Corte di Cassazione Penale sez. III 31/7/2008 n. 32067; Pres. Vitalone C.

Redazione 31/07/08
Scarica PDF Stampa

IN FATTO

Con sentenza del 24 novembre del 2006, la Corte d’appello di Roma confermava quella pronunciata in data 9 febbraio del 2004 dal tribunale della medesima città, con cui M.S. era stato condannato alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 200,00 di multa, quale responsabile, in concorso di circostanze attenuanti generiche, del reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lett. c) e successive modificazioni, per avere detenuto per la vendita 115 musicassette, 95 CD musicali e 114 CD per play station abusivamente riprodotti e privi del contrassegno della SIAE. Fatto accertato in (omissis).

La Corte romana, riteneva configuratale il reato perchè l’imputato, già condannato per fatti analoghi, era stato sorpreso alla guida della propria autovettura con i supporti contraffatti. La destinazione alla vendita era stata desunta dal rilevante numero dei supporti e dalla riproduzione delle locandine originali.

Ricorre per Cassazione l’imputato deducendo:

mancanza di motivazione per avere la Corte presuntivamente ritenuto una condotta finalizzata alla vendita in luogo della mera detenzione di quanto in sequestro;

assoluta mancanza di motivazione in ordine alla valutazione della prova circa la destinazione alla vendita.

IN DIRITTOPreliminarmente si rileva che non esplica alcun effetto nella fattispecie in esame la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea dell’8 novembre del 2007 nel processo Schwibert resa a norma dell’art. 234 del Trattato CEE perchè essa si riferisce alla disposizione di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lettera d) ed alle altre disposizioni incentrate sull’apposizione del contrassegno come condizione di commercializzazione del supporto contenente opere dell’ingegno (ad esempio art. 171 bis), ma non riguarda in alcun modo le violazioni sostanziali del diritto d’autore, come l’illecita duplicazione, la vendita o la detenzione per la vendita di supporti illecitamente duplicati. In tali casi la mancanza del contrassegno assume solo un valore indiziario idoneo a suffragare insieme con altri elementi l’illecita duplicazione.

In proposito si deve puntualizzare che nella prassi sovente si fa riferimento alla mancanza del contrassegno, non per contestare un’autonoma figura di reato rispetto alla duplicazione, ma solo per evidenziale che la sua mancanza costituisce la riprova dell’illecita duplicazione.

In questi casi non si pone alcun problema di disapplicazione della norma statale in contrasto con il diritto comunitario perchè il fatto contestato non riguarda la mera mancanza del contrassegno nei casi in cui la sua apposizione sia prevista e quindi la violazione di una norma contenente una regola tecnica, ma la violazione sostanziale del diritto di autore ossia l’illecita duplicazione o detenzione di supporti illecitamente duplicati. L’inesistenza del contrassegno continua a mantenere valenza indiziaria della illecita riproduzione, ma non è elemento di tale significatività ed univocità da sorreggere sempre la conclusione in ordine alla abusiva o illecita riproduzione dell’opera protetta. Invero, la mancanza del contrassegno non dimostra sempre e comunque l’illecita provenienza del prodotto e ciò perchè il contrassegno, come risulta dalla citata L. n. 633 del 1941, art. 181 bis, comma 3, può non essere apposto su determinate opere indicate dalla legge o dallo stesso regolamento.

Se però trattasi di opera sulla quale l’apposizione è obbligatoria, la mancanza assume valenza indiziaria in ordine all’illecita provenienza del supporto , ma non può da sola giustificare l’affermazione di responsabilità per l’illegittimità del contenuto perchè la presenza del contrassegno non dimostra in maniera univoca il rispetto della normativa sul diritto d’autore e viceversa la sua mancanza non evidenzia con altrettanta univocità la violazione delle norme sul diritto d’autore Possono esservi infatti prodotti muniti del contrassegno che tuttavia violano il diritto d’autore (si pensi ai prodotti plagiati o commercializzati in numero superiore a quello consentito), viceversa vi possono essere prodotti privi del contrassegno ma non riprodotti o smerciati abusivamente dal titolare del diritto. Invero il contrassegno viene rilasciato secondo le modalità stabilite nel regolamento approvato con il D.P.C.M. n. 338 del 2001 in assenza di un esame approfondito circa la titolarità dei diritti da parte di chi ne ha fatto richiesta.

