Corte di Cassazione Penale sez. III 13/3/2009 n. 11170; Pres. Vitalone C.

Redazione 13/03/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

N.D. e I.M.D.M. vennero rinviati a giudizio per rispondere di diversi reati di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. b), ed alla L. 2 febbraio 1974, n. 64, tutti relativi alla ristrutturazione, al fine di utilizzazione come villa, di un vecchio fabbricato rurale con terreno annesso.

In particolare vennero contestati i seguenti interventi effettuati senza concessione edilizia: capo A1) parziale demolizione e parziale ristrutturazione dell’immobile preesistente con realizzazione di un fabbricato a due elevazioni fuori terra; capo B1) manufatto in mattoni adibito a lavanderia e deposito; capo C1) tettoia aperta; D1) baracca in legno con superficie di mq. 42, 33; capo E1) gazebo; capo F) vasca; capo G1) manufatto in legno per la parte fuori terra adibita a ricovero attrezzi agricoli e sportivi (palestra) ed in cemento per la parte cantinata, adibita a locale tecnologico. Con i capi A2), B2), C2), D2), E2), G2) vennero contestate le relative violazione della L. 2 febbraio 1974, n. 64.

Il giudice del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con sentenza del 28 ottobre 2005, assolse gli imputati dai capi C1) (tettoia), E1) (gazebo) ed F) (vasca) perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, trattandosi di manufatti aventi natura pertinenziale;

dichiarò non doversi procedere in ordine al capo A1) ed a tutte le contravvenzioni alle norme antisismiche per essere tali reati estinti per prescrizione; e dichiarò invece gli imputati colpevoli in ordine ai reati di cui ai capi B1) (lavanderia), D1) (baracca), e G1), limitatamente alla porzione fuori terra (deposito di attrezzi agricoli), condannandoli alla pena ritenuta di giustizia, con l’ordine di demolizione dei relativi manufatti.

Il giudice osservò, tra l’altro, che per l’abitazione principale (capo A1) la concessione in sanatoria era stata ottenuta ma non era stata rilasciata e quindi operava la causa estintiva della prescrizione; che gli altri manufatti per cui era intervenuta condanna non avevano natura pertinenziale; che non operava il richiesto condono edilizio perchè la seconda e la terza rata dell’oblazione erano state pagate in ritardo.

Gli imputati proposero appello deducendo alcune nullità formali del decreto di citazione a giudizio e della sentenza, nonchè, nel merito, in ordine al capo A1), che sulla causa estintiva della prescrizione avrebbe dovuto prevalere quella del rilascio della concessione edilizia in sanatoria già intervenuta, ed, in ordine agli altri capi, che doveva pronunciarsi assoluzione perchè il fatto non era previsto dalla legge come reato perchè tutti i manufatti avevano natura pertinenziale e comunque dichiararsi l’estinzione dei reati per prescrizione o per condono edilizio.

Con memoria del 10 aprile 2007, gli imputati approfondirono ulteriormente l’eccezione, già proposta in primo grado, di inutilizzabilità dei verbali di accertamento e delle relative dichiarazioni testimoniali per violazione dell’art. 68 Cost., comma 2, e della prerogativa di inviolabilità del domicilio dei parlamentari.

La Corte d’appello di Messina, con la sentenza in epigrafe, dichiarò inammissibile l’appello proposto in relazione al capo A1); dichiarò la nullità della sentenza di primo grado limitatamente all’omessa pronuncia sui capi C1, E1, e G1, con riferimento per quest’ultimo alla parte relativa al piano cantinato adibita a locale tecnologico, con restituzione degli atti al giudice di primo grado; dichiarò non doversi procedere in ordine ai reati di cui ai capi B1), D1) e G1), quest’ultimo limitatamente alla porzione fuori terra del manufatto, perchè estinti per prescrizione; revocò l’ordine di demolizione e confermò nel resto la sentenza di primo grado.

Il solo N.D. propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione dell’art. 552 c.p.p., e nullità del decreto di citazione a giudizio in primo grado perchè con esso era stata contestata la violazione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, ossia di una norma già abrogata da circa un anno, tra l’altro impedendo agli imputati di determinarsi correttamente sull’eventuale scelta di un rito alternativo, anche perchè con le nuove disposizioni le pene erano raddoppiate;

2) abnormità, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado limitatamente all’omessa pronuncia sui capi C1, E1, e G1, con restituzione degli atti al giudice di primo grado, mente avrebbe dovuto essere dichiarata la nullità dell’intera sentenza di primo grado.

