Corte di Cassazione Penale sez. III 25/3/2010 n. 11560

Redazione 25/03/10
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ordinanza del 16/17 settembre 2009 il Tribunale per i Minorenni di Messina respingeva l’istanza di riesame e di revoca della misura cautelare del collocamento in comunità, ovvero, in subordine, di applicazione di misura meno afflittiva disposta il 1 settembre 2009 dal Giudice per le indagini preliminari di Messina nei confronti di M.F., indagato in ordine al delitto di cui all’art. 609 octies c.p., art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, e art. 609 ter c.p., n. 2, nei confronti di una ragazza minore, per fatto verificatosi il (omissis), con contestuale affidamento dell’indagato ai Servizi minorili dell’Amministrazione della Giustizia per la dovuta attività di sostegno e controllo.

Ha proposto ricorso per cassazione l’indagato chiedendo l’annullamento dell’impugnata ordinanza.

Tanto premesso il Collegio rileva che, con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione di legge in relazione agli artt. 609 octies e 609 bis c.p., e l’illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui era stata ritenuta la sussistenza, a carico di esso indagato, dei gravi indizi di colpevolezza in ordine alla sua partecipazione alla violenza sessuale di gruppo.

Deduce in proposito il ricorrente che egli si era limitato a riprendere con il telefonino cellulare l’attività posta in essere dal coimputato R. e tale condotta non poteva configurare una partecipazione al reato di violenza sessuale posto in essere, in modo autonomo, dal coindagato. Era inoltre da escludere che, con il suo comportamento, egli avesse in qualche modo rafforzato o agevolato gli eventuali propositi criminosi del suddetto coimputato, come comprovato dal fatto che i filmati si riferivano esclusivamente alle fasi conclusive degli eventi.

Rileva in proposito il ricorrente che la giurisprudenza di legittimità richiamata dal Tribunale del riesame si riferiva a fattispecie in cui la presenza di più persone aumenta la forza intimidatoria della violenza di gruppo, mentre nell’episodio in oggetto non si era in presenza di fatto commesso con violenza o minaccia ma di induzione della persona offesa a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della stessa al momento del fatto (art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1).

Rileva il Collegio che il motivo è infondato.

Il Tribunale del riesame ha infatti rilevato che dalle deposizioni dei testi presenti ai fatti era emerso che l’indagato era presente durante gli atti sessuali compiuti dal R. e da altri soggetti mentre la minore si trovava in stato di incoscienza dopo essere stata costretta dal R. a bere una bevanda, (in cui era stata versata cenere) ed aveva registrato parte dell’episodio con il telefono cellulare, come del resto ammesso dallo stesso indagato.

Trova quindi applicazione il principio affermato da consolidata giurisprudenza di legittimità (vedi per tutte Cass. pen. sez. 3^ sent 3 giugno 1999, n. 11541, rv 215149) secondo cui l’art. 609 octies c.p., nell’individuazione della condotta punibile, si riferisce espressamente a tutti gli atti di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis c.p., e quindi anche alle ipotesi previste dal comma 2, di detta norma" tra cui la violenza compiuta abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto.

Nel caso in esame all’indagato è contestato di aver partecipato al comportamento criminoso posto in essere dal coindagato R., in quanto era presente nel momento in cui quest’ultimo aveva posto in essere la violenza ed aveva fotografato la parte finale dell’episodio, (che, tra l’altro, vedeva coinvolto anche il fratellino minore dell’indagato, non imputabile), sicchè doveva ritenersi acclarata la sua partecipazione attiva e consapevole, non realizzatasi attraverso atti tipici di violenza sessuale ma, comunque, in rapporto causale con quello che i coindagati stavano ponendo in essere.

Il Tribunale del riesame ha inoltre correttamente richiamato una consolidata giurisprudenza di legittimità, (vedi per tutte sent. 13 novembre 2003, n. 3348, rv 227496), secondo cui ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo l’espressione più persone contenuta nell’art. 609 octies c.p., comprende anche l’ipotesi che gli autori del fatto siano soltanto due, precisando che per la sussistenza del reato è necessaria la simultanea ed effettiva presenza di più persone nel luogo e nel momento di consumazione dell’illecito, in un rapporto causale inequivocabile, ma ciò non comporta anche la necessità che ciascun compartecipe ponga in essere un’attività tipica di violenza sessuale nè che realizzi l’intera fattispecie nel concorso contestuale dell’altro o degli altri correi, potendo il singolo realizzare soltanto una frazione del fatto tipico ed essendo sufficiente che la violenza o la minaccia provenga anche da uno solo degli agenti.

Perchè possa ritenersi sussistente il concorso nel reato di cui all’art. 609 octies c.p., deve infatti farsi riferimento alla maggiore forza intimidatoria del gruppo sulla vittima, ovvero anche al solo rafforzamento, come nel caso in esame, della volontà criminosa del soggetto o dei soggetti che compiono comportamenti tipici all’art. 609 bis c.p., (vedi in tal senso Cass. pen. sez. 3^ sent. 23 marzo 2005, n. 17843, rv 231524; vedi anche Cass. pen. sez. 3^ sent. 5 aprile 2000, n. 6464, rv 216978).

