Corte di Cassazione Penale sez. III 31/7/2008 n. 32064; Pres. Vitalone C.

Redazione 31/07/08
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IN FATTO

Con sentenza del 17 gennaio del 2007, la corte d’appello di Catania confermava quella pronunciata l’11 luglio del 2002 dal tribunale della medesima città, con cui D.A. era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 1800,00 di multa, quale responsabile, del reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 2 e successive modificazioni, per avere detenuto per la vendita 280 CD per play station, 395 CD musicali e 925 musicassette abusivamente riprodotti e privi del contrassegno della SIAE. Fatto accertato in Catania il 30 aprile del 2001.

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore denunciando mancanza di motivazione in ordine al diniego del beneficio della conversione della pena detentiva.

Con memoria depositata in data odierna il difensore, richiamando la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea dell’8 novembre del 2007 Schwibbert, ha chiesto l’assoluzione dal delitto di cui all’art. 171 ter, lett. d).

IN DIRITTO

Preliminarmente si rileva che non esplica alcun effetto nella fattispecie in esame la sentenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea dell’8 novembre del 2007 nel processo Schwibbert resa a norma dell’art. 234 del Trattato CEE perchè essa si riferisce alla disposizione di cui all’art. 171 ter, lett. d) ed alle altre disposizioni incentrate sull’apposizione del contrassegno come condizione di commercializzazione del supporto contenente opere dell’ingegno (ad esempio art. 171 bis), ma non riguarda in alcun modo le violazioni sostanziali del diritto d’autore, come l’illecita duplicazione, la vendita o la detenzione per la vendita di supporti illecitamente duplicati.

In tali casi la mancanza del contrassegno assume solo un valore indiziario idoneo a suffragare insieme con altri elementi l’illecita duplicazione.

In proposito si deve rilevare che nella prassi sovente si fa riferimento alla sua mancanza non per contestare un’autonoma figura di reato rispetto alla duplicazione ma solo per evidenziare che la sua mancanza costituisce la riprova dell’illecita duplicazione.

In questi casi non si pone alcun problema di disapplicazione della norma perchè il fatto contestato non riguarda la mera mancanza del contrassegno nei casi in cui la sua apposizione sia prevista e quindi la violazione di una norma contenente una regola tecnica, ma la violazione sostanziale del diritto di autore ossia l’illecita duplicazione o detenzione di supporti illecitamente duplicati.

L’inesistenza del contrassegno continua a mantenere valenza indiziaria della illecita riproduzione, ma non è elemento di tale significatività ed univocità da sorreggere sempre la conclusione in ordine alla abusiva o illecita riproduzione dell’opera protetta.

Invero, la mancanza del contrassegno non dimostra sempre e comunque l’illecita provenienza del prodotto e ciò perchè il contrassegno, come risulta dall’art. 181 bis, comma 3 della Legge sul diritto di autore, può non essere apposto su determinate opere indicate dalla legge o dallo stesso regolamento.

Se però trattasi di opera sulla quale l’apposizione è obbligatoria, la mancanza assume valenza indiziaria in ordine all’illecita provenienza del supporto, ma non può da sola giustificare l’affermazione di responsabilità per l’illegittimità del contenuto perchè la presenza del contrassegno non dimostra in maniera univoca il rispetto della normativa sul diritto d’autore e viceversa la sua mancanza non evidenzia con altrettanta univocità la violazione delle norme sul diritto d’autore.

Possono esservi infatti prodotti muniti del contrassegno che tuttavia violano il diritto d’autore (si pensi ai prodotti plagiati o commercializzati in numero superiore a quello consentito), viceversa vi possono essere prodotti privi del contrassegno ma non riprodotti o smerciati abusivamente dal titolare del diritto.

Invero il contrassegno viene rilasciato secondo le modalità stabilite nel regolamento approvato con il D.P.C.M. n. 338 del 2001 in assenza di un esame approfondito circa la titolarità dei diritti da parte di chi ne ha fatto richiesta.

Tuttavia il contrassegno, pur potendo in ipotesi essere rilasciato a chi non ne ha diritto, nella stragrande maggioranza dei casi serve proprio a distinguere il prodotto genuino da quello contraffatto e costituisce pertanto uno strumento spesso utilizzato dalla Polizia e dalla stessa Magistratura per distinguere il prodotto lecito da quello illecito.

L’affermazione contenuta nella sentenza del 6 marzo del 2008, Bouijlaib, secondo la quale a seguito della sentenza Schwibert la mancanza del contrassegno avrebbe perduto qualsiasi valore indiziario proprio perchè non esiste per il privato l’obbligo della sua apposizione, non merita di essere condivisa.

Invero l’obbligo di apporre sulle copie delle opere dell’ingegno un contrassegno identificativo rilasciato dalla SIAE, che è preposta alla tutela di diritti d’autore, non è previsto da tutti i Paesi della Comunità europea e per tale ragione la norma che contiene tale disposizione è stata considerata specificazione tecnica.

La sentenza della Corte di giustizia CE prima citata ha stabilito infatti che la norma contenente l’obbligo dell’apposizione del contrassegno si risolve nell’esplicitazione di una regola tecnica contenente un condizione per la libera commercializzazione del prodotto, ancorchè legittimo, nell’ambito comunitario.