Tuttavia il contrassegno, pur potendo in ipotesi essere rilasciato a chi non ne ha diritto, nella stragrande maggioranza dei casi serve proprio a distinguere il prodotto originale da quello contraffatto e costituisce pertanto uno strumento spesso utilizzato dalla Polizia e dalla stessa Magistratura per distinguere il prodotto lecito da quello illecito. Per tale ragione continua a costituire indizio della contraffazione pur dopo la sentenza della Corte di Giustizia Europea alla quale prima si è fatto riferimento. L’affermazione contenuta nella sentenza del 6 marzo del 2008, Bouijlaib, secondo la quale a seguito della sentenza Schwibbert la mancanza del contrassegno avrebbe perduto anche qualsiasi valore indiziario proprio perchè non esiste per il privato l’obbligo della sua apposizione, non è condivisibile. Invero l’obbligo di apporre sulle copie delle opere dell’ingegno un contrassegno identificativo, che nello Stato italiano è rilasciato dalla SIAE, che è preposta alla tutela di diritti d’autore, non è previsto da tutti i Paesi della Comunità europea e anche per tale ragione si è ritenuto che la sua imposizione costituisca una specificazione tecnica . La sentenza della Corte di giustizia CE prima citata ha stabilito infatti che la norma contenente l’obbligo dell’apposizione del contrassegno si risolve nell’esplicitazione di una regola tecnica contenente un condizione per la libera commercializzazione del prodotto, ancorchè legittimo, nell’ambito comunitario. Il contrassegno però, per la legislazione italiana, non ha solo lo scopo di condizionare la libera circolazione del prodotto,ma anche quello di favorire una rapida identificazione dei prodotti abusivi, assicurando così una tutela più incisiva e pronta alle violazioni del diritto d’autore.

Ha quindi uno scopo più generale che è quello di garantire il consumatore sull’originalità del prodotto e soprattutto di facilitare la repressione di reati in materia di violazione dei diritti d’autore e tale scopo non contrasta con il diritto comunitario perchè non ostacola la circolazione dei beni, quando non è illecita.

Di conseguenza la decisione Schwibbert impone la disapplicazione della norma contenente l’obbligo del contrassegno allorchè tale elemento lo si utilizza al solo scopo di discriminare la libera circolazione del prodotto,come è avvenuto nel caso sottoposto all’esame della Corte di Giustizia, ma non quando lo si valuti come indizio per sostenere, in concorso con altri elementi, la illegittima duplicazione. Per anni, come già accennato, la Polizia e la stessa Magistratura hanno utilizzato la mancanza del contrassegno come indizio per distinguere il prodotto genuino da quello contraffatto (cfr. Cass. sez. 3, n 1746 del 1999 in cui si è sottolineato che l’assenza del contrassegno è un indice univoco dell’illecita riproduzione) La diversa opinione comporterebbe la disapplicazione non solo delle norme incentrate sull’obbligo dell’apposizione del contrassegno, ma anche di altre norme penali riguardanti la violazione sostanziale del diritto d’autore che non sono state in alcuno modo incise dalla pronuncia della Corte di Giustizia. La procedura d’informazione prevista dalla direttiva posta a base della decisione Schibbert è rivolta a consentire alla Commissione di verificare che le regole tecniche stabilite da uno Stato membro non costituiscano ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’ambito comunitario, ostacolo peraltro ammissibile quando è necessario per soddisfare esigenze imperative rivolte al conseguimento di un interesse generale. Quindi le norme che contengono riferimenti al contrassegno SIAE devono essere disapplicate dal giudice italiano solo allorchè la sua apposizione venga considerata condizione indispensabile per la libera commercializzazione del prodotto perchè solo in tale caso la normativa statale si pone in contrasto con il diritto comunitario e non pure quando il contrassegno venga considerato indizio d’illecita duplicazione perchè tale valore indiziario, essendo diretto a soddisfare più agevolmente la repressione di determinati reati;

essendo cioè diretto a soddisfare interessi più generali e diversi da quelli attinenti alla libera circolazione dei beni nell’ambito comunitario non si pone in contrasto con la direttiva richiamata nella sentenza della Corte di Giustizia CE prima indicata.