3) violazione dell’art. 68 Cost. e degli artt. 343 e 191 c.p.p., inutilizzabilità dei relativi atti di indagine e mancanza di motivazione, perchè non potevano essere disposti senza autorizzazione della Camera di appartenenza i ripetuti accessi e perquisizioni presso l’abitazione del senatore N., che all’epoca era parlamentare della Repubblica, con conseguente inutilizzabilità degli atti di indagine e delle testimonianze che degli stessi erano illegittime proiezioni, i quali costituiscono le uniche prove sulle quali si fondano le sentenze di merito.

4) violazione di legge e mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, ed al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in ordine al mancato proscioglimento degli imputati in relazione ai reati di cui ai capi B1), D1) e G1), quest’ultimo limitatamente alla porzione fuori terra del manufatto, perchè i fatti non sono previsti dalla legge come reato. Osserva che dagli atti emerge che i manufatti indicati in detti capi sono delle pertinenze per le quali non si applica il regime concessorio, sicchè il fatto non integra il reato contestato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La sentenza impugnata è erronea sotto diversi profili.

La dichiarazione di inammissibilità dell’appello relativamente al reato di cui al capo A1) (dichiarato prescritto dalla sentenza di primo grado) deve invero ritenersi illegittima a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2008, che ha reso ammissibile l’appello avverso le sentenze di proscioglimento.

E’ anche erronea la dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado limitatamente alla omessa pronuncia sui capi C1), E1)e G1) (limitatamente alla parte cantinata adibita a locale tecnologico) con restituzione degli atti al giudice di primo grado, per il motivo che l’assoluzione risultava solo nel dispositivo della sentenza depositata e non anche nel dispositivo letto in udienza. Ed infatti, la Corte d’appello avrebbe in ogni caso dovuto decidere nel merito, se non altro ai sensi dell’art. 129 c.p.p., dal momento che la sentenza di primo grado aveva comunque accertato in motivazione, pur non dandone atto nel dispositivo letto in udienza, ma con statuizione che non era stato oggetto di gravame, che le condotte relative a detti capi riguardavano immobili aventi natura pertinenziale, per i quali quindi non era necessaria la concessione edilizia o il permesso di costruire ma era sufficiente una semplice autorizzazione, sicchè i fatti in tali capi contestati non erano previsti dalla legge come reato.

Per tutti gli altri reati contestati è ormai intervenuta la prescrizione.

E tuttavia, non può ribadirsi la pronuncia di assoluzione perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato in ordine ai fatti di cui ai capi C1), E1) e G1) (limitatamente alla parte cantinata adibita a locale tecnologico) nè può pronunciarsi l’estinzione di tutti gli altri reati contestati per intervenuta prescrizione, e ciò perchè, in accoglimento del terzo motivo di ricorso ed ai sensi dell’art. 129 c.p.p., deve pronunciarsi, ex art. 530 c.p.p., comma 2, sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste in ordine a tutti i reati di cui alla originaria contestazione, e ciò in quanto manca la prova della sussistenza dei fatti contestati. Si tratta invero di formula più favorevole all’imputato in quanto ampiamente liberatoria, e che deve quindi avere la preferenza rispetto alle altre suddette formule di proscioglimento.

Risulta dalle sentenze di merito che, a seguito di un esposto anonimo che segnalava la realizzazione di abusi edilizi nell’abitazione degli odierni ricorrenti, in data (OMISSIS) i carabinieri entrarono all’interno della villa (recintata da un muro e non visibile dall’esterno), e quindi anche all’interno della stessa abitazione, al fine di compiere un accertamento "a sorpresa" (v. sent. primo grado, pag. 5) per rilevare la presenza di cose o segni attestanti la commissione di eventuali reati edilizi. Due successivi sopralluoghi sempre all’interno della villa e dell’abitazione furono compiuti dai tecnici del comune in data (OMISSIS). Questi accertamenti si conclusero, oltre che con la redazione dei relativi verbali, con i rilievi tecnici e con una serie di rilievi fotografici, mentre non fu effettuato alcun sequestro poichè i lavori risultarono ultimati.

Il ricorrente N. ha tempestivamente eccepito – ma la questione sarebbe comunque rilevabile d’ufficio – che, essendo egli senatore della Repubblica, i suddetti accertamenti compiuti all’interno della sua abitazione, così come le testimonianze dei verbalizzanti che hanno riferito sugli esiti degli accertamenti stessi e che da essi dunque dipendono, sono inutilizzabili ai sensi degli artt. 191 e 343 c.p.p., trattandosi di prove assunte in violazione dello specifico divieto posto dall’art. 68 Cost., comma 2, il quale stabilisce che nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene.

Risulta dagli atti, ed è comunque pacifico, che la polizia giudiziaria non si limitò ad una semplice ispezione dei luoghi compiuta dall’esterno del domicilio, ma entrò all’interno dell’abitazione del sen. N., al fine di reperire eventuali cose pertinenti a reati edilizi e tracce dei reati stessi. E’ anche pacifico che non fu chiesta nè ottenuta alcuna autorizzazione dal Senato della Repubblica, mentre è irrilevante il consenso eventualmente dato dagli imputati o da loro familiari, dal momento che la guarentigia prevista dall’art. 68 Cost., comma 2, è posta a tutela della Camera di appartenenza e non già del singolo parlamentare, il quale quindi non può validamente rinunciarvi.

Il giudice di primo grado ha ritenuto che non vi sia stata violazione dell’art. 68 Cost., comma 2, e della prerogativa della inviolabilità del domicilio del parlamentare, osservando, da un lato, che gli accertamenti compiuti e la constatazione delle opere ritenute abusive, descritte sulla scorta della semplice visione dei manufatti, non integravano delle vere e proprie perquisizioni, neppure considerando l’ingresso nell’interno del terreno privato o in alcuni manufatti, e, da un altro lato, che l’art. 68 Cost., in quanto previsione di carattere eccezionale, non è estensibile in via analogica, e quindi "soltanto un vero e proprio atto di perquisizione avrebbe richiesto l’autorizzazione, e per perquisizione va inteso l’atto finalizzato alla apprensione di cose, previa la ricerca delle stesse, sulla persona o in luoghi. Nella occasione i verbalizzanti non operarono alcuna ricerca, nè tanto meno apprensione di cose nei luoghi, ma si limitarono a constatare l’esistenza di opere edili, senza determinare interferenza alcuna con la sfera domiciliare del parlamentare".

La Corte d’appello di Messina, da parte sua, sebbene la questione della violazione dell’art. 68 Cost., fosse stata espressamente riproposta con una specifica ed articolata memoria depositata il 10 aprile 2007, ha semplicemente omesso di esaminarla, ignorandola completamente.

Resta quindi la motivazione adottata dal tribunale. Ora, ritiene il Collegio che debba certamente convenirsi con l’affermato carattere "eccezionale" delle previsioni contenute nell’art. 68 Cost., comma 2, e quindi della impossibilità di una loro applicazione analogica, come del resto rilevato anche dalla Corte costituzionale con la sent. n. 225 del 2001, secondo la quale, al di fuori delle "tassative ipotesi" previste dall’art. 68 Cost., "trovano applicazione, nei confronti dell’imputato parlamentare, le generali regole del processo, assistite dalle correlative sanzioni, e soggette nella loro applicazione agli ordinari rimedi processuali".

Non può invece condividersi la seconda parte della motivazione sul punto della sentenza di primo grado, laddove ha escluso che nel caso di specie l’accertamento "a sorpresa" compiuto all’interno dell’abitazione del parlamentare costituisse una perquisizione, ai sensi della disposizione costituzionale, in sostanza per la sola ragione che al termine di esso non vi fu alcun sequestro di cose pertinenti al reato, così in pratica attribuendo al termine "perquisizione" utilizzato dall’art. 68 Cost., comma 2, il significato di accertamento su persone o in luoghi che non solo sia finalizzato ma si sia anche concluso con l’apprensione di cose, previa ricerca delle stesse.

Non può invero dubitarsi che nella specie l’ingresso nell’abitazione da parte della polizia giudiziaria fosse finalizzato non solo ad ispezionare i luoghi ad a rilevare mere tracce del reato ma anche a ricercare ed eventualmente ad apprendere cose. La stessa sentenza di primo grado, infatti, da espressamente atto che si trattò di un accertamento "a sorpresa", il quale evidentemente in tanto aveva un senso in quanto finalizzato appunto a ricercare corpi di reato o cose pertinenti al reato che si temeva potessero sparire e non solo a rilevare le tracce degli abusi edilizi, che evidentemente non potevano comunque essere eliminate.

In ogni modo, a prescindere dalla sua finalizzazione e dai suoi esiti in concreto, l’ingresso nell’abitazione del parlamentare era, con valutazione ex ante, potenzialmente idoneo non solo a rilevare tracce ma anche a rinvenire e sequestrare cose, e quindi deve essere qualificato come "perquisizione" ai sensi dell’art. 68 Cost., comma 2, e rientra quindi nella guarentigia ivi prevista.

Il giudice di primo grado, nell’interpretare il testo dell’art. 68 Cost., si è limitato esclusivamente a considerare la disposizione di cui all’art. 247 c.p.p., nel quale la perquisizione – a parte il caso in cui è volta ad eseguire l’arresto dell’imputato -, in quanto mezzo di ricerca della prova, è contraddistinta dall’essere diretta alla ricerca del corpo del reato o delle altre cose pertinenti al reato, differenziandosi in tal modo dall’ispezione che, a norma dell’art. 244 c.p.p., è finalizzata all’accertamento delle tracce e degli altri effetti materiali del reato.

La difesa sostiene invece che questa interpretazione è riduttiva, perchè il legislatore non ha sempre attribuito univocamente al termine perquisizione il significato di atto finalizzato esclusivamente alla ricerca ed apprensione di cose. Così, l’art. 352 c.p.p., individua testualmente la perquisizione come atto finalizzato all’accertamento di "cose o tracce pertinenti al reato"; e nella stessa accezione il termine era utilizzato dall’art. 224 del vecchio c.p.p.. La difesa osserva anche che nella legislazione speciale si rinvengono diverse disposizioni in cui il termine viene usato per indicare una attività di ricerca funzionale al contrasto ed alla repressione di determinati illeciti, e quindi non avente solo finalità di ricerca di cose da apprendere, ma evidentemente anche alla individuazione di tracce del reato (ad es., L. n. 4 del 1929, art. 33, sulle perquisizioni domiciliari al fine della repressione di reati finanziari; R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 41, per le perquisizioni domiciliari e locali qualora la polizia giudiziaria abbia notizia dell’esistenza di armi, munizioni o materie esplodenti;

L. n. 152 del 1975, art. 4, in tema di perquisizioni nell’ambito di attività di prevenzione e tutela dell’ordine pubblico; art. 25 bis del D.L. n. 306 del 1992, in tema di perquisizioni di edifici nell’ambito dell’attività di contrasto della criminalità organizzata o terroristica; D.L. n. 122 del 1993, art. 5, in tema di perquisizioni relative al contrasto di attività delittuose in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa). Secondo la difesa, dunque, le espressioni "perquisizione locale" e "perquisizione domiciliare" sono talvolta impiegate dal legislatore non in contrapposizione alla "ispezione" ma in una accezione più lata, di attività volta alla ricerca e alla individuazione, o che comunque può consentire la ricerca e l’individuazione, di cose o tracce pertinenti al reato in un determinato luogo o nel domicilio di una persona.

Ritiene il Collegio che non sia necessario esaminare il fondamento di questa tesi difensiva secondo cui al termine perquisizione, ai fini dell’art. 68 Cost., potrebbe darsi un significato più esteso, comprensivo anche delle attività volte soltanto alla individuazione delle tracce del reato. E ciò perchè l’interpretazione seguita dal giudice di primo grado deve essere disattesa anche mantenendo al termine perquisizione domiciliare il significato di attività distinta e separata dalla mera ispezione. E’ tuttavia evidente che nell’individuare il significato che all’espressione è stata data dall’art. 68 Cost., comma 2, e quindi al fine di segnare l’ambito della guarentigia parlamentare, il termine deve essere interpretato alla luce dell’origine storica, delle finalità e della ratio della norma costituzionale, nonchè cercando di operare una ricostruzione sistematica che inquadri organicamente le previsioni dell’art. 68 nell’ambito del disegno costituzionale.

Può, a questo proposito, ricordarsi la già citata sent. n. 225 del 2001 della Corte costituzionale, la quale ha espressamente operato un parallelismo tra l’art. 68 Cost. e l’art. 13 Cost., commi 1 e 2, in materia di libertà personale, nonchè tra l’art. 68 Cost., comma 3, e l’art. 15 Cost., in materia di libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione. Un analogo parallelismo, quindi, ben potrebbe operarsi anche tra l’art. 68 Cost., comma 2, e l’art. 14 Cost., in materia di inviolabilità del domicilio. La prerogativa parlamentare, pertanto, potrebbe essere intesa nel senso che il suo ambito di operatività coincida, quantomeno tendenzialmente, con quello oggetto del medesimo art. 14 Cost..

Quanto alla ratio ispiratrice della norma costituzionale, essa è stata più volte evidenziata sia della giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, sia dalla prassi parlamentare. Può ricordarsi la sent. n. 58 del 2004 della Corte costituzionale, la quale ha espressamente affermato che la norma di cui al secondo comma dell’art. 68 Cost., nella parte in cui dispone che, senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, "intende garantire al parlamentare l’inviolabilità della sua residenza ed anche di spazi ulteriori identificabili come domicilio, in vista della tutela dell’interesse del Parlamento al pieno dispiegamento della propria autonomia, esplicantesi anche nel libero esercizio del mandato parlamentare, rispetto agli altri poteri dello Stato".

Va anche evidenziato che la giurisprudenza costituzionale ha sempre interpretato la nozione di domicilio del parlamentare ai sensi dell’art. 68 Cost. in senso lato, come comprensiva di "spazi ulteriori" rispetto all’abitazione vera e propria ed alla comune definizione di domicilio, spazi ulteriori che comunque devono anch’essi essere protetti per permettere che il libero esercizio del mandato parlamentare possa esplicarsi in piena autonomia. Secondo la giurisprudenza costituzionale, quindi, l’art. 68 Cost., da un lato, con il divieto (senza autorizzazione) di perquisizioni personali protegge il parlamentare da atti invasivi della sua persona, dall’altro, con il divieto di perquisizioni domiciliari prevede la protezione di un luogo, di uno spazio pertinente al parlamentare nei confronti atti invasivi di tale luogo o spazio.

Nella giurisprudenza di questa Corte, può ricordasi la sent. della Sez. 3^, 28 ottobre 1999, n. 13484, *********, dove espressamente si afferma che nei confronti di un parlamentare in carica "non è possibile emettere o eseguire provvedimenti di perquisizione o sequestro", che si risolvano in una lesione della inviolabilità del domicilio del parlamentare medesimo, senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza. La medesima sentenza chiarisce poi anche la ratio dell’istituto costituzionale in esame, affermando che esso "è volto a tutelare la integrità e indipendenza della funzione parlamentare, consentendo al rappresentante del corpo elettorale di svolgere liberamente il suo mandato, al riparo di provvedimenti che limitano la sua libertà personale, o la inviolabilità del suo domicilio e della sua corrispondenza".

Nella prassi parlamentare, può ricordarsi, nella 9 legislatura, la relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato (Doc. 4, n. 2^) del 16 febbraio 1984, approvata dall’Assemblea nella seduta del 14 marzo 1984, nella quale si ritenne espressamente che lo svolgimento di una ispezione domiciliare nei confronti di un parlamentare senza la preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza violava apertamente il disposto dell’art. 68 Cost., (è appena il caso di ricordare che la riforma dell’art. 68 Cost., operata nel 1993 non ha innovato in alcun modo sul punto in esame). Altri episodi portati alla discussione della Camera dei Deputati il 29 ottobre 1992 (relativi agli onn. D.L. e L.) dimostrano ancora come una interpretazione restrittiva dell’art. 68 Cost., comma 2, sul punto relativo alla inviolabilità del domicilio potrebbe prestarsi ad agevoli forme di aggiramento e di sostanziale elusione della finalità sottesa alla norma costituzionale.

Orbene, non può ritenersi conforme alla ratio ed alla finalità della norma costituzionale una interpretazione come quella data dal giudice di primo grado, secondo cui per stabilire se si ha perquisizione (vietata) o mera ispezione (permessa) dovrebbe compiersi non una valutazione ex ante, ma solo ex post, sicchè non si dovrebbe aver riguardo alla potenziale attitudine invasiva della attività svolta, ma solo ai suoi esiti concreti, con la conseguenza che non si avrebbe una perquisizione domiciliare ai sensi dell’art. 68 Cost., comma 2, qualora gli accertamenti e le ricerche compiuti all’interno dell’abitazione del parlamentare non abbiano portato in concreto all’apprensione di cose ma solo all’accertamento di tracce del reato. E’ evidente infatti che una interpretazione del genere sarebbe idonea a rendere possibili sostanziali abusi e facili elusioni della guarentigia costituzionale, e pertanto non sarebbe conforme alla finalità della norma costituzionale di assicurare una ampia ed effettiva tutela della inviolabilità del domicilio del parlamentare.

Deve quindi preferirsi, perchè più idonea a tutelare le finalità della norma costituzionale e quindi maggiormente orientata nel senso della norma stessa, una interpretazione secondo la quale, quando l’ingresso, nella abitazione del parlamentare sia, con giudizio ex ante, potenzialmente ed astrattamente idonea – come nel caso di specie – a ricercare e rilevare sia tracce sia anche cose pertinenti al reato (cfr. art. 352 c.p.p.), l’attività posta in essere rientra nell’ambito della nozione di perquisizione domiciliare nell’accezione utilizzata dall’art. 68 Cost., comma 2, senza che possa perdere tale natura ed assumere la veste della mera ispezione – con conseguente sottrazione alla garanzia costituzionalmente prevista – solo perchè per una qualsiasi ragione (ivi compresa la mera discrezionalità degli agenti operanti) non siano state trovate o comunque non siano state sequestrate cose pertinenti al reato.

Questa interpretazione, poi, non è contraddetta, ma semmai è confortata, dalla disposizione di cui alla L. 20 giugno 2003, n. 140, art. 4 (recante Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 Cost.), la quale, diversamente dall’art. 68 Cost., comma 2, (che parla di "perquisizione personale o domiciliare"), parla invece di "perquisizioni personali o domiciliari, ispezioni personali". La disposizione, quindi, sembrerebbe ribadire che la guarentigia ha per oggetto solo le perquisizioni e non anche le mere ispezioni domiciliari. Ma con l’interpretazione che qui si segue non si intende affatto affermare che devono essere autorizzate dal Parlamento anche le semplici ispezioni domiciliari nei confronti di un parlamentare, ma soltanto che rientrano nel significato di perquisizione domiciliare ai sensi dell’art. 68 Cost., tutte quelle attività che comportano la violazione del domicilio di un parlamentare e che, con valutazione ex ante, possono indifferentemente portare al reperimento di cose o di tracce del reato, anche se poi in concreto cose pertinenti al reato non siano trovate e comunque non siano sequestrate. Sotto questo profilo si spiega anche perchè la L. n. 140 del 2003, art. 4, ha chiarito che la guarentigia si estende anche alle ispezioni personali (le quali, del resto, rientrando nell’ambito di operatività della libertà personale ex art. 13 Cost., avrebbero potuto ritenersi già in precedenza non consentite senza autorizzazione). E difatti, mentre nella generalità dei casi è abbastanza agevole stabilire ex ante se una data attività è diretta a rinvenire eventuali cose occultate sulla o nella persona ovvero soltanto ad ispezionare dall’esterno la persona stessa, altrettanto non accade per le perquisizioni domiciliari, dal momento che ex ante la natura dell’attività accertativa non è di solito facilmente distinguibile. Non vi era quindi bisogno di estendere, con legge ordinaria, la guarentigia anche alle ispezioni domiciliari, proprio perchè per tali debbono intendersi, ai sensi della norma costituzionale in esame, solo quegli accertamenti che già ex ante ed in astratto non possono dar luogo alla ricerca ed apprensione di cose (come, ad esempio, i rilievi compiuti dall’esterno dell’abitazione del parlamentare o in locali che già in precedenza si sa essere vuoti).

E’ poi certo che nella specie l’attività accertativa compiuta dalla polizia giudiziaria all’interno dell’abitazione del parlamentare era (quanto meno) potenzialmente idonea al rinvenimento ed al sequestro di corpi del reato o di cose pertinenti al reato. Se invero i lavori edilizi non fossero stati già ultimati e sul luogo si fossero rinvenuti attrezzi o materiali da costruzione, gli stessi avrebbero dovuto essere sottoposti a sequestro, eventualmente anche probatorio.

E, nonostante l’ultimazione dei lavori, gli stessi manufatti o parti di immobili abusivi avrebbero potuto ugualmente essere sottoposti a sequestro se il loro utilizzo incideva sul carico urbanistico.

Peraltro, come già dianzi rilevato, nella specie l’ingresso nell’abitazione non era soltanto astrattamente idoneo, ma anche finalizzato in concreto alla ricerca ed alla apprensione di cose pertinenti al reato, tanto che la stessa sentenza di primo grado lo qualifica come accertamento "a sorpresa".

Deve quindi ritenersi che nel caso in esame si sia trattato non di una mera ispezione ma di una vera e propria perquisizione domiciliare ai sensi dell’art. 68 Cost., comma 2, dal momento che la polizia giudiziaria non si è limitata a rilevare lo stato dei luoghi dall’esterno del domicilio ma è entrata all’interno della villa e della stessa abitazione del parlamentare per compiere un accertamento che, con valutazione ex ante, era potenzialmente idoneