Corte di Cassazione Penale sez. III 4/7/2008 n. 27109; Pres. Lupo E.

Redazione 04/07/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Ancona confermò la sentenza 17 novembre 2004 del giudice del tribunale di Ascoli Piceno, sezione distaccata di San Benedetto del Tronto, che aveva dichiarato F.N. colpevole del reato di cui alla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 ter, per avere detenuto per la vendita supporti contenenti riproduzioni abusive di opere musicali e audiovisive, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.

Il difensore dell’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione di legge perchè non esiste alcuna prova della responsabilità dell’imputato, la cui sussistenza è stata affermata sulla base di meri indizi privi di alcuna rilevanza. In particolare non è stato accertato nè che egli avesse posto in vendita o commercializzato i supporti in questione nè che gli stessi fossero stati abusivamente riprodotti; 2) violazione di legge perchè non è stato accertato un uso lucrativo dei supporti in questione nè il loro effettivo contenuto; 3) violazione di legge perchè mancava la prova della abusiva duplicazione e perchè i supporti destinati all’utilizzazione con consolle per giuochi non erano qualificabili come programmi per elaboratore; 4) mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va rilevato che, con l’atto di appello, l’imputato aveva specificamente contestato la sussistenza del reato di cui al capo di imputazione perchè mancava la prova sia della abusiva duplicazione dei supporti in questione sia del fatto che fossero effettivamente avvenuti atti di vendita degli stessi.

Su questi due principali motivi di appello la motivazione della sentenza impugnata è in parte del tutto carente ed in parte erronea.

La corte d’appello, infatti, non fornisce alcuna motivazione sulla esistenza della abusiva riproduzione, se non un fugace e generico cenno contenuto nella esposizione del fatto in cui si afferma esclusivamente che i supporti erano "abusivamente riprodotti perchè mancanti del marchio Siae".

Sennonchè la Corte di Giustizia europea – con sentenza resa ai sensi dell’art. 234 del Trattato CEE, emessa l’8 novembre 2007 nel procedimento C-20/05, Schwibbert, ed avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal tribunale di Forlì sulla questione relativa alla compatibilità della normativa italiana che prevede l’apposizione del contrassegno Siae con la direttiva europea 83/189/CEE del 28 marzo 1983, la quale aveva istituito una procedura di informazione obbligatoria nel settore delle norme e delle regole tecniche – ha statuito che l’obbligo di apporre sui dischi compatti contenenti opere d’arte figurativa il contrassegno Siae in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, rientra nel novero delle "regole tecniche", ai sensi della suddetta normativa, che devono essere notificate dallo Stato alla commissione delle Comunità europea, la quale deve poter disporre di informazioni complete al fine di verificare la compatibilità dell’obbligo con il principio di libera circolazione delle merci, con la conseguenza che qualora tali regole tecniche non siano state notificate alla Commissione non possono essere fatte valere nei confronti dei privati e devono essere disapplicate dal giudice nazionale. E’ pacifico che l’Italia non ha mai notificato alla Commissione le norme che prevedono l’apposizione del contrassegno Siae.

Sebbene la citata sentenza Schwibbert si riferisca specificamente ai contrassegni relativi ai CD contenenti riproduzioni di opere d’arte figurativa, essa stabilisce un principio generale, secondo il quale la violazione dell’obbligo di comunicare alla Commissione ogni istituzione di contrassegno Siae successiva alla direttiva 83/189/CEE per supporti di qualsiasi genere (cartaceo, magnetico, plastico, ecc.) e di ogni contenuto (musicale, letterario, figurativo, ecc), rende inapplicabile l’obbligo del contrassegno stesso nei confronti dei privati (Sez. 3^, 12.2.2008, n. 13816, *********; Sez. 7^, 6 marzo 2008, Boujlaib).

Dall’obbligo per il giudice di disapplicazione deriva anche che egli non può considerare la mancanza di contrassegno Siae come indizio della abusiva duplicazione o riproduzione dei supporti (Sez. 7^, 6 marzo 2008, Boujlaib, cit.; Sez. 3^, 12.2.2008, n. 13816, *********, cit.) giacchè altrimenti si continuerebbe a dare al contrassegno quel suo valore essenziale di garanzia della originalità e autenticità dell’opera, che invece non ha acquisito nei confronti dei soggetti privati per effetto della mancata comunicazione alla Commissione europea. Il giudice nazionale non può continuare ad applicare indirettamente le norme sul contrassegno Siae per qualificare, ora per allora, come dovuta l’apposizione del contrassegno stesso e considerare quindi come sintomo di un illecito la sua mancanza.

Nel caso di specie, dunque, la sentenza impugnata dovrebbe essere annullata con rinvio per mancanza o comunque manifesta illogicità della motivazione in punto di prova della abusiva duplicazione dei supporti, affinchè il giudice del rinvio accerti se dalle risultanze processuali emerga una qualche prova della contestata abusiva riproduzione.

Sul secondo motivo di appello (mancata prova di un effettivo atto di vendita) la corte d’appello ha dato una risposta erronea, avendo affermato che la norma contestata punisce espressamente anche la condotta della "detenzione per la vendita" anticipando a tale condotta il momento consumativo del reato. L’affermazione è erronea perchè, come è noto, un reato a consumazione anticipata per tutte le ipotesi previste dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 ter, è stato introdotto solo con le modifiche allo stesso apportate dalla L. 18 agosto 2000, n. 248.