La stessa Corte di Giustizia CE, con la sentenza del 6 novembre del 2003,********, ha stabilito che le restrizioni imposte al diritto comunitario con la normativa penale nazionale sono giustificate allorchè siano dettate da motivi imperativi di interesse generale, siano idonee e necessarie al perseguimento di tale scopo e siano applicate in modo non discriminatorio.

Ha precisato che tra tali motivi non possono rientrare quelli fiscali (in quella fattispecie si discuteva della norma statale sul gioco e le scommesse), ma può costituire valido motivo di interesse generale la tutela del consumatore o la prevenzione della frode.

Il contrassegno SIAE serve, come prima precisato, anche a tutelare il consumatore perchè distingue il prodotto originale da quello contraffatto e serve a prevenire le frodi, finalità queste che non sono in contrasto con il diritto comunitario.

D’altra parte, a prescindere dalla sentenza Schwibbert, non sempre il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lettera d), quando trattasi del medesimo supporto, concorre con le altre fattispecie previste dalla citata norma, in quanto vi sono ipotesi logicamente incompatibili con esso: ad esempio chi consapevolmente duplica o pone in commercio CD illecitamente duplicati non può rispondere anche del delitto di detenzione dei medesimi supporti privi di contrassegno, in quanto non può chiedere alla SIAE l’apposizione del bollino perchè la contraffazione sarebbe immediatamente scoperta. In tali casi la mancanza del contrassegno SIAE,che non poteva essere richiesto,non determina un reale aggravamento del disvalore penale del fatto della vendita del prodotto duplicato e non appare pertanto suscettibile di integrare un concorso di reati. La legge sul diritto d’autore, L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, lettera d) punisce chi detiene, vende, ecc. supporti contenenti opere dell’ingegno privi del contrassegno nei casi in cui tale applicazione sia prevista dalla legge. Questa non prevede l’apposizione del contrassegno sui supporti contraffatti proprio perchè lo scopo del contrassegno, come sopra precisato, è anche quello di contraddistinguere il prodotto legittimo da quello contraffatto. In definitiva l’eventuale realizzazione da parte del medesimo soggetto delle condotte di vendita e di noleggio del materiale abusivo di cui alla citata legge, art. 171 ter, lettera d), non determina un reale aggravamento del disvalore del comportamento del reo rispetto alla condotta di sola vendita o di solo noleggio del supporto duplicato di cui alla lettera c) e pertanto non è suscettibile di integrare un concorso di reati Per stabilire se esista o no un concorso tra due reati oltre che alla diversità degli oggetti tutelati, si deve tenere conto della compatibilità logica delle due fattispecie e soprattutto della ragionevolezza del trattamento sanzionatorie complessivamente applicabile (cfr su questo ultimo punto Cass. sez. 6, 17 novembre 1999 n. 230; Sez. 4, 7 aprile del 2005 n 22588).

Nella fattispecie non si è dubitato dell’illecita duplicazione, che non è stata contestata neppure dal prevenuto, il quale ha censurato l’impugnata sentenza sotto altri profili.

Ciò premesso, il collegio rileva che il reato si è estinto per prescrizione essendo maturato alla data del 29 marzo del 2007 il termine prescrizionale prorogato di anni sette e mesi sei, secondo la disciplina, applicabile alla fattispecie ratione temporis, vigente prima della L. n. 251 del 2005.

Il ricorso non è manifestamente infondato poichè l’imputato non è stato sorpreso mentre vendeva i supporti contraffatti ed all’epoca del fatto ossia prima dell’entrata in vigore della L. 18 agosto 2000, n. 248, la semplice detenzione di supporti musicali illecitamente riprodotti non era punita come atto di vendita, ma poteva configurare il tentativo (cfr. per tutte Cass. n. 12345 del 2005).

P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 620 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè estinto per prescrizione il reato ascritto.

Redazione