Corte di Cassazione Penale sez. III 4/3/2009 n. 9853; Pres. Onorato P.

Redazione 04/03/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Salerno ha affermato la colpevolezza di F.T. in ordine al reato di cui all’art. 674 c.p., ascrittogli perchè, quale titolare del panificio denominato "(omissis)", immetteva i fumi derivanti dall’attività di panificazione nel camino che attraversa l’appartamento sovrastante il predetto esercizio, provocando un aumento della temperatura all’interno dell’immobile, idoneo a recare molestia alle persone.

L’imputato veniva tratto a giudizio per rispondere di detto reato a seguito di denuncia presentata da C.A.M., abitante l’appartamento sovrastante il panificio, la quale lamentava che finchè non si era verificato un cambio di gestione dell’esercizio commerciale il calore proveniente dai locali sottostanti era risultato tollerabile, mentre con la gestione assunta dal F. la temperatura all’interno dell’immobile era arrivata anche a 45 gradi, determinando una situazione non più sopportabile.

In sintesi, il giudice di merito ha accertato in punto di fatto, tramite la perizia disposta in dibattimento, che le temperature della stanza e del pavimento in cui corre la canna fumaria del sottostante panificio risultavano sempre superiori alla temperatura esterna ed a quella delle altre stanze.

Sulla base di tali risultanze la sentenza ha affermato la sussistenza della fattispecie di cui all’art. 674 c.p., ascritta all’imputato, quale conseguenza delle emissioni di calore provocate dalla canna fumaria del panificio e delle conseguenti molestie recate alle persone, stante il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c..

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 420 c.p.p. e ss. in relazione all’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c).

Si deduce che all’udienza del 16.3.2005 il giudice ha disposto il rinvio del dibattimento al 7 luglio 2005, mentre in effetti il giudizio è proseguito in un’udienza anteriore e, cioè, in quella del 6 luglio, nella quale l’imputato ed i suoi difensori non sono comparsi; che, pertanto, la dichiarazione di contumacia dell’imputato, avvenuta in detta udienza, risulta affetta da nullità assoluta per violazione delle disposizioni citate.

Sul punto si osserva inoltre che la data del rinvio disposto all’udienza del 16.3.2005, risultante dal verbale, era quella del 7 luglio e che, successivamente, detta data è stata corretta in quella del 6 luglio 2005; che, però, la data dell’effettivo rinvio era quella originaria, tanto vero che anche i testi del P.M. erano stati citati per l’udienza del 7 luglio.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 674 c.p..

Si deduce che la fattispecie contravvenzionale di cui alla disposizione citata si concreta nella emissione di gas o vapori o fumo, mentre non è affatto sanzionata la emissione di calore, che costituisce il fulcro della condotta attribuita all’imputato; che, peraltro, il panificio gestito dall’imputato non era neppure idoneo a produrre fumi, venendo utilizzato, quale combustibile del forno, il metano.

Si aggiunge che la sentenza impugnata ha ritenuto di poter superare le deduzioni della difesa dell’imputato sul punto, richiamando la giurisprudenza di legittimità, che ha attribuito natura permanente alle emissioni connesse al ciclo produttivo della panificazione, ma sempre riferendosi alla ipotesi della immissione di fumi o vapori e non a quella della emissione di calore.

Si osserva inoltre che nella specie risulta violato il principio della tipicità della fattispecie penale, in quanto l’art. 674 c.p. stabilisce che le emissioni di gas, fumi o vapore, per costituire reato, devono avvenire nei casi non consentiti dalle legge; che, però, nessuna normativa regola le emissioni di calore; che il giudice di merito ha ritenuto di poter colmare il vuoto normativo in materia facendo impropriamente ricorso al criterio civilistico della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. ed ai criteri previsti dall’ISPEL in materia di ambienti di lavoro della pubblica amministrazione.

Con l’ulteriore mezzo di annullamento sì denuncia la manifesta illogicità della sentenza ed il travisamento delle risultanze probatorie afferenti alla perizia di ufficio.

Si osserva che dalle risultanze dell’elaborato peritale era emerso che l’innalzamento della temperatura nell’ambiente sovrastante il panificio non era determinata dall’immissione di fumi, bensì dalla particolare conformazione dei luoghi, privi di aperture, che ne consentissero la necessaria ventilazione; che, inoltre, il perito aveva riscontrato un minimo scostamento della temperatura di detto ambiente, valutato in 1,4 gradi, dai livelli di normale tollerabilità; che il giudice di merito ha ritenuto sussistente il requisito della intollerabilità di tale innalzamento della temperatura in base alla esclusiva considerazione che la parte civile aveva "continuato a coltivare le sue ragioni".

