Corte di Cassazione Penale sez. III 5/10/2010 n. 35731

Redazione 05/10/10
Scarica PDF Stampa
Svolgimento del processo
Il Gup presso il Tribunale di Torino, con sentenza del 6/10/09, ha dichiarato non luogo a procedere in relazione al reato di cui all’art. 513 c.p., ascritto a S.M. perchè il fatto non costituisce reato.

Il S. era imputato, in concorso con C.S. e M.G., nei cui confronti si è proceduto separatamente, per avere, a mezzo delle condotte fraudolente di cui agli altri capi di imputazione (reati di cui agli artt. 615 ter e 646 c.p.), turbato l’attività della "**************** e c. s.a.s.", in particolare, ponendo in essere le condizioni per uno storno di clientela da quest’ultima società alla Sasso s.n.c..

Il decidente è pervenuto a tale conclusione per due ordini di ragioni: la prima è la presenza della clausola di salvezza "salvo che il fatto non costituisca più grave reato", nel disposto normativo in questione, che renderebbe la fattispecie di reato di cui all’art. 513 c.p. assorbita dai reati più gravi contestati (art. 110 c.p., art. 615 ter, commi 1 e 2, n. 1 ultima ipotesi; art. 167, comma 1, D.Lgs. n. 196 del 2003; art. 646 c.p., comma 1) per i quali è stato pronunciato il decreto che dispone il giudizio; la seconda ragione è la mancanza di dolo specifico, necessario per configurare la fattispecie di reato di turbativa della libertà della industria o del commercio.

Propongono autonomi ricorsi per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ed il Procuratore Generale sede, con gli stessi motivi:

– gli articoli di legge nei quali risulterebbe assorbito il reato di cui all’art. 513 c.p. tutelano interessi del tutto differenti rispetto alla norma in questione, per cui è pienamente configurabile un concorso formale di norme;

– ha errato il giudice nell’escludere la sussistenza del dolo specifico, richiesto per la configurazione del reato di cui all’art. 513 c.p., in quanto la volontà di turbare il mercato ed il commercio della società ********** da parte dei tre imputati è provata dalla stessa condanna per gli altri reati inflitta al M. ed al C. e dal decreto che dispone il giudizio nei confronti del S. per i reati di cui agli artt. 615 ter e 646 c.p. e D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167.

La difesa del prevenuto ha inoltrato in atti memoria nella quale evidenzia la correttezza del decisum e rileva che i ricorsi avanzati si rivelano privi di fondamento, in quanto il decidente, con motivazione chiara e convincente ha ritenuto che nel complesso capo di imputazione, elevato nei confronti del S., il capo E) non avesse alcuna autonomia in concreto, in quanto la condotta in detto capo contestata era la medesima di quella di cui ai capi precedenti (sotto la forma di più gravi reati) per i quali l’imputato è già stato rinviato a giudizio.

Motivi della decisione
I ricorsi si palesano fondati e meritano accoglimento.

Le censure evidenziano che sia l’art. 615 c.p., come l’art. 646 c.p., tutelano beni giuridici diversi da quelli per cui risulta apprestato l’art. 513 c.p.: il primo tutela la privacy e, soprattutto, la inviolabilità del domicilio informatico di una persona e la riservatezza dei dati personali; l’art. 646 c.p. è posto a salvaguardia del diritto di proprietà, che verrebbe violato dal possessore di cosa altrui. I ricorrenti, di poi, rilevano che elemento essenziale per la sussistenza del delitto ex art. 513 c.p. è l’uso di mezzi fraudolenti tesi all’impedimento o alla turbativa dell’esercizio di un industria o di un commercio; occorre perciò un nesso teleologico tra i mezzi fraudolenti e la turbativa suddetta e la norma è diretta a garantire il diritto individuale al libero svolgimento della attività industriale o commerciale.

La previsione normativa di cui all’art. 513 c.p., pertanto, diversamente dalle precedenti norme citate, è posta a salvaguardia dell’ordine economico di un soggetto che svolge attività imprenditoriale, cioè il diritto individuale al libero svolgimento delle attività industriali e commerciali.

La condotta., richiesta per la concretizzazione di tale fattispecie consiste nel fare uso di violenza sulle cose o di mezzi fraudolenti per impedire o turbare l’esercizio di una industria o di un commercio.

Ne consegue che, come osservato nei ricorsi, è pienamente configurabile un concorso formale di norme, in quanto trattasi di reati, con nettezza, oggettivamente diversi, e non, come ritenuto dal giudice per la udienza preliminare che ha affermato l’esclusione di detto concorso, col considerare che l’uso dei mezzi fraudolenti, volti ad assicurare all’agente un profitto, concretizzi solo una ipotesi di concorrenza sleale, ex art. 2598 c.c., comma 3.

Peraltro, come rilevato nei motivi di impugnazione, appare fondato il rilievo sulla sussistenza del dolo specifico in capo al prevenuto, con richiamo agli stessi atti posti in essere dai coimputati del S., già condannati per gli altri reati, visto che costoro hanno svolto, in maniera preordinata, una attività finalizzata a bloccare, turbare e, in ogni caso, pregiudicare l’attività commerciale della **************** e c. s.a.s. a favore del S., ben consapevole quest’ultimo che i risultati dell’attività di C.S. e M.G. avrebbe arrecato danno alla società concorrente e determinato, contestualmente, un evidente utile per sè.

In dipendenza di quanto osservato questo Collegio ritiene che la sentenza impugnata debba essere annullata con rinvio, affinchè il giudice ad quem proceda, facendo buon governo dei principi richiamati.

P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Torino.

Redazione