premessa rilevato sul piano generale che in motivazione non si di generalmente conto delle fonti di prova il che rende oggettivamente difficoltoso riscontrare le ragioni di alcune affermazioni contenute in sentenza soprattutto in ordine al funzionamento dell’apparecchio.

In ogni caso, come esattamente indicato dai ricorrenti, la sentenza impugnata si fonda sul rilievo che "lo splitter deve essere inteso come una innovazione tecnologica rivolta a potenziare la resa di funzionamento del sistema originale, unico deputato a decrittare i segnali codificati, senza intrusioni o manipolazioni di sorta,…che tale prodotto, non opera sostituendosi alla master card originale di cui avesse espugnato, rimosso o duplicato le modalità di funzionamento … ma solo agendo come una sorta di prolungamento sulle utenze aggiuntive che venivano abilitate alla visione dei soli canali consentiti sempre ed unicamente attraverso la decodificazione operata dalla scheda originale che lo splitter poneva anche al loro servizio".

Rispetto a tali conclusioni si deve rilevare quanto segue.

Si rivela, anzitutto, meramente assertiva l’affermazione della corte di appello che, a differenza del tribunale, ha ritenuto il congegno in esame estraneo alla funzione di decodificazione del segnale.

Pur ribaltando le conclusioni cui era pervenuto sul punto il primo giudice, la corte di appello omette di confrontarsi con i rilievi espressi nell’elaborato del consulente del PM che rappresenta indubbiamente l’elemento fondante della precedente decisione.

In particolare manca qualsiasi esame delle considerazioni del consulente il quale ha tenuto a puntualizzare che con il sistema splitter non si realizza la replica di un segnale televisivo, ovvero di un canale telematico, ma delle credenziali necessarie per l’accesso a tali canali e che conseguentemente ha concluso nel senso che con il sistema in esame si rende possibile ai decoders collegati con altri apparecchi televisivi, interrogando la smart card originale, di decifrare direttamente il segnale proveniente dalla parabola.

La sentenza di appello sembra inoltre operare una distinzione tra uso normale ed uso anomalo dello splitter riconducendo nella prima ipotesi l’utilizzazione fatta dal nucleo familiare di un abbonato ed asserendo che in questo caso l’uso dello splitter sarebbe addirittura nell’interesse di Sky.

Anche sul punto, tuttavia, la motivazione si presta a censure.

E’ palese anzitutto il profilo di illogicità e di contraddittorietà della motivazione nella misura in cui si profila addirittura l’interesse di Sky ad un utilizzo "normale" dello splitty e contestualmente riconosce invece che la stessa società ha lanciato una campagna di facilitazioni economiche nell’abbonamento per chi è già abbonato consentendo in sostanza la sottoscrizione di un altri abbonamenti al fine di poter visionare in contemporanea su più apparecchi lo stesso canale o canali differenti con autonome smart card, proprio per facilitare l’accesso ai programmi contemporaneamente nell’ambito di un nucleo ristretto di utenza quale può essere quello familiare.

Appare inoltre omissiva nella parte in cui ritiene legittimo l’uso dello splitter sia pure nell’ambito di un contesto ristretto di utenti senza farsi carico di considerare che Fuso stesso comporta comunque un danno per l’ente che a cagione di ciò non potrà beneficiare degli introiti provenienti da ulteriori abbonamenti. Nè vi è dubbio d’altra parte che la finalità di aggirare l’obbligo di pagamento del canone dovuto abbia rilevanza nella valutazione dei "fini fraudolenti" indicati dalla disposizione dell’art. 171 octies.

Ugualmente errata in punto di diritto è anche l’affermazione subordinata secondo cui l’utilizzo dello splitter andrebbe comunque confinato nell’ambito del mero illecito civilistico.

Nessuna disposizione giustifica, infatti, allo stato tale differenziazione, nè in proposito ha pregio affermare che la possibilità di un uso incondizionato della smart card fuori dall’ambito familiare dell’abbonato mediante il sistema splitty rappresenti ipotesi patologica.

E’ di tutta evidenza, infatti, che l’art. 171 octies, vietando la produzione, la vendita, l’importazione, ecc. a fini fraudolenti di apparati o parti di apparati "atti alla decodificazione" di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale, intende perseguire l’astratta idoneità del congegno a consentire il perseguimento delle finalità vietate in ragione della potenzialità offensiva che in esso è insita, a prescindere dall’utilizzo concreto che poi se ne faccia.

La sentenza va quindi annullata con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Trento.

Ricorrono in relazione alla complessità ed alla novità della questione le ragioni per compensare le spese del giudizio tra le parti private.

P.Q.M.
La corte suprema di cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della corte di appello di Trento. Compensa tra le parti private le spese del giudizio di cassazione.

Redazione