Nel caso di specie, invece, il reato è stato contestato come consumato il 20 luglio 2000, e quindi, ovviamente, allo stesso non potevano applicarsi le norme introdotte dalla L. 18 agosto 2000, n. 248, non ancora entrata in vigore al momento del fatto, bensì quelle di cui al testo della L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 ter, previgente, introdotto dal D.Lgs. 16 novembre 1994, n. 685, art. 17, e quindi modificato con il D.Lgs. 15 marzo 1996, n. 204, art. 1.

Ora, in relazione alla disciplina previgente alle modifiche del 2000, mentre per le videocassette e le opere cinematografiche, stante l’espressa previsione legislativa, era pacifica la punibilità della detenzione ai fini di vendita o di noleggio, per quanto riguardava invece le musicassette e gli altri analoghi supporti aventi contenuto musicale, contemplati esclusivamente dall’art. 171 ter cit., lett. c, la giurisprudenza di questa Corte è da tempo assolutamente costante nel ritenere che la semplice detenzione ai fini di vendita o di noleggio di musicassette e dischi audio privi del contrassegno SIAE ed abusivamente riprodotti, non integrava il reato di cui all’art. 171 ter, lett. c) proprio perchè questo prevedeva esclusivamente la vendita e il noleggio e non anche la detenzione per la vendita o il noleggio (Sez. 3^, 17 ottobre 2000, n. 12149, ****, m. 217.656; Sez. 3^, 21 febbraio 2001, *****, m. 218.979; Sez. 3^, 11 dicembre 2003, n. 5875, Romano, m. 227.841; Sez. 3^, 11 maggio 2004, ********, m.

229.354; Sez. 3^, 17 novembre 2004, *****; Sez. 3^, 16 dicembre 2004, Sciarrappa; Sez. 3^, 21 dicembre 2004, Fallo, m. 230.674; Sez. 3^, 9 febbraio 2005, ******, m. 231.104; Sez. fer., 2 agosto 2005, *******, m. 231.812; Sez. 3^, 5 ottobre 2005, Famedi; Sez. 3^, 25 ottobre 2005, ********; Sez. 3^, 9 novembre 2005, ******, m. 233.297; Sez. 3^, 17 novembre 2005, *******, m. 232.656; Sez. 3^, 7 dicembre 2005, ************, m. 233.020; Sez. 3^, 18 gennaio 2006, n. 15516, ****, m. 233.922; Sez. 3^, 25 gennaio 2006, ******, m. 233.560; Sez. 3^, 3 maggio 2006, ***********; Sez. 3^, 15 marzo 2007, El Hadji, e numerosissime altre; v. anche, in senso solo parzialmente diverso, Sez. 2^, 19 dicembre 2005, El Mani, m. 233.363; Sez. 2^, 19 gennaio 2006, Bagnasco, m. 233.494).

Ciò perchè in materia penale, governata dal divieto di analogia in malam partem e dal principio del favor rei, non è consentito al giudice rimediare ad eventuali ed ipotetiche sviste legislative dilatando la fattispecie penale al di là del suo contenuto tassativo. Invero, laddove il legislatore ha voluto anticipare il momento consumativo del reato equiparando alla vendita o al noleggio la semplice detenzione ai fini di vendita o di noleggio, lo ha espressamente previsto, come nel caso del previgente testo dell’art. 171 ter, lett. b) (che si riferiva appunto anche a chi detiene per gli usi anzidetti) o nel caso del vigente testo dell’art. 171 ter, lett. c) e d), che si riferisce espressamente a chi "detiene per la vendita o la distribuzione" supporti abusivamente duplicati.

In altri termini, secondo l’ormai costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, ai sensi della L. 22 aprile 1941, n. 633, vecchio testo art. 171 ter, la semplice detenzione ai fini di vendita di musicassette e dischi audio abusivamente riprodotti, non integrava il reato di cui alla lett. c), perchè questo puniva soltanto la vendita o il noleggio e non anche la detenzione ai fini di vendita e di noleggio, e non integrava nemmeno il reato di cui alla lett. b), perchè questo, pur contemplando anche la detenzione ai fini di vendita o di noleggio, riguardava però soltanto le opere cinematografiche o audiovisive abusivamente duplicate o riprodotte, mentre le musicassette o i dischi audio sono diversi dalle videocassette o dalle opere cinematografiche o televisive e dai supporti analoghi previsti dalle lett. a) e b), proprio perchè hanno un contenuto musicale e non cinematografico.

Le più recenti decisioni hanno peraltro ritenuto che, tutt’al più, nelle concrete fattispecie, si potrebbe ravvisare, sussistendone i presupposti, la violazione dell’art. 171 ter cit. nella forma del tentativo, atteso che una volta esclusa la sua natura di delitto a consumazione anticipata non sussistono ragioni ostative alla applicabilità dell’art. 56 cod. pen. (Sez. 3^, 21 dicembre 2004, Fallo, m. 230.674; Sez. 3^, 9 febbraio 2005, ******, m. 231.104; Sez. 3^, 9 novembre 2005, ******, m. 233.297; Sez. 3^, 7 dicembre 2005, ************, m. 233.020; ecc.).

La sentenza impugnata dovrebbe dunque essere annullata con rinvio anche in ordine alla qualificazione del fatto, qualora provato, ed in particolare per accertare se eventualmente sussistono i presupposti del tentativo ed in ogni caso per una nuova determinazione della pena.

Sennonchè, va preliminarmente osservato che il reato è stato commesso il 20 luglio 2000 e che quindi la prescrizione si è maturata, in assenza di sospensioni, il 20 gennaio 2008.

La sentenza impugnata deve quindi essere annullata senza rinvio perchè il reato è estinto per prescrizione.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione.

Redazione