Il contrassegno però per la legislazione italiana non ha solo lo scopo di condizionare la libera circolazione del prodotto, ma anche quello di favorire una rapida identificazione dei prodotti abusivi, assicurando così una tutela più incisiva e pronta alle violazioni del diritto d’autore.

Ha quindi uno scopo più generale che è quello di facilitare la repressione di reati in materia di violazione dei diritti d’autore e tale scopo non contrasta con il diritto comunitario perchè non ostacola la legittima circolazione dei beni.

Di conseguenza la decisione Schwibbert impone la disapplicazione della norma contenente l’obbligo del contrassegno allorchè tale elemento lo si utilizza per discriminare la libera circolazione del prodotto, ma non quando lo si valuti come indizio per sostenere, in concorso con altri elementi, la illegittima duplicazione.

Per anni, come già accennato, la Polizia e la stessa Magistratura hanno utilizzato la mancanza del contrassegno come indizio per distinguere il prodotto genuino da quello contraffatto (cfr. Cass. Sez. 3^ n. 1746 del 1999 in cui si è sottolineato che l’assenza del contrassegno è un indice univoco dell’illecita riproduzione).

La diversa opinione comporterebbe la disapplicazione non solo delle norme incentrate sull’obbligo dell’apposizione del contrassegno, ma anche di altre norme penali riguardanti la violazione sostanziale del diritto d’autore che non sono state in alcuno modo incise dalla pronuncia della Corte di Giustizia.

Come prima accennato la procedura d’informazione è rivolta a consentire alla Commissione di verificare che le regole tecniche stabilite da uno Stato membro non costituiscano ostacolo alla libera circolazione delle merci nell’ambito comunitario, ostacolo ammissibile solo se necessario per soddisfare esigenze imperative rivolte al conseguimento di un interesse generale.

Quindi le norme che contengono riferimenti al contrassegno SIAE devono essere disapplicate dal giudice italiano solo quando la sua apposizione venga considerata condizione indispensabile per la libera commercializzazione del prodotto perchè solo in tale caso la normativa statale si pone in contrasto con il diritto comunitario e non pure quando servono a prevenire le frodi o a garantire il consumatore.

La stessa Corte di Giustizia CE, con la sentenza del 6 novembre del 2003, ********, ha stabilito che le restrizioni imposte al diritto comunitario con la normativa penale nazionale sono giustificate allorchè siano dettate da motivi imperativi di interesse generale, siano idonee e necessarie al perseguimento di tale scopo e siano applicate in modo non discriminatorio.

Ha precisato che tra tali motivi non potevano rientrare quelli fiscali(in quella fattispecie si discuteva della norma statale sul gioco e le scommesse), ma poteva costituire valido motivo di interesse generale la tutela del consumatore o la prevenzione della frode.

Il contrassegno SIAE serve, come prima precisato, anche a tutelare il consumatore perchè distingue il prodotto originale da quello contraffatto e serve a prevenire le frodi, finalità queste che non sono in contrasto con il diritto comunitario.

D’altra parte, a prescindere dalla sentenza Scwibbert, non sempre il reato di cui all’art. 171 ter, comma 1, lett. d), quando trattasi del medesimo supporto, concorre con le altre ipotesi previste dalla citata norma, in quanto vi sono ipotesi incompatibili con esso: ad esempio chi consapevolmente pone in commercio CD illecitamente duplicati non può rispondere anche del delitto di detenzione dei medesimi supporti privi di contrassegno, in quanto il commerciante di supporti illecitamente duplicati non può chiedere alla SIAE l’apposizione del contrassegno perchè la contraffazione sarebbe immediatamente scoperta.

In tali casi la mancanza del contrassegno SIAE, che non poteva essere richiesto, non determina un reale aggravamento del disvalore penale del fatto di vendere prodotti contraffatti e non appare pertanto suscettibile di integrare un concorso di reati.

Nella fattispecie non si è dubitato dell’illecita duplicazione, che non è stata contestata neppure dal prevenuto, il quale ha censurato l’impugnata sentenza solo sotto il profilo sanzionatorio.

All’imputato non è stata contestata l’ipotesi di cui all’art. 171 ter, comma 1, lett. d), ma quella di cui al comma 2 dello stesso articolo, il quale, a seguito della riformulazione attuata con la L. n 248 del 2000, secondo l’orientamento di questa corte, configura un’ipotesi autonoma di reato e non una circostanza aggravante delle ipotesi di cui al comma 1 (Cass. 42190 del 2003; n 38723 del 2004).

Fatta questa premessa, il ricorso è fondato e va pertanto accolto.

Secondo l’orientamento più recente e peraltro prevalente di questa Corte (cfr. Cass. N. 18731 del 2007; 41442 del 2005),la sostituzione della pena detentiva breve, non pregiudica l’applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, in quanto la pena sostitutiva è a tutti gli effetti una sanzione penale che può essere sospesa.

Di conseguenza è illegittima la decisione della corte d’appello che ha rigettato l’istanza di sostituzione per il semplice fatto che era stato già concesso al prevenuto il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Pertanto la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Catania limitatamente alla statuizione relativa alla sostituzione della pena.

P.Q.M.

La Corte, letto l’art. 623 c.p.p. annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione relativa alla sostituzione della pena con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania.

Redazione