E’ opportuno ribadire che, nel caso in esame, l’indagato, come ha rilevato il Tribunale del riesame, non risulta essersi limitato ad una presenza passiva in loco ma ha dato un contributo attivo di adesione al comportamento del R. fotografando la parte finale dell’episodio.

Va quindi respinto il primo motivo di ricorso.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’assoluta carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui il Tribunale aveva confermato la ricorrenza dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c, senza rispondere ai rilievi da lui sollevati con l’istanza di riesame.

Deduce il ricorrente che con la richiesta di riesame la difesa aveva evidenziato che la confessione resa dal minore, il comportamento tenuto già all’indomani dei fatti di causa, concretizzatosi nella spontanea cancellazione delle riprese da lui effettuate in data (omissis), dopo averle fatte visionare alla parte offesa, e l’effetto deterrente derivante dall’applicazione della misura nei confronti di un minore, incensurato ed appartenente ad una famiglia di sani principi morali, erano tutti elementi da valutare favorevolmente al fine di escludere qualsiasi dubbio in ordine al pericolo di reiterazione dei fatti della stessa specie di quelli per cui si procedeva e che, comunque, era trascorso un tempo rilevante dall’accadimento dei fatti e l’applicazione della misura, sicchè dovevano ritenersi affievolite le esigenze cautelari.

Rileva il Collegio che anche il secondo motivo è infondato.

In ordine alle esigenze cautelari il Tribunale del riesame ha infatti adeguatamente ed esaustivamente motivato rilevando che le esigenze cautelari, correlate al pericoloso di reiterazione di fatti analoghi e che avevano determinato il ricovero del M. in comunità, erano desumibili dalla indubbia gravità del reato, dalle specifiche modalità e circostanze del comportamento criminoso, eseguito nel corso di un incontro tra giovani che avrebbe dovuto essere festoso e conviviale, approfittando dello stato di incapacità indotto nella persona offesa, della personalità dell’indagato, che aveva dimostrato assoluto spregio della dignità della vittima in quanto aveva continuato nel suo comportamento, nonostante il rimprovero rivoltogli da altro giovane, che voleva porre fine alla violenza ed aveva qualificato come divertimento il gravissimo episodio di cui si stava rendendo corresponsabile.

Era infine censurabile il comportamento dell’indagato che, pur ammettendo la sua illecita condotta, peraltro già emergente dalle deposizioni dei testi, aveva affermato, contrariamente al vero, di aver cancellato il filmato subito dopo averlo fatto vedere alla minore ed aveva cercato di attribuire l’iniziativa dell’episodio alla stessa parte offesa.

Il Tribunale del riesame ha inoltre rilevato che, alla luce di tali elementi, il decorso del tempo non poteva far ritenere venute meno o affievolite le esigenze cautelari.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine al rifiuto di sostituzione della misura cautelare del collocamento in comunità con altra meno afflittiva rilevando che il Tribunale l’aveva motivata con il comportamento narcisistico dell’indagato e con la sua mancata presa di coscienza in ordine alla gravità della condotta, senza considerare che tale atteggiamento si era manifestato solo all’inizio del colloquio con gli operatori sociali mentre nel corso del colloquio era emersa la riflessione e la consapevolezza dell’indagato in ordine alle sue responsabilità.

Anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato, atteso che il Tribunale del riesame ha adeguatamente motivato rilevando che il ricovero in Comunità era l’unica misura da ritenersi adeguata, tenuto conto della gravità del reato, con riferimento alle modalità e alle circostanze del fatto di cui sopra, e della capacità a delinquere dimostrata dall’indagato. Questi non aveva infatti dimostrato un effettivo ravvedimento avendo tentato di giustificare e minimizzare la sua azione trasgressiva, sicchè la misura del ricovero in Comunità doveva ritenersi necessaria per la tutela delle esigenze rieducative e risocializzanti del minore quali emergevano anche dalle relazioni sociali in atti.

Il Tribunale del riesame ha inoltre rilevato che la permanenza dell’efficacia del collocamento in comunità non contrastava con il dettato di cui al D.P.R. n. 448 del 1988, art. 19, comma 2, in quanto la tutela delle esigenze endoprocessuali e la prevenzione di ulteriori comportamenti illegali poteva essere assicurata anche attraverso la sollecitazione del soggetto verso nuovi impegni personali e sociali, come previsto nel provvedimento impugnato che aveva disposto, ai sensi del citato articolo, l’affidamento dell’indagato ai Servizi Minorili dell’Amministrazione della Giustizia per lo svolgimento di attività sociali seguite e controllate da Operatori specializzati.

Il Tribunale del riesame ha inoltre espressamente autorizzato la frequentazione scolastica del minore.

Va quindi respinto anche il terzo motivo di ricorso.

Non deve provvedersi alla condanna alle spese conformemente al principio enunciato da questa Corte a Sezioni Unite (SU 31 maggio 2000, n. 15) secondo cui il minorenne che abbia proposto ricorso per cassazione non va condannato, in caso di rigetto dell’impugnazione, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2010.

Redazione