Si denuncia inoltre con altro mezzo di annullamento la violazione del principio di correlazione tra il fatto contestato e quello accertato, deducendosi che nella specie non vi era stata alcuna immissione di fumi dalla canna fumaria dell’impianto di panificazione nell’abitazione sovrastante e che i valori delle temperature accertate, sia dei fumi che dell’innalzamento termico dell’immobile, risultano di gran lunga inferiori a quelli contestati nel capo di imputazione, con la conseguenza che il fatto accertato risulta totalmente diverso da quello contestato.

Con l’ultimo mezzo di annullamento si denuncia, infine, la carenza o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’accertamento dell’elemento psicologico del reato.

Si deduce che nella specie non era ravvisabile l’elemento soggettivo, anche inteso come mera colpa; che, infatti, il forno era rimasto strutturalmente inalterato fin dal momento dell’acquisto da parte del F. e, peraltro, lo stesso era in esercizio dal (omissis) ed era munito di tutte le autorizzazioni amministrative e sanitarie, attestanti la salubrità dei locali adibiti alla panificazione e la innocuità del suo esercizio rispetto alle abitazioni confinanti; nè vi era mai stata alcuna lamentela in ordine al suo funzionamento, sicchè doveva ravvisarsi l’assenza di qualsiasi colpa da parte dell’imputato, che peraltro aveva fatto legittimo affidamento sulle autorizzazioni amministrative esistenti.

Con memoria difensiva la parte civile ha contestato la fondatezza dei motivi di ricorso.

Il secondo motivo di gravame, che risulta assorbente rispetto ad ogni altra censura formulata dal ricorrente, è fondato.

Il fatto contestato all’imputato esula dalla fattispecie tipica prevista dall’art. 674 c.p., che si concreta nel getto o versamento di cose atte ad offendere, molestare o imbrattare le persone in luogo di pubblico transito o in luogo privato ma di comune o altrui uso, ipotesi di cui certamente non ricorrono gli estremi, ovvero nella emissione di gas, vapori o fumo, nei casi non consentiti, atti a cagionare tale effetto.

Neppure di tale seconda ipotesi, però, nel caso in esame ricorrono gli estremi.

Va rilevato sul punto che la giurisprudenza di questa Suprema Corte citata dal giudice di merito si riferisce a fattispecie in cui le molestie erano arrecate direttamente dai vapori provenienti da un impianto di panificazione (cfr. sez. 1, 198903162, *******, RV 180652 ed altre citate in sentenza), ipotesi ben diversa da quella oggetto del presente giudizio.

Nei caso in esame, infatti, le molestie, in ordine al cui accertamento peraltro è ravvisabile il vizio di motivazione denunciato dal ricorrente con il terzo mezzo di annullamento, costituiscono una conseguenza indiretta e non diretta della emissione di fumi attraverso la canna fumaria e, cioè, secondo l’inequivoco accertamento di fatto contenuto in sentenza, sono conseguenza del riscaldamento della predetta canna fumaria e della propagazione del calore attraverso le pareti in cui è incorporata nell’appartamento confinante.

Orbene, tale fenomeno non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dalla fattispecie di cui all’art. 674 c.p..

Va anche rilevato con riferimento alla più recente giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale anche le emissioni di onde elettromagnetiche, se atte a recare molestie alle persone, rientrano nella ipotesi di reato prevista dall’art. 674 c.p., che l’interpretazione della norma in tali sensi è riferita alla nozione di cose (cfr. la recente pronuncia di questa Corte n. 36845/2008), il cui getto produca gli effetti vietati dalla legge, fattispecie di cui, come già rilevato, certamente non ricorrono gli estremi, mentre, nel caso in esame, manca altresì totalmente un fenomeno di getto o di emissione, non potendo essere assimilato ad esso la propagazione del calore attraverso corpi solidi.

Nè, come è noto, è consentita l’applicazione analogica delle disposizioni penali.

Va, infine, rilevato che l’art. 844 c.c. espressamente annovera tra gli elementi, potenzialmente idonei a recare molestie, le immissioni di calore, allorchè superino la normale tollerabilità, non menzionate invece nella fattispecie penale, sicchè risulta evidente che il fenomeno di cui si tratta non è riferibile alla esistenza di interessi collettivi, la cui tutela giustifica l’intervento sanzionatorio dello Stato, ma riguarda esclusivamente il libero godimento del diritto di proprietà, la cui compressione consente il ricorso agli strumenti di natura privatistica che sono posti a tutela di tale diritto.

La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio perchè il fatto non sussiste.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Redazione