Corte di Cassazione Penale sez. III 26/9/2008 n. 36845; Pres. Lupo E.

Redazione 26/09/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il cardinale T.R., presidente del Comitato di gestione, mons. B.P., Direttore generale, e l’ing. P.C., vice direttore tecnico, vennero rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 674 cod. pen., per avere, quali responsabili della Radio Vaticana, diffuso, tramite gli impianti siti in (omissis), radiazioni elettromagnetiche atte ad offendere o molestare persone residenti nelle aree circostanti, ed in particolare a (omissis), arrecando alle stesse disagio, disturbo, fastidio e turbamento.

Con sentenza del 19 febbraio 2002 il giudice del tribunale di Roma dichiarò il difetto di giurisdizione ai sensi dell’art. 11 del Trattato 11 febbraio 1929 tra Italia e Santa Sede. La sentenza venne però annullata da questa Corte.

A seguito dell’annullamento, il giudice del tribunale di Roma, con sentenza 9 maggio 2005, dichiarò il card. T. e mons. B. responsabili del reato loro ascritto (il primo fino al 31.12.2000) e li condannò alla pena di dieci giorni di arresto ciascuno, con la sospensione condizionale della pena e con la condanna al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata sede. Assolse invece l’ing. P. per non aver commesso il fatto.

In sintesi, osservò, tra l’altro, il giudice:

– che l’emissione di onde elettromagnetiche poteva farsi rientrare, in via di interpretazione estensiva e non di applicazione analogica, nell’ambito della prima delle due ipotesi previste da 674 cod. pen.;

– che per la sussistenza del reato non era necessario il superamento dei limiti imposti dalle leggi speciali, perchè la clausola "nei casi non consentiti dalla legge" si riferisce esclusivamente alla seconda ipotesi di reato di cui all’art. 674 cod. pen., ossia alle sole emissioni di gas, vapori e fumo;

– che nella specie potevano ritenersi sussistenti, oltre all’attitudine a molestare delle onde elettromagnetiche emesse, anche le molestie in concreto arrecate alle persone residenti nelle zone circostanti;

– che, difatti, doveva considerarsi molestia anche il semplice arrecare generalizzata preoccupazione ed allarme circa eventuali danni alla salute da esposizione ad emissioni inquinanti;

– che era quindi irrilevante la mancanza di una attitudine alla "offesa" alla persona, la quale richiede la prova della idoneità concreta delle onde elettromagnetiche a nuocere alla salute delle persone, prova che nella specie non era stata fornita;

– che era altresì irrilevante l’entrata in vigore della L. 22 febbraio 2001, n. 36, che disciplina l’emissione delle onde elettromagnetiche e ne stabilisce i limiti, configurando all’art. 15 il loro superamento come un illecito amministrativo, perchè tale illecito può concorrere con il reato di cui all’art. 674 cod. pen., qualora, come nella specie, sia provato che è stata arrecata molestia alle persone, dal momento che tra le due disposizioni non è applicabile il principio di specialità;

– che doveva presumersi che i limiti fissati dal D.M. n. 381 del 1998, fossero stati prima del 2002 superati perchè un teste aveva dichiarato che la Radio Vaticana aveva accettato di rientrare nei limiti previsti "per cortesia diplomatica" in seguito all’accordo raggiunto con lo Stato italiano l’8 giugno 2001 e perchè i disturbi agli apparecchi domestici si erano attenuati dopo il 2002, e che comunque le questioni relative al superamento dei limiti non incidevano sulla sussistenza del reato anche successivamente al 2002, attesa la presenza di rilevanti molestie fino al febbraio 2004.

2. La corte d’appello di Roma, con sentenza del 4 giugno 2007, assolse invece gli imputati perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato. In sintesi, la corte d’appello ritenne che la sussunzione della fattispecie di emissione di onde elettromagnetiche nella previsione di cui alla prima parte dell’art. 674 cod. pen., costituiva il frutto non già di una semplice interpretazione estensiva, bensì di una vera e propria applicazione analogica della norma penale ad una diversa fattispecie caratterizzata dalla identità di ratio, applicazione che nel nostro ordinamento non è consentita in materia penale.

3.1. Avvero questa sentenza propone ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Roma deducendo erronea applicazione della legge penale e sostenendo, con richiami alla giurisprudenza di questa Corte, che l’art. 674 cod. pen., ovviamente con riferimento alla sua prima parte, deve applicarsi anche al fenomeno della emissione di onde elettromagnetiche non in forza di una applicazione analogica ma per mera interpretazione estensiva. Fra le altre argomentazioni sostiene che non è di ostacolo ad una ampia interpretazione del termine "cosa", che comprenda anche le onde elettromagnetiche, il fatto che l’art. 674 abbia previsto una seconda ipotesi con la tassativa specificazione delle sole emissioni di gas, vapori o fumi, perchè la seconda parte della disposizione non è affatto equivalente alla prima, se non altro in quanto, diversamente dalla prima, vieta le emissioni solo se ciò avvenga nei casi non consentiti dalla legge.

3.2. Propone ricorso per cassazione anche l’Associazione VAS, Verdi Ambiente e ******à, a mezzo degli avv. **************** e ************************, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione perchè nella specie si è in presenza di una interpretazione letterale (ancor più che estensiva) dell’art. 674 cod. pen., e non di una applicazione analogica. In particolare, sostiene che è ben possibile ricondurre le onde elettromagnetiche al concetto di cosa e che è ancor più pacifico l’inquadramento del fenomeno nella più ampia categoria delle emissioni di gas, fumi e vapori.

3.3. Propone ricorso per cassazione Cittadinanzattiva o.n.l.u.s., a mezzo dell’avv. ************, deducendo erronea applicazione della legge penale e sostenendo che la fattispecie è sussumibile nell’art. 674 cod. pen., senza dar luogo ad alcuna applicazione analogica, poichè le energie e le onde elettromagnetiche sono "cose" per loro natura propria. In particolare, critica la tesi della sentenza impugnata secondo cui la nozione di "cosa" sarebbe indirettamente delimitata ai soli oggetti solidi e liquidi dalla espressa previsione di gas, vapori e fumi nel secondo periodo della disposizione, e ciò perchè per questi ultimi la punibilità della emissione è limitata ai soli casi non consentiti dalla legge, sicchè vi era la necessità di una regolamentazione specifica di ciò che va considerato come una species del più ampio genus di cui al primo periodo. Allo stesso modo, anche fra l’espressione "provocare emissioni" e "gettare" vi è lo stesso rapporto fra specie e genere, senza che ciò implichi la sottrazione del significato di "emettere" dal verbo più generale "gettare".

3.4. M.R., a mezzo dell’avv. ********************, propone ricorso per cassazione deducendo inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 674 cod. pen., e degli artt. 12 e 14 preleggi, e sostenendo anch’egli che l’emissione di onde elettromagnetiche rientra nella previsione dell’art. 674 cod. pen., prima parte.

Osserva, in particolare, che non può ritenersi che la prima parte dell’articolo regoli il getto di cose materiali e la seconda di quelle non materiali, e tanto meno che le onde elettromagnetiche siano escluse da entrambe le ipotesi, dovendo invece ritenersi che la seconda ipotesi prende in considerazione solo le cose diffuse a seguito di lecite attività produttive oggetto di disciplina da parte di leggi speciali.

3.5. Propongono ricorso per cassazione anche R.A. e A.M., in proprio e quali esercenti la potestà sui figli minori F. e RO.Fl., Z.V. e P. L., in proprio e quali esercenti la potestà sui figli minori M. e Z.S., a mezzo dell’avv. ***************** M..

Il ricorso è identico a quello di M.R..

3.6. Propone ricorso per cassazione il Codacons, Coordinamento dei comitati e delle associazioni di tutela dell’ambiente e dei consumatori, a mezzo dell’avv. RIENZI *****, deducendo:

a) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 674 cod. pen., il quale comprende anche l’emissione di onde elettromagnetiche, che rientrano nel concetto di cosa. b) erronea applicazione di legge e sussistenza dello elemento soggettivo del resto. c) violazione di legge perchè l’entrata in vigore della L. n. 36 del 2001, art. 15, non comporta che il fatto sia considerato reato solo quando sono superati i limiti di legge. Ed infatti, l’art. 15 cit. sanziona solo le emissioni che superano i limiti di legge, mentre l’art. 674 cod. pen., punisce, a prescindere dal superamento dei limiti di legge, il solo fatto di avere cagionato offesa o molestia alla persona, tutelando le due norme due diversi interessi giuridici.

Nella specie comunque sono stati superati i limiti di legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Il quesito posto da tutti i ricorrenti è se sia giuridicamente possibile e corretta una interpretazione che inquadri il fenomeno della emissione di onde elettromagnetiche nella fattispecie dell’art. 674 cod. pen., e, più in particolare, se tale eventuale inquadramento costituisca il risultato di una mera interpretazione estensiva della disposizione ovvero se ad esso possa in realtà pervenirsi soltanto mediante una – non consentita in campo penale – applicazione analogica della disposizione stessa ad una diversa fattispecie caratterizzata dalla eadem ratio.

5.1. Vanno fatte due osservazioni preliminari.

In primo luogo, è pacifico e non contestato che il criterio ermeneutico da adottare non è quello soggettivo ma quello oggettivo, in base al quale la legge va interpretata non secondo la volontà storica del legislatore che l’ha promulgata, ma secondo il senso proprio ed oggettivo delle parole che compongono la disposizione, interpretate nel momento in cui la stessa deve essere applicata ed alla luce del sistema normativo vigente in tale momento. E’ nozione comune, del resto, che il significato di ogni norma dell’ordinamento giuridico è condizionato da tutte le altre norme che in quel dato momento compongono l’ordinamento stesso. Nell’interpretare il disposto dell’art. 674 cod. pen., quindi, non ci si può limitare a considerare solo lo stretto significato letterale delle espressioni usate dal legislatore dell’epoca o il solo complesso delle norme all’epoca vigenti, ma occorre valutare l’intero sistema normativo vigente al momento in cui la disposizione deve essere applicata, per cercare di individuare una volontà oggettiva ed attuale del legislatore ricavabile appunto da tutto l’ordinamento, ed in particolare da tutte le altre norme che, direttamente o indirettamente, riguardano la materia su cui verte l’art. 674 cod. pen..

Da ciò però deriva che, se è vero che non ci si può sicuramente riferire alla volontà storica del legislatore del 1930 ed al sistema normativo dell’epoca, è anche vero che nemmeno ci si può riferire alla volontà oggettiva ricavabile dal sistema normativo vigente, ad esempio, dieci anni fa, ma deve aversi riguardo appunto al sistema attuale. Quindi, così come è possibile che il significato da attribuire alla disposizione di cui all’art. 674 cod. pen., nel 1930 non sia lo stesso da attribuirle nel 1999, allo stesso modo ben potrebbe essere possibile che tale significato sia diverso oggi e potrebbe ancora essere diverso in futuro, qualora siano cambiate o cambino le altre norme del sistema che possano influenzarlo.

Gli altri elementi del sistema normativo, da cui può ricavarsi una oggettiva volontà del legislatore condizionante il significato dell’art. 674 cod. pen., sono soprattutto due: in primo luogo, l’interpretazione che deve darsi nel suo complesso all’intera disposizione di cui all’art. 674 cod. pen., in tutte e due le ipotesi ivi previste; in secondo luogo, l’eventuale introduzione di normative speciali che possano dimostrare una volontà oggettiva dell’ordinamento di disciplinare in modo diverso la materia in esame.

D’altra parte, un eventuale mutamento di significato dell’art. 674 cod. pen., nel "diritto vivente" e l’introduzione di nuove normative di settore, sono rilevanti sotto un duplice profilo. Innanzitutto perchè, come rilevato, da esse potrebbe ricavarsi una volontà oggettiva attuale del legislatore nel senso che l’emissione di onde elettromagnetiche non possa ora comunque farsi rientrare nel significato della espressione "gettare cose". In secondo luogo perchè, quand’anche sulla base di una interpretazione estensiva di tale espressione possa darsi ad essa un significato che comprenda anche l’emissione di onde elettromagnetiche, potrebbe però verificarsi che si giunga a dar luogo ad un sistema normativo del tutto incongruo ed irrazionale, che imponga quindi di non attribuire il detto significato alla stregua di una interpretazione adeguatrice, o costituzionalmente orientata.

5.2. La seconda osservazione preliminare è che, proprio a seguito delle modifiche intervenute nel sistema normativo con l’introduzione di una legislazione speciale, non sembra che possa continuare ad attribuirsi valore decisivo, come criteri ermeneutici, al principio di precauzione ed alle finalità di tutela di cui all’art. 32 Cost., Questo principio e queste finalità, infatti, risultano attualmente tutelati, con un alto livello di protezione (forse ancor più efficace della contravvenzione in esame), attraverso la previsione di limiti di esposizione e di valori di attenzione e la configurazione del loro superamento come fatto sicuramente illecito, punito con un articolato sistema di sanzioni e rimedi amministrativi. Devono invece essere tenuti nel dovuto conto i principi, anch’essi di valore costituzionale, di tipicità e di determinatezza delle fattispecie penali, di necessaria offensività del reato, di soggezione del giudice alla legge, nonchè il principio generale del divieto di analogia in materia penale.

6. Occorre dunque innanzitutto esaminare se la suddetta interpretazione estensiva sia di per sè possibile (a prescindere dalle conseguenze nel sistema), ossia se possa attribuirsi all’espressione "gettare cose" un significato più ampio di quello che apparentemente da essa risulta, tale da farvi comprendere anche la propagazione di onde elettromagnetiche, ovvero se una siffatta operazione celi, in realtà, il ricorso all’analogia.

Le parti civili ricorrenti e la sentenza di primo grado, da un lato, e la sentenza impugnata e gli imputati, da un altro lato, sostengono due diversi orientamenti, fondati su articolate motivazioni.

6.1. L’orientamento favorevole all’estensione ermeneutica parte dall’osservazione che il termine "cosa", utilizzato dalla disposizione, è di per sè suscettivo di esprimere una pluralità di significati, ed in particolare il significato di ente materiale esistente nel mondo della realtà fisica. Le onde elettromagnetiche debbono poi includersi nella nozione di "cosa" perchè la scienza contemporanea ha ormai da tempo superato il dualismo ottocentesco tra materia ed energia, ed ha chiarito che le energie (tra le quali sono comprese le onde elettromagnetiche) sono altrettanto dotate di corporeità e di materialità quanto le res qui tangi possunt, e quindi vanno considerate cose sia per la loro individualità fisica, sia per la loro attitudine ad essere misurate, percepite ed utilizzate.

Si ricorda anche che già il legislatore penale del 1930 aveva comunque equiparato le energie alle cose con l’art. 624 cod. pen., comma 2, il quale dispone che "agli effetti della legge penale, si considera "cosa mobile" anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico". Si osserva, in proposito, da un lato, che l’ampiezza della clausola "agli effetti della legge penale" esclude che essa possa dispiegare i propri effetti limitatamente ai reati contro il patrimonio e, da un altro lato, che le onde elettromagnetiche sono sicuramente suscettibili di valutazione economica e possono essere misurate, utilizzate e formare oggetto di appropriazione.

Si afferma quindi che "cosa" rilevante ai sensi dell’art. 674 cod. pen., è quella idonea ad offendere, imbrattare o molestare, e tali sono anche le onde elettromagnetiche, mentre sarebbe erroneo ritenere che la disposizione in esame, prevedendo separatamente nel secondo periodo le emissioni di gas, vapori e fumo, delimiterebbe indirettamente la nozione di "cosa", cui essa si riferisce, ai soli oggetti solidi e liquidi. E ciò perchè gas, vapori e fumo debbono essere ritenuti una specie del genere più ampio (cose) di cui parla il primo periodo dell’art. 674 cod. pen., alla quale è stata data appunto una regolamentazione specifica.

Si sostiene inoltre che l’espressione "gettare" cose ben può comprendere anche l’"emissione" o la "propagazione" di onde elettromagnetiche perchè il verbo "gettare" è anche sinonimo di "mandar fuori, emettere" e, per estensione, come già in Dante Alighieri, di "produrre, far nascere". Non avrebbe poi importanza la circostanza che la stessa disposizione usa invece l’espressione "provoca emissioni" con riferimento ad un catalogo specifico di cose (gas, vapori, fumo) perchè tale catalogo non sarebbe altro che una specificazione del genere "cose", così come in realtà la locuzione "provocare emissioni" è una specificazione di quella "gettare". 6.2. L’orientamento contrario all’estensione ermeneutica in esame parte invece dalla considerazione che le onde elettromagnetiche non rientrano di per se stesse nella nozione di "cosa" cui si riferisce l’art. 674 cod. pen..

Si osserva che gli elementi costitutivi della contravvenzione sono il gettare e il versare nei luoghi specificamente indicati "cose" solide o liquide o il provocare emissioni, nei casi non consentiti, di gas, vapori o fumo. Le espressioni usate per esprimere la prima condotta (gettare o versare) evocano, da un punto di vista linguistico, le sole cose dotate di materialità e quindi sostanze solide o liquide, mentre in relazione alla seconda ipotesi vi è una tassativa specificazione della natura delle sostanze oggetto di emissione, che impedisce di includere in esse, se non per via analogica, anche le onde elettromagnetiche. Si sostiene che nel linguaggio comune il verbo gettare esprime la condotta di chi butta o scaglia qualcosa, mentre nessuno penserebbe di utilizzarlo come sinonimo di emettere o di generare, far nascere.

Si contesta poi che la presunta genericità della parola cosa comporti la possibilità di ricomprendere nel termine anche le onde elettromagnetiche, perchè essa nel linguaggio giuridico penale non è affatto generica ma è ancorata al significato di "cosa materiale". Ciò è dimostrato proprio dal fatto che il legislatore ha ritenuto necessario stabilire, con l’art. 624 c.p., comma 2, che agli effetti della legge penale si considera "cosa mobile" anche l’energia elettrica ed ogni altra energia avente valore economico, mentre di tale specificazione non vi sarebbe stato bisogno se la parola avesse avuto di per sè una capacità di dilatazione tale da comprendere anche le energie.

Si osserva anche che proprio la tassatività della seconda ipotesi prevista dalla disposizione induce a ritenere che, se il termine cose dovesse essere inteso, per la sua genericità, in senso ampio, non si comprenderebbe perchè sarebbe stata formulata una diversa ipotesi per i gas, vapori e fumo, sostanze tutte sussumibili nell’ampio significato del termine cosa. Inoltre, poichè le onde elettromagnetiche non vengono gettate o versate ma si generano o si producono o si emettono o si diffondono o si propagano, da un punto di vista logico la loro naturale collocazione dovrebbe semmai essere nell’ambito della seconda ipotesi, ma a tale collocazione potrebbe giungersi esclusivamente mediante una applicazione analogica di questa seconda ipotesi ad una fattispecie simile ma diversa, e non con la sola interpretazione estensiva, dal momento che nel significato di gas, vapori e fumo non possono sicuramente farsi rientrare anche le onde elettromagnetiche.

Si rileva inoltre che parte della giurisprudenza di questa Corte è giunta alla applicazione dell’art. 674 cod. pen., alle onde elettromagnetiche soltanto attraverso una esplicita "smaterializzazione" dell’espressione "gettare cose" utilizzata dal legislatore, il che dimostra che il significato proprio dell’espressione includeva esclusivamente una condotta, per così dire, a contenuto "materiale", ed escludeva invece l’emissione di onde elettromagnetiche. Ma se è necessaria una "smaterializzazione" della condotta tipica prevista dal legislatore, allora è evidente che non si è più nell’ambito di una interpretazione estensiva, ma si è entrati in quello della applicazione analogica della norma penale.

Si afferma che nel campo del diritto penale la parola "cosa" ha il significato di cosa materiale (tanto che anche l’energia elettrica è solo equiparata alle cose mobili) e non comprende anche le onde elettromagnetiche. Nè sarebbe rilevante stabilire se l’energia elettromagnetica è una realtà alla stessa stregua di come è una realtà una sedia, perchè ogni ramo dello scibile ha i suoi criteri di qualificazione e bisogna quindi vedere se, nel mondo del diritto, la realtà dei campi elettromagnetici sia la stessa realtà delle sedie e se quindi entrambe siano riconducibili alla stessa disciplina.

La parificazione ai fini penali delle onde elettromagnetiche alle cose richiederebbe quindi una esplicita previsione normativa, che però non potrebbe rinvenirsi nell’art. 624 c.p., comma 2, perchè le prime non sarebbero energie aventi di per sè valore economico.

D’altra parte, qualora lo avessero, la non rilevanza dell’art. 624 cod. pen., comma 2,- ed il fatto che la equiparazione ivi prevista è valida solo per i reati contro il patrimonio – è dimostrata dalla circostanza che non si comprenderebbe la ragione per la quale, ai fini della contravvenzione in esame, dovrebbero rilevare soltanto le energie aventi valore economico e non qualsiasi energia atta ad offendere o molestare le persone. Inoltre, seppure l’art. 624 equipara agli effetti della legge penale cose ed energie, ciò non esclude che in alcuni contesti la parola "cosa" possa avere un significato più ristretto ed esprimere esclusivamente il concetto di "oggetto solido". Il che avviene, ad esempio, con l’art. 675 cod. pen., dato che le "cose" cui esso si riferisce non possono che essere oggetti materiali ed anzi oggetti solidi, in quanto solo questi possono essere posti, possono essere sospesi e possono cadere nei luoghi ivi specificamente indicati. Ed è significativo che gli artt. 674 e 675 c.p., impieghino lo stesso termine "cosa" nell’ambito di uno stesso contesto, dato che le condotte tipiche ed i fatti costitutivi dei due reati sono in definitiva gli stessi.

Del resto, anche il luogo del getto o del versamento (di pubblico transito o luogo privato ma di comune o altrui uso) circoscrive la natura delle cose che possono essere gettate, escludendo le onde elettromagnetiche che per loro essenza si disperdono in tutte le direzioni nell’atmosfera.

Si sostiene poi che anche i verbi usati per esprimere la condotta di cui alla prima ipotesi (gettare o versare) evocano, da un punto di vista linguistico, le sole cose dotate di materialità e quindi sostanze solide o liquide. La condotta del "gettare cose" ha un contenuto materiale e presuppone la preesistenza delle cose stesse in natura, mentre l’emissione di onde elettromagnetiche consiste nel generarne flussi prima non esistenti. Ed è significativo che la tesi contraria, per ampliare il significato del verbo gettare, è costretta ad attingere i contenuti dell’espressione addirittura in Dante Alighieri, dimenticando che il linguaggio poetico si prende talvolta licenze e non può essere usato per dare significato alle parole del linguaggio comune. D’altra parte, non si vede la ragione per la quale il testo del codice penale debba essere riletto come se fosse un testo del 1200, quando sono semmai alcune espressioni usate dalle disposizioni del 1930 che dovrebbero essere rilette alla luce del significato che hanno nel linguaggio attuale.

Si sottolinea infine che le parole utilizzate dalla disposizione non possono comunque essere interpretate singolarmente ma devono esserlo secondo la connessione con le altre parole che seguono o precedono quella da interpretare. Quindi, se il verbo gettare è di per sè anche sinonimo di emettere, mandar fuori, e la parola cosa può comprendere di per sè anche le energie, è proprio il collegamento tra il verbo gettare e la cosa, oggetto del "getto", che indica che tale oggetto non può essere che una cosa materiale, una delle res qui tangi possunt.

L’espressione gettare un grido, allora, potrà anche essere intesa come emettere un grido, ma l’espressione gettare una sedia non può significare emettere una sedia. Allo stesso modo gettare una cosa non può significare emettere onde elettromagnetiche. Dunque, è chiaro che con questa espressione il legislatore abbia inteso riferirsi solo alle cose suscettibili di un loro getto o versamento, richiedendo che debba trattarsi di cose allo stato solido o liquido. Invece, con il riferimento alla condotta di "emissione" di cui alla seconda ipotesi, il legislatore avrebbe optato per una tassativa specificazione delle sostanze atte ad offendere, sebbene non siano nè solide nè liquide.

In conclusione, secondo questa opinione, si è in realtà di fronte ad una lacuna legislativa. Più precisamente, si tratterebbe di una c.d. "lacuna ideologica" (intendendosi per tale non già la mancanza di una norma, bensì la mancanza di una norma che dia al caso una soluzione soddisfacente, ossia di una norma giusta, o, in altre parole, di una norma che si vorrebbe che ci fosse, e invece non c’è) e non già di una "lacuna reale" (peraltro inconcepibile in materia penale stante il divieto dell’argumentum a simili). Si ritiene cioè che i campi elettromagnetici possano provocare danno alla salute e che la finalità di tutelare la salute umana esiga la presenza di una norma che punisca certi comportamenti.

Poichè manca, anzi mancava, una specifica disciplina legislativa in materia di emissione di onde elettromagnetiche, si è quindi ritenuto di colmare la lacuna estendendo l’art. 674 cod. pen., dai casi previsti ad un caso non previsto, in virtù della somiglianza tra i due e della identità di ratio legis. Ciò però non costituisce interpretazione estensiva, bensì inammissibile applicazione analogica in malam partem della norma penale.

7.1 due diversi orientamenti sostenuti dalle parti e dalle sentenze di merito, si riscontrano anche nella dottrina, che sull’argomento continua ad essere fortemente divisa, dimostrando in tal modo che si tratta effettivamente di una questione che rimane opinabile.

Del resto una qualche incertezza si riscontra anche nella giurisprudenza di questa Corte, sebbene solitamente si ritenga che la tesi maggioritaria sia quella che fa rientrare l’emissione delle onde elettromagnetiche nella previsione dell’art. 674 cod. pen., in virtù di una mera interpretazione estensiva.

7.1. A quanto risulta dalle decisioni massimate, infatti, la tesi della inapplicabilità ai campi elettromagnetici dell’art. 674 cod. pen., è stata finora espressamente seguita soltanto da Sez. 1^, 30 gennaio 2002, n. 8102, ******, la quale, peraltro, presenta una motivazione alquanto articolata, che deduce l’inapplicabilità dell’art. 674 c.p., anche da altre considerazioni di carattere sistematico, soprattutto in relazione alla sopravvenuta L. 22 febbraio 2001, n. 36. In particolare, sul limitato punto che si sta ora esaminando, la sentenza ****** osserva che, alla stregua della legislazione vigente, è da escludere l’astratta possibilità di inquadramento della condotta di chi genera campi elettromagnetici nella fattispecie penale di cui all’art. 674 cod. pen., in quanto questa disposizione descrive due ipotesi di comportamento materiale che differiscono in maniera sostanziale da quello consistente nella emissione di onde elettromagnetiche, perchè l’azione del "gettare in luogo di pubblico transito… cose atte ad offendere, o imbrattare o molestare persone" è ontologicamente, oltre che strutturalmente, diversa dal generare campi elettromagnetici. Il gettare delle "cose" presuppone la preesistenza di esse in natura, mentre la emissione di onde elettromagnetiche consiste nel "generare" (e, quindi, far nascere o far venire ad esistenza) "flussi di onde" che prima dell’azione "generatrice" non esistevano. La sentenza ritiene quindi che l’assumibilità delle onde elettromagnetiche nel concetto di "cose" non può essere automatica, ma richiede necessariamente una esplicita previsione normativa, come è avvenuto, ad esempio, con la previsione di cui dell’art. 624 cod. pen., comma 2. E altrettanto può dirsi per quanto riguarda l’ipotesi della emissione di gas, vapori o fumi, relativamente ai quali ogni tentativo di equiparazione alle onde elettromagnetiche sarebbe del tutto arbitrario.

L’applicabilità dell’art. 674 cod. pen., comporterebbe pertanto una non consentita applicazione analogica in malam partem della norma incriminatrice.

7.2. Le altre decisioni – tutte peraltro relative a misure cautelari reali – sono invece solitamente accomunate in un unico orientamento maggioritario, favorevole all’applicabilità dell’art. 674 cod. pen., alle onde elettromagnetiche, anche se per la verità l’accorpamento non è poi così scontato perchè le loro motivazioni sono spesso divergenti, specialmente su altre questioni connesse, ma ugualmente rilevanti in ordine al problema in esame. Inoltre, le prime due decisioni, che hanno dato origine all’orientamento, sono anteriori all’entrata in vigore della L. 22 febbraio 2001, n. 36.

Vengono fatte rientrare in questo orientamento:

– Sez. 1^, 13 ottobre 1999, n, 5592, ********, la quale però, senza affrontare espressamente il problema se l’emissione di onde elettromagnetiche sia inclusa nella espressione "gettare cose" di cui all’art. 674 cod. pen., esclude la configurabilità del reato in quanto, sulla base degli studi scientifici attuali, manca la prova certa della idoneità dei campi elettromagnetici a provocare una delle conseguenze nocive previste dal legislatore, ossia ad offendere o a molestare.

– Sez. 1^, 14 ottobre 1999, n. 5626, ***********, la quale, dopo aver affermato anch’essa che, allo stato attuale delle ricerche, non risulta in alcun modo dimostrata l’attitudine delle onde elettromagnetiche a bassa frequenza, quali sono quelle emesse dagli elettrodotti, a recare danni apprezzabili, ancorchè transitori e limitati alla sfera psichica, agli individui direttamente coinvolti, e dopo aver rilevato che nella specie non erano stati varcati i limiti previsti e che non vi era prova della idoneità a ledere o a infastidire, ha poi ugualmente ritenuto di affrontare il problema della astratta riconducibilità del fenomeno della propagazione delle onde elettromagnetiche nella previsione dell’art. 674 cod. pen.. E la soluzione è stata affermativa perchè "l’intenzione del legislatore" va intesa come volontà della legge obiettivamente considerata;

perchè "l’apertura culturale mostrata dal codice ***** nel dilatare la nozione di cosa rilevante per il diritto penale autorizza ad attribuire all’art. 674 c.p., una dimensione più ampia di quella originariamente conferitagli e conforme ad una visione della legge in armonia con il marcato dinamismo dello Stato moderno"; perchè fra le "cose" di cui parla la norma incriminatrice debbono farsi rientrare anche i campi elettromagnetici, considerati da A. EINSTEIN reali come una sedia; perchè il verbo "gettare" ha un significato amplissimo e non indica solo l’azione di chi lancia qualcosa, ma è anche sinonimo di "mandar fuori, emettere" e, per estensione, come già in Dante Alighieri, di "produrre, far nascere".

– Sez. 1^, 31 gennaio 2002, n. 10475, Fantasia, la quale, dopo un generico richiamo alle due ricordate decisioni del 1999, ******** e ***********, si limita a rilevare che nel caso di specie era assorbente la circostanza che era stato contestato il reato di cui all’art. 650 cod. pen., oltre a quello di cui all’art. 674 c.p., ed in seguito ad analizzare i rapporti tra quest’ultima disposizione e la L. n. 36 del 2001, art. 15.

– Sez. 1^, 12 marzo 2002, n. 15717, ******, secondo cui il superamento dei limiti indicati dalla normativa speciale in tema di onde elettromagnetiche può configurare il reato di cui all’art. 674 cod. pen., qualora risulti concretamente accertato che detta emissione "possa cagionare nocumento o turbamento alla salute della popolazione esposta ai suoi effetti". In particolare, questa decisione, dopo aver richiamato la precedente giurisprudenza penale sulla smaterializzazione del concetto di "cosa" e quella civile sulla possibilità che le onde elettromagnetiche siano oggetto di possesso, ritiene che non sembrano esservi ostacoli per applicare l’art. 674 c.p., alla emissione di un campo elettromagnetico nocivo per la salute della popolazione esposta, precisando anche di dissentire dalla sentenza ****** specialmente in considerazione dell’"orientamento formatosi con riguardo alla relazione possessoria dell’emittente con il campo elettromagnetico ingenerato" nonchè del fatto che non è ravvisabile un rapporto di specialità con la L. n. 35 del 2001, art. 15.

– Sez. 1^, 14 marzo 2002, n. 23066, *******, secondo la quale è configurabile il reato previsto dall’art. 674 cod. pen., nelle emissioni di onde elettromagnetiche generate da ripetitori radiotelevisivi, purchè siano superati i valori indicativi dell’intensità di campo fissati dalla normativa specifica vigente in materia.

Sulla possibilità di far rientrare le onde elettromagnetiche tra le cose mobili di cui all’art. 674 c.p., la decisione dichiara di aderire alla giurisprudenza maggioritaria espressa dalle precedenti sentenze ********, ***********, Fantasia e ******, ed osserva in particolare che l’art. 624 c.p., comma 2, considera l’energia elettrica e quelle aventi valore economico come cose mobili, e che di conseguenza la parola "cose" comprende anche l’energia elettromagnetica, che è suscettibile di valutazione economica e che, in quanto cosa, è suscettibile anche di essere gettata, stante l’ampio significato del verbo "gettare". 8. Orbene, impostato in tali termini il problema, nonostante l’oggettiva opinabilità della questione ed il peso della tesi contraria, il Collegio ritiene di non doversi discostare dall’orientamento giurisprudenziale prevalente, ossia dall’opinione secondo cui nell’espressione "getto di cose", usata dall’art. 674 cod. pen., possono farsi rientrare, mediante una semplice interpretazione estensiva, anche la creazione, l’emissione e la propagazione di onde elettromagnetiche.

Nulla infatti osta a che il termine "cosa", già di per sè ampiamente generico ed idoneo ad esprimere una pluralità di significati, comprenda anche le energie, che sono pacificamente dotate, al pari delle res qui tangi possunt, di fisicità e di materialità e che dunque, sia per la loro attitudine ad essere misurate, percepite ed utilizzate sia per la loro individualità fisica, ben possono essere considerate "cose".

D’altra parte, già l’art. 624 c.p., comma 2, stabilisce che, agli effetti della legge penale, si considera "cosa mobile" anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia valore economico.

L’ampiezza della clausola porta a ritenere che la previsione normativa non sia limitata ai soli reati contro il patrimonio, ed a tale estensione non è di ostacolo il fatto che, in alcune specifiche disposizioni penali, la parola "cosa" possa essere riferita alle sole cose materiali, quae tangi possunt. D’altra parte, le onde elettromagnetiche sono sicuramente suscettibili di valutazione economica.

E’ inoltre assai significativa la circostanza che la medesima tesi sia stata seguita dalla giurisprudenza civile, che ha da tempo affermato il principio che è esperibile la tutela possessoria con riguardo alle onde elettromagnetiche di cui si avvalgono le emittenti radiotelevisive, in quanto dette onde costituiscono una forma di energia materiale e quantificabile, da considerarsi pertanto come un bene mobile economico, che può essere utilizzato direttamente dalla azienda produttrice e può essere anche ceduto a terzi (Cass. civ., Sez. 2^, 10 marzo 2005, n. 5317, m. 581118; Sez. 2^, 11 settembre 1991, n. 9511, m. 473806; Sez. 2^, 19 aprile 1991, n. 4243; Sez. 2^, 6 ottobre 1987, n. 7440, m. 455430; Sez. 2^, 3 agosto 1984, n. 4627, m. 436547; v. anche Sez. 2^, 28 aprile 1993, n. 4999, m. 482112, la quale però precisa che le onde elettromagnetiche non possono essere oggetto di possesso diretto ed autonomo, ossia separatamente ed indipendentemente dagli impianti da cui promanano e da cui si irradiano, ai quali sono inscindibilmente collegate).

Si tratta poi di una cosa che è suscettibile di essere, come tale, anche gettata, dal momento che il verbo "gettare", usato dal legislatore per descrivere la materialità della condotta prevista dall’art. 674 cod. pen., ha anch’esso in italiano un significato ampio, e non indica soltanto l’azione di lanciare qualcosa in qualche luogo, ma anche quella del mandar fuori, emettere, espellere, che ben può ricomprendere il fenomeno della emissione e propagazione delle onde elettromagnetiche.

Quindi, tenendo conto non solo del significato proprio delle singole parole, ma anche di quello derivante dalla loro connessione emerge che l’espressione "gettare una cosa" può essere di per sè idonea ad includere anche l’azione di chi emette o propaga onde elettromagnetiche.

L’astratta configurabilità del reato di cui all’art. 674 cod. pen., per l’emissione di onde elettromagnetiche, pertanto, non costituisce il risultato di una inammissibile applicazione analogica della norma penale ad una fattispecie diversa da quella in essa prevista e caratterizzata dalla stessa ratio, ma è il frutto di una semplice interpretazione estensiva diretta ad enucleare dalla disposizione il suo effettivo significato, che ad essa – in mancanza di altre norme da cui possa emergere una diversa volontà del legislatore – può attribuirsi, anche se non evidente a prima vista.

9. Con ciò tuttavia si vuole soltanto dire che la sussumibilità della emissione di onde elettromagnetiche nel reato di cui all’art. 674 cod. pen., è, appunto, astrattamente ammissibile, ossia che essa sarebbe frutto di una interpretazione estensiva della disposizione e non di una sua applicazione analogica, e che pertanto non sarebbe vietata.

Ciò non significa però che tale interpretazione estensiva, se pur possibile, sia anche corretta sotto il profilo ermeneutico. Come si è già rilevato, potrebbe darsi che dalla interpretazione unitaria della disposizione penale in questione o dalla considerazione del vigente sistema normativo relativo al fenomeno delle onde elettromagnetiche, si ricavi una volontà oggettiva ed attuale del legislatore nel senso che esso abbia invece voluto che tale fenomeno sia sottoposto ad una disciplina diversa da quella relativa al "getto pericoloso di cose". Allo stesso modo potrebbe darsi che, tenendo sempre conto di tutte le fattispecie di cui all’art. 674 cod. pen., e del complesso sistema normativo in materia, la suddetta interpretazione estensiva porti ad una disciplina manifestamente incongrua ed irrazionale o ad irragionevoli disparità o a palesi violazioni del principio di necessaria offensività del reato e che debba dunque essere ugualmente disattesa in applicazione del fondamentale canone ermeneutico per cui, nel dubbio, deve sempre essere preferita l’interpretazione adeguatrice o, come anche si suoi dire, costituzionalmente orientata, che cioè eviti possibili contrasti con norme e principi costituzionali.

10. Sotto il primo profilo, viene in rilievo l’interpretazione che deve essere data all’art. 674 cod. pen., ed alle due ipotesi ivi previste, interpretazione in ordine alla quale le citate decisioni di questa Corte favorevoli all’applicabilità della norma penale alle onde elettromagnetiche non hanno seguito un orientamento unitario.

Come è noto, l’art. 674 cod. pen., prevede due ipotesi di illecito:

la prima è quella di chi getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o altrui uso, cose atte ad offendere o imbrattare o molestare persona; la seconda è quella di chi, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti.

Secondo un risalente ed in precedenza dominante orientamento, anche qualora vi sia una normativa di settore o un provvedimento dell’autorità che regoli l’attività e che imponga limiti di emissione ed anche quando i limiti tabellari non siano stati superati, la contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen., sarebbe ugualmente configurabile qualora l’attività abbia comunque prodotto emissioni eccedenti i limiti di tollerabilità alla luce dei parametri indicati dall’art. 844 cod. civ., ed eliminabili mediante opportuni accorgimenti tecnici. E ciò perchè non potrebbe considerarsi lecito l’esercizio di una attività che, anche se rispettosa dei limiti tabellari, implichi comunque la sopportazione di inconvenienti eccedenti la normale tollerabilità, in quanto l’agente era in ogni caso obbligato a ricorrere alla migliore tecnologia disponibile per contenere al massimo possibile le emissioni inquinanti, al fine della tutela della salute umana e dell’ambiente (cfr. Sez. 1^, 7 novembre 1995, ********, m. 203130;

Sez. 1^, 11 aprile 1997, ******, m. 207383; Sez. 3^, 25 giugno 1999, *****, m. 214633; Sez. 3^, 28 settembre 2005, Riva, m. 232359).

Secondo tale orientamento, dunque, l’inciso "nei casi non consentiti dalla legge" dovrebbe intendersi riferito non solo alla specifica normativa di settore, ma alla legge in generale e quindi anche alle prescrizioni del codice civile (in particolare, dell’art. 844 cod. civ.).

Tale orientamento è stato però giustamente sottoposto a numerose critiche ed è stato da tempo superato da un orientamento diverso ed ormai prevalente – che il Collegio condivide pienamente – secondo il quale l’espressione "nei casi non consentiti dalla legge" costituisce una precisa indicazione della necessità, ai fini della configurazione del reato, che, qualora si tratti di attività considerata dal legislatore socialmente utile e che per tale motivo sia prevista e disciplinata, l’emissione avvenga in violazione delle norme o prescrizioni di settore che regolano la specifica attività.

In tali ipotesi, invero, deve ritenersi che la legge contenga una sorta di presunzione di legittimità delle emissioni di fumi, vapori o gas che non superino la soglia fissata dalle norme speciali in materia. Quindi, per una affermazione di responsabilità in ordine al reato di cui all’art. 674 cod. pen., non è sufficiente il rilievo che le emissioni siano astrattamente idonee ad arrecare offesa o molestia, ma è indispensabile anche la puntuale e specifica dimostrazione oggettiva che esse superino i parametri fissati dalle norme speciali.

Qualora invece le emissioni, pur quando abbiano arrecato concretamente offesa o molestia alle persone, siano state tuttavia contenute nei limiti di legge, saranno eventualmente applicabili le sole norme di carattere civilistico contenute nell’art. 844 cod. civ.. In altri termini, all’inciso "nei casi non consentiti dalla legge" deve riconoscersi, contrariamente a quanto ritenuto dal precedente orientamento, un valore rigido e decisivo, tale da costituire una sorta di spartiacque tra il versante dell’illecito penale da un lato e quello dell’illecito civile dall’altro (Sez. 1^, 16 giugno 2000, ***, m. 216621; Sez. 1^, 24 ottobre 2001, ********, m. 220.678; Sez. 3^, 23 gennaio 2004, *******, m. 228010; Sez. 3^, 19 marzo 2004, n. 16728, ******; Sez. 1^, 20 maggio 2004, **********, m.

229170; Sez. 3^, 18 giugno 2004, Providenti, m. 229619; Sez. 3^, 10 febbraio 2005, *********, m. 230982; Sez. 3^, 21 giugno 2006, *********, m. 235056; Sez. 3^, 26 ottobre 2006, Gigante; Sez. 3^, 11 maggio 2007, **********, m. 236682). Questo indirizzo, ormai consolidatosi, è stato del resto seguito anche con riferimento alla emissione di onde elettromagnetiche (Sez. 1^, 14 marzo 2002, *******;

Sez. 1^, 12 marzo 2002, ******; Sez. 1^, 25 novembre 2003, n. 4192/04, **********, non massimata).

11.1. Il principio di diritto seguito dal "diritto vivente" – e che qui va confermato – è dunque quello secondo cui il reato di cui all’art. 674 cod. pen., non è configurabile nel caso in cui le emissioni provengano da una attività regolarmente autorizzata o da una attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento (cfr. Sez. 3^, 1 febbraio 2006, n. 8299, *******, m. 233.562).

11.2. Ora, se si dovesse ritenere che tale principio si applichi alla sola seconda ipotesi prevista dall’art. 674 cod. pen., (emissione di gas, vapori o fumo) e che quindi non possa applicarsi anche all’emissione di onde elettromagnetiche (non rientrando le stesse tra i gas, vapori e fumo) ne deriverebbe una disciplina manifestamente irrazionale. Ed invero, si dovrebbe ritenere che la contravvenzione in esame sarebbe, del tutto irragionevolmente, integrata nel caso di emissione di onde elettromagnetiche pur avvenuta nell’esercizio di una attività autorizzata o disciplinata per legge e pur quando non siano superati i limiti stabiliti dalla legge o dai regolamenti o da specifici atti amministrativi, ma solo perchè vi sia possibilità di offesa o molestia, mentre per tutte le altre attività anch’esse autorizzate o disciplinate da leggi speciali, la contravvenzione non è configurabile quando tali limiti non sono superati, sussistendo in tal caso una presunzione di legittimità delle emissioni. La diversità di disciplina sarebbe palesemente ingiustificata, e quindi irrazionale, perchè l’elemento che caratterizza e giustifica la previsione speciale è costituito dal riferirsi ad una attività socialmente utile e quindi disciplinata e non già dalla natura dell’oggetto dell’emissione (gas, vapori o filmo).

La inevitabile conseguenza sarebbe allora quella di dover seguire una interpretazione adeguatrice che appunto escluda che l’emissione delle onde elettromagnetiche possa essere compresa nel "getto di cose" di cui all’art. 674 cod. pen..

D’altra parte, è anche vero che, mentre è astrattamente possibile, in forza di una interpretazione estensiva che allarghi il significato delle parole, ricomprendere la propagazione di onde elettromagnetiche nella prima ipotesi dell’art. 674 cod. pen., non sembrerebbe invece, almeno a prima vista, possibile ricomprenderla nella seconda ipotesi ed includerla fra le emissioni di gas, vapori o fumo. E’ indubbio che tale risultato potrebbe derivare solo da una operazione di autointegrazione dell’ordinamento per mezzo dell’argumentum a simili, che però è vietata in materia penale.

11.3. Ritiene tuttavia il Collegio che la conseguenza, altrimenti necessaria, di escludere le emissioni elettromagnetiche dall’ambito dell’art. 674 cod. pen., possa essere evitata per un duplice ordine di considerazioni.

Innanzitutto, perchè l’art. 674 cod. pen., deve essere interpretato nel senso che esso non prevede in realtà due distinte e separate ipotesi di reato, ma un solo ed unitario reato nel quale la seconda ipotesi (emissione di gas, vapori o fumo) non è altro che una specificazione della prima ipotesi, caratterizzata non tanto dal fatto del particolare oggetto dell’emissione (gas, vapori, fumo) quanto piuttosto dalla circostanza che è possibile che l’emissione, ossia l’attività pericolosa, in quanto socialmente utile, sia disciplinata dalla legge o da un provvedimento dell’autorità, e che in tal caso il reato è configurabile esclusivamente quando essa non sia consentita, ossia quando siano superati i limiti previsti per la specifica attività, dovendo altrimenti presumersi legittima.

In altre parole, le emissioni di cui alla seconda ipotesi rientrano già nell’ampio significato dell’espressione "gettare cose", di cui in realtà costituiscono una specie, e sono state espressamente previste dalla disposizione solo per specificare che, quando si tratta di attività disciplinata per legge – e per tale motivo ritenuta dal legislatore di un qualche interesse pubblico e generale – la loro rilevanza penale nasce soltanto con il superamento dei limiti e delle prescrizioni di settore.

Quindi, il reato di cui all’art. 674 cod. pen., è ravvisabile in qualsiasi comportamento materiale (getto, lancio, versamento, emissione) avente ad oggetto cose materiali o immateriali e che può oggettivamente provocare offesa o molestia alle persone. Quando però si tratti di una attività socialmente utile, ed in quanto tale legislativamente o amministrativamente disciplinata, il comportamento, quand’anche idoneo a provocare offesa o molestia, resta ugualmente lecito sotto il profilo penale se non supera i limiti previsti dalla normativa di settore. Se così è, poichè l’emissione di onde elettromagnetiche è oggetto di una specifica disciplina che fissa limiti rigorosi, anch’essa, al pari di altre attività regolamentate, può integrare il reato in questione soltanto quando sono superati i limiti tabellari, in modo tale da non dar luogo ad un sistema manifestamente irrazionale.

Questa conclusione resta ferma anche qualora si ritenga che le due ipotesi dell’art. 674 cod. pen., debbano restare distinte e separate.

Ed invero, una volta che, come si è già affermato, le onde elettromagnetiche si sono fatte rientrare nel getto di cose previsto dalla prima ipotesi della disposizione in esame, alle stesse si può poi applicare, in via analogica, il principio, desumibile dalla seconda ipotesi, secondo cui il comportamento deve presumersi legittimo ed il reato non sussiste quando si tratta di attività regolamentata e non siano superati i limiti tabellari. In questo caso, invero, si tratterebbe di analogia in bonam partem, che quindi non sarebbe vietata. Sembra poi indiscutibile l’esistenza dei presupposti per questa applicazione analogica, in quanto fra le due fattispecie esiste sicuramente una somiglianza rilevante, dato che la qualità comune ad entrambe (attività regolamentata e non superamento dei limiti) costituisce la ragione sufficiente per cui al caso regolato è stata data quella disciplina.

12. In conclusione, deve ritenersi che, anche nel caso di emissione di onde elettromagnetiche, il presupposto necessario perchè sia eventualmente integrato il reato di cui all’art. 674 cod. pen., è comunque quello del superamento dei limiti previsti dalle specifiche norme di settore, mentre deve invece escludersi ogni illiceità qualora le immissioni si siano mantenute nei limiti fissati dalla normativa vigente, nel qual caso esse sono assistite da una presunzione di legittimità e di non pericolosità (cfr. Sez. 1^, 14 marzo 2002, *******; Sez. 1^, 12 marzo 2002, ******; nello stesso senso, sempre con riferimento alla emissione di onde elettromagnetiche, Cass. civ., Sez. 2^. 23 gennaio 2007, n. 1391, m.

594829).

Come è noto, i parametri normativi di riferimento sono attualmente stabiliti dal D.M. Ambiente 10 settembre 1998, n. 381 (Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenza compatibili con la salute umana)’, dal D.P.C.M. 8 luglio 2003, (recante Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettrici e magnetici alla frequenza di rete (50 Hz) generati dagli elettrodotti), il quale ha abrogato il precedente D.P.C.M. 23 aprile 1992 (recante Limiti massimi di esposizione ai campi elettrico e magnetico generati alla frequenza industriale nominale (50 Hz) negli ambienti abitativi e nell’ambiente esterno); e dal C.P.C.M. 8 luglio 2003 (recante Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz).

Per i fatti anteriori deve invece farsi riferimento (anche ai sensi della L. n. 36 del 2001, art. 16) alle norme contenute nel D.P.C.M. 23 aprile 1992 e succ. modif., nel D.P.C.M. 28 settembre 1995, nonchè al già ricordato D.M. Ambiente 10 settembre 1998, n. 381, attuativo della L. 31 luglio 1997, n. 249, art. 1.

La normativa speciale prevede dei "limiti di esposizione" e dei "valori di attenzione". In particolare, i "limiti di esposizione" sono intesi come "valori efficaci", ossia i valori di immissione, definiti ai fini della tutela della salute da effetti acuti, che non devono essere superati in alcuna condizione di esposizione; mentre i "valori di attenzione" rappresentano misure di cautela e sono i valori che non devono essere superati negli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate, ed in particolare sono predisposti "a titolo di misura di cautela per la protezione da possibili effetti a lungo termine eventualmente connessi con le esposizioni ai campi generati alle suddette frequenze all’interno di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore giornaliere, e loro pertinenze esterne, che siano fruibili come ambienti abitativi quali balconi, terrazzi e cortili esclusi i lastrici solari" (L. 22 febbraio 2001, n. 36, art. 3; del secondo dei suddetti D.P.C.M. 8 luglio 2003, art. 3).

Per l’eventuale integrazione della contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen., è dunque in ogni caso necessario che sia oggettivamente provato, con le dovute modalità, il superamento dei suddetti limiti di esposizione o dei valori di attenzione.

13. Occorre ora esaminare il secondo dei profili dianzi evidenziati, ossia le possibili conseguenze ed interferenze che può avere sulla questione in questa sede in esame l’avvenuta introduzione da parte del legislatore di una specifica disciplina di settore, che ha posto una completa regolamentazione del fenomeno della emissione di onde elettromagnetiche, con la previsione di un severo ed articolato apparato sanzionatorio amministrativo, anche per il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione oltre che per la violazione delle altre regole.

Ed infatti l’inquadramento delle onde elettromagnetiche nell’art. 674 cod. pen., dovrebbe ugualmente escludersi qualora dovesse risultare che esso determini, alla luce di questa sopravvenuta specifica disciplina di settore, un sistema normativo nel suo complesso manifestamente illogico od incongruo. In tal caso dovrebbe invero ritenersi, anche sulla base di una necessaria interpretazione adeguatrice che eviti profili di incostituzionalità, che la volontà attuale ed oggettiva del legislatore sia contraria all’inquadramento in questione. Del resto, analogamente a quanto è già stato osservato a seguito della introduzione di una specifica disciplina legislativa in materia di inquinamento atmosferico (v. Sez. 3^, 23 gennaio 2004, n. 9757, *******; Sez. 3^, 21 giugno 2006, n. 33971, *********), la volontà del legislatore è stata chiaramente quella di privilegiare, anche nella tutela della salute contro i pericoli derivanti dalla creazione di campi elettromagnetici, il ruolo della pubblica amministrazione, limitando il potere di intervento del giudice penale rispetto a quello in precedenza riconosciutogli da alcuni orientamenti giurisprudenziali. Si tratta quindi di vedere, sulla base delle norme attualmente vigenti, se la oggettiva volontà del legislatore nella materia dell’emissione di onde elettromagnetiche sia soltanto quella di regolare e limitare l’intervento del giudice penale ovvero quella di escludere l’applicabilità dell’art. 674 cod. pen., in favore della applicazione del nuovo sistema di sanzioni amministrative.

Come è noto il fenomeno dell’inquinamento elettromagnetico è stato disciplinato dalla L. 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), la quale, per quanto qui interessa, con l’art. 15 ha introdotto un articolato apparato sanzionatorio amministrativo.

Questa disposizione, in particolare, sanziona rigorosamente le emissioni elettromagnetiche eccedenti i limiti fissati dall’autorità, stabilendo, al comma 1, che "salvo che il fatto costituisca reato, chiunque nell’esercizio o nell’impiego di una sorgente o di un impianto che genera campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici superi i limiti di esposizione ed i valori di attenzione di cui ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri previsti dall’art. 4, comma 2, e ai decreti previsti dall’art. 16 è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da L. 2 milioni a L. 600 milioni (da Euro 1.032,00, ad Euro 309.874)". Con la stessa sanzione è punito chi ha in corso di attuazione piani di risanamento e non rispetti i tempi e i limiti ivi previsti, mentre il successivo comma 2 sanziona la violazione delle misure di tutela previste dall’art. 5, comma 1. Di particolare rilievo è poi il comma 3, il quale – nell’intento di evitare difformità ed incertezze derivanti dalle difficoltà tecniche e dalle diverse modalità del rilevamento – dispone che, salvo che il fatto costituisca reato, le sanzioni di cui ai commi 1 e 2 sono irrogate dalle autorità competenti, sulla base degli accertamenti effettuati dalle autorità abilitate ai controlli ai sensi dell’art. 14. Il comma 4 stabilisce infine che, in caso di inosservanza delle prescrizioni previste, ai fini della tutela dell’ambiente e della salute, dall’autorizzazione, dalla concessione o dalla licenza per l’installazione e l’esercizio degli impianti disciplinati dalla legge, si applica la sanzione della sospensione, da due a quattro mesi, degli atti autorizzatori suddetti, e la loro revoca in caso di nuova infrazione.

Questa nuova disciplina speciale interferisce con l’applicabilità dell’art. 674 cod. pen., alle emissioni di onde elettromagnetiche sotto molteplici profili. Il problema che rileva in questa sede è soprattutto quello della stessa possibilità di coesistenza tra contravvenzione codicistica ed apparato sanzionatorio speciale.

14.1. Sotto questo profilo, viene innanzitutto in considerazione la questione della configurabilità dell’art. 674 cod. pen., come un reato di pericolo astratto o di pericolo concreto.

Invero, secondo un primo orientamento, sarebbe sufficiente il solo superamento dei limiti tabellari per dar luogo ad una possibilità di offesa o di molestia alle persone, se non altro sotto il profilo del turbamento per il timore di possibili conseguenze negative derivanti da tale superamento. In particolare, secondo questo orientamento, si tratterebbe di reato di mero pericolo, di modo che non sarebbe necessario che l’emissione di onde elettromagnetiche provochi un effettivo nocumento, essendo invece sufficiente l’attitudine ad offendere o molestare beni primati delle persone, come quello della salute. Si rileva poi che sarebbe stato lo stesso legislatore, con la L. n. 36 del 2001 – laddove afferma che essa è diretta ad "assicurare la tutela della salute … dagli effetti dell’esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici" (art. 1, comma 1, lett. a) -, ad avere riconosciuto che l’esposizione a determinati livelli di campi elettromagnetici possa costituire un pericolo per le persone, anche a prescindere dal fatto che lo stato attuale della scienza non ha ancora accertato la nocività delle onde elettromagnetiche, anche se non la ha esclusa.

Ne deriverebbe quindi una presunzione ex lege in ordine alla effettività del pericolo di nocività delle emissioni, che dovrebbe ritenersi sussistente per il solo fatto che siano stati superati i limiti fissati dalla normativa vigente in materia (Sez. 1^, 14 marzo 2002, n. 23066, *******).

Secondo un diverso, e maggioritario, orientamento, invece, i limiti di emissione sono stati previsti a fini di mera cautela e quindi, per poter integrare la contravvenzione, non è sufficiente il mero superamento dei limiti stessi, ma occorre che sia raggiunta la prova concreta di una effettiva idoneità delle onde elettromagnetiche a ledere o molestare le persone. In mancanza di una prova certa di questa concreta ed effettiva idoneità ad offendere o molestare le persone esposte, deve escludersi la configurabilità del reato (Sez. 1^, 13 ottobre 1999, n. 5592, ********; Sez. 1^, 14 ottobre 1999, n. 5626, ***********; Sez. 1^, 30 gennaio 2002, n. 8102, ******; Sez. 1^, 12 marzo 2002, n. 15717, ******).

14.2. Ora, se si accoglie la prima tesi, se si ritiene cioè che il mero superamento dei limiti tabellari faccia presumere di per sè il pericolo di nocività per la salute o di molestia per le persone e sia quindi sufficiente per l’integrazione del reato di cui all’art. 674 cod. pen., ne dovrebbe derivare l’automatica esclusione dell’applicabilità delle sanzioni amministrative, dal momento che l’art. 15, comma 1, cit. stabilisce appunto che il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione è punito con le sanzioni ivi previste "salvo che il fatto costituisca reato". Ma è evidente come non possa presumersi che il legislatore abbia voluto punire con (pesanti) sanzioni amministrative il superamento dei limiti ed, al tempo stesso, abbia voluto escludere qualsiasi spazio per l’applicabilità di tali sanzioni. L’oggettiva ed attuale volontà del legislatore, dunque, dovrebbe necessariamente essere interpretata nel senso della esclusione dell’emissione di onde elettromagnetiche dall’ambito di operatività dell’art. 674 cod. pen., e della loro sottoposizione alla disciplina speciale (salvo che il fatto non integri reati diversi, come ad esempio quello di lesioni).

E questa conclusione non dovrebbe mutare nemmeno qualora si ritenga che – al di là della clausola di riserva contenuta nell’art. 15 cit. ed al di là del principio generale fissato dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, – sia ipo-tizzabile un concorso di norme e quindi la contemporanea applicabilità della sanzione penale e di quelle amministrative. In ogni caso, invero, non potrebbe presumersi razionalmente una volontà del legislatore che configura un articolato sistema di illeciti amministrativi con le relative rilevanti sanzioni per lo stesso identico fatto che il medesimo legislatore vuole (continuare a) sanzionare penalmente con l’art. 674 cod. pen.. Quindi, anche a prescindere dalla possibilità di un eventuale concorso tra illecito penale ed illecito amministrativo, in tanto può ritenersi che la volontà oggettiva del legislatore sia nel senso di far rientrare l’emissione di onde elettromagnetiche nell’art. 674 cod. pen., in quanto si ritenga che illecito penale ed illecito amministrativo si differenzino almeno per un qualche aspetto, ossia che la fattispecie penale richieda, per la sua integrazione, la presenza almeno di un qualche elemento ulteriore e diverso rispetto all’illecito amministrativo. E’ cioè necessaria la presenza di un qualche elemento ulteriore – oggettivamente verificabile – rispetto al solo superamento dei limiti tabellari.

Affinchè sia possibile ravvisare il reato ipotizzato, occorre dunque seguire la seconda delle due tesi dianzi ricordate, ossia la tesi che richiede non solo il superamento dei limiti, ma anche la sussistenza di una prova certa ed obiettiva di una effettiva e concreta idoneità delle onde elettromagnetiche a ledere o molestare i potenziali soggetti ad esse esposti. Tale tesi, del resto, è quella maggiormente conforme non solo alla oggettiva ed attuale volontà del legislatore, ma anche al principio di necessaria offensività della fattispecie penale.

15. In conclusione il Collegio ritiene che il semplice superamento dei limiti tabellari da luogo ad un illecito amministrativo punito con le sanzioni previste dalla L. 22 febbraio 2001, n. 36, art. 15.

Se poi, oltre al superamento dei limiti, vi sia anche la prova certa ed oggettiva di un effettivo e concreto pericolo di nocumento per la salute o la tranquillità delle persone, allora potrà essere ravvisabile il reato di cui all’art. 674 cod. pen..

Non può però omettersi di rilevare che anche questa soluzione potrebbe dar luogo ad un sistema nel suo complesso manifestamente irrazionale – e non potrebbe quindi più essere seguita – qualora nel diritto vivente dovessero prevalere alcuni orientamenti interpretativi relativi sia all’art. 674 cod. pen., sia alla L. n. 36 del 2001.

Sotto questo profilo viene in primo luogo in evidenza l’inconveniente, da più parti sottolineato, che, ritenendo applicabile l’art. 674 cod. pen., si potrebbe determinare un sistema sanzionatorio nel suo complesso manifestamente irrazionale. Infatti, il semplice superamento dei limiti sarebbe punito con la sanzione del pagamento di una somma da Euro 1.032,00, ad Euro 309.874,00, e, nei casi più gravi, anche con la chiusura e l’oscuramento dell’emittente. Se poi il superamento dei limiti determini anche un concreto ed effettivo pericolo per la salute o la tranquillità delle persone, allora, sebbene si tratti di un comportamento oggettivamente più grave, queste pesanti sanzioni amministrative non sarebbero più applicabili ed al loro posto dovrebbe applicarsi esclusivamente la pena prevista dall’art. 674 cod. pen., ossia l’arresto fino ad un mese o, alternativamente, l’ammenda fino ad Euro 206,00, magari estinguibile mediante oblazione. La L. n. 36 del 2001, art. 15, comma 1, invero dispone che le sanzioni amministrative ivi previste si applicano "salvo che il fatto costituisca reato". In virtù di questa clausola di riserva, quindi, la circostanza che il fatto, essendo anche in concreto potenzialmente nocivo, integri il reato di cui all’art. 674 cod. pen., potrebbe comportare l’esclusione della applicabilità delle sanzioni amministrative (cfr., in questo senso, Sez. 1^, 30 gennaio 2002, n. 8102, ******, secondo cui l’applicazione dell’art. 674 c.p., comporta l’"esaurimento dell’intero disvalore del fatto"; v. anche Sez. 1^, 12 marzo 2002, n. 15717, ******, secondo cui la previsione delle "ipotesi di illecito amministrativo si pone in termini di ordinaria alternatività rispetto alla sussistenza del reato"). Elitra parte, se per la sussistenza del reato è necessaria la presenza di un qualche elemento ulteriore e specializzante rispetto al solo superamento dei limiti, e se dunque la fattispecie penale fosse qualificabile come norma speciale rispetto a quella amministrativa, potrebbe ritenersi che le sanzioni amministrative non possano trovare applicazione anche in forza del principio di specialità di cui alla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9.

Secondo alcuni, quindi, si determinerebbe una situazione paradossale che comprometterebbe seriamente, e forse eluderebbe, il concreto funzionamento della specifica disciplina introdotta dal legislatore e gli obiettivi di tutela della salute che essa si prefigge, dal momento che si potrebbero evitare le consistenti sanzioni amministrative semplicemente invocando la sussistenza proprio della contravvenzione del "getto pericoloso di cose", magari da estinguere mediante oblazione. Tale paradossale conseguenza e l’irrazionalità complessiva del sistema che ne deriva dovrebbero appunto far ritenere, anche alla stregua di una interpretazione adeguatrice, che la volontà oggettiva del legislatore sia quella di escludere comunque l’emissione di onde elettromagnetiche dall’ambito dell’art. 674 cod. pen..

Ritiene però il Collegio che, almeno allo stato, non sia necessario giungere a questa conclusione. In primo luogo, perchè potrebbe ritenersi che la sanzione penale, proprio perchè tale, sia sempre più grave ed afflittiva della sanzione amministrativa, cosicchè non sarebbe esatto che un comportamento più grave sarebbe punito con una sanzione più lieve. La conseguenza evidenziata dalla opinione critica dianzi riportata, non potrebbe quindi in realtà considerarsi irrazionale. In secondo luogo, e soprattutto, perchè la presunta irrazionalità si verificherebbe solo se l’applicazione della sanzione penale esaurisse sempre l’illiceità del fatto ed escludesse sempre l’applicazione della sanzione amministrativa, mentre questa conseguenza non è, allo stato, certa, non essendosi ancora formati sul punto orientamenti giurisprudenziali consolidati.

L’irrazionalità, invero, non sussisterebbe qualora, nel caso di superamento dei limiti accompagnato dalla prova certa ed oggettiva di un effettivo e concreto pericolo di offesa o di molestia, fossero ravvisabili sia l’illecito amministrativo sia il reato di cui all’art. 674 cod. pen.. E’ infatti possibile che non si ritengano applicabili, rispetto alla norma dell’art. 674 cod. pen., nè la clausola di riserva prevista dalla L. n. 36 del 2001, art. 15, comma 1, nè il principio di specialità previsto dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, (cfr., ad es., Sez. 1^, 31 gennaio 2002, n. 10475, Fantasia, cit., Sez. 1^, 14 marzo 2002, *******, n. 23066, cit, ma sul presupposto, qui non condiviso, che il reato sussiste anche quando non siano superati i limiti e per il motivo, assai discutibile, che si tratterebbe di norme dirette alla tutela di beni giuridici diversi e che in tale ipotesi il principio di specialità non opererebbe; v. anche Sez. 1^, 12 marzo 2002, n. 15717, ******, cit.).

Si tratta però di una questione che esula dall’oggetto del presente giudizio e ciò sia perchè nella specie non è contestato anche l’illecito amministrativo e sia perchè, a ben vedere, essa non è nemmeno decisiva ai fini della interpretazione da darsi all’art. 674 cod. pen.. Ed difatti, a parere del Collegio, poichè non risultano essersi ancora formate sul punto nè una sicura interpretazione giurisprudenziale nè una consolidata prassi amministrativa, la sola astratta possibilità di una interpretazione che escluda il concorso tra i due illeciti e che quindi possa comportare le conseguenze dianzi prospettate non può, allo stato, essere ritenuta sufficiente ad impedire una interpretazione che faccia rientrare le onde elettromagnetiche nell’ambito dell’art. 674 cod. pen..

16. Per completezza va ancora rilevato che, sia che si escluda sia che si ammetta una possibile coesistenza dei due apparati sanzionatori penale ed amministrativo, si potrebbero verificare aspetti di manifesta irrazionalità del sistema anche sotto un ulteriore profilo, e precisamente in ordine alla sussistenza di una concreta idoneità a recare nocumento o molestia.

Si è già osservato che, per ammettere la configurabilità del reato di cui all’art. 674 cod. pen., è necessario che non vi sia una sovrapponibilità tra illecito penale ed amministrativo, ossia che l’idoneità ad offendere o molestare non si risolva, in pratica, nel solo superamento dei limiti. Ora, se si accogliesse una nozione estremamente ampia e generica di "molestia" e si ritenesse che l’idoneità ad offendere o molestare non debba essere provata in modo certo ed oggettivo, ma possa desumersi anche da mere affermazioni o sensazioni soggettive di aver subito turbamenti, o fastidi, o addirittura preoccupazioni per una eventuale possibilità di danni alla salute non verificata scientificamente ed in concreto, si determinerebbe la conseguenza che il solo superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione – proprio perchè si tratta di limiti fissati in via precauzionale a tutela della salute – potrebbe, in pratica, essere di per se stesso idoneo a provocare turbamento, preoccupazione, allarme. Ne deriverebbe che, di fatto, qualsiasi superamento dei limiti potrebbe integrare il reato purchè si dimostri che vi sia stato qualcuno che avrebbe potuto essere esposto al campo elettromagnetico. In tal modo si verrebbe quindi di nuovo a determinare, in contrasto con l’esplicita volontà del legislatore, una sostanziale sovrapposizione tra illecito amministrativo ed illecito penale ed il venir meno di qualsiasi oggettivo elemento di discrimine tra i due illeciti.

Deve però in contrario osservarsi che questa conseguenza deriverebbe in realtà da una non condividibile interpretazione della idoneità ad offendere o molestare necessaria per integrare il reato, mentre non si verifica accogliendo la corretta interpretazione di tale espressione. Ed invero, come già in precedenza osservato, deve ritenersi che la detta idoneità deve avere natura oggettiva e non meramente soggettiva, deve essere obiettivamente verificabile e che di essa deve essere fornita una prova certa e concreta. In tal modo, l’elemento ulteriore che caratterizza il reato e lo distingue dall’illecito amministrativo risulta sufficientemente ed oggettivamente individuato e delimitato. Non si determina quindi una sostanziale sovrapponibilità tra i due tipi di illecito e conseguentemente, sotto questo aspetto, non vi sono impedimenti alla ritenuta sussumibilità delle onde elettromagnetiche nell’ambito dell’art. 674 cod. pen..

17. In conclusione, ritiene il Collegio che debba essere affermato il seguente principio di diritto:

"Il fenomeno della emissione di onde elettromagnetiche rientra, per effetto di una interpretazione estensiva, nell’ambito dell’art. 674 cod. pen.. Detto reato è configuratale soltanto allorchè sia stato, in modo certo ed oggettivo, provato il superamento dei limiti di esposizione o dei valori di attenzione previsti dalle norme speciali e sia stata obiettivamente accertata una effettiva e concreta idoneità delle emissioni ad offendere o molestare le persone esposte, ravvisabile non in astratto, per il solo superamento dei limiti, ma soltanto a seguito di un accertamento (da compiersi in concreto) di un effettivo pericolo oggettivo, e non meramente soggettive". 18. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, che procederà ad un nuovo giudizio attenendosi agli enunciati principi di diritto.

Poichè peraltro anche la sentenza di condanna di primo grado non si è attenuta a tali principi e poichè quindi è possibile che, alla stregua degli stessi, il giudice di rinvio pervenga ad un proscioglimento nel merito perchè il fatto non sussiste o non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, l’annullamento con rinvio deve riguardare entrambi gli imputati. Non può invero pronunciarsi sentenza di estinzione del reato per prescrizione nei confronti del card. T. (il quale è stato assolto dalla sentenza ora annullata perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato), in quanto in tal modo lo si priverebbe, di fatto, di un secondo grado di giudizio di merito, nonostante la precedente assoluzione nel merito. Tanto meno, poi, sarebbe possibile confermare nei suoi confronti le statuizioni civili della sentenza di primo grado.

Infine, tenuto conto della complessità delle questioni trattate e dell’esito della decisione, si ritiene equo compensare integralmente tra le parti private le spese di questo grado del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte ******** di Roma.

Compensa tra le parti private le spese del giudizio di cassazione.

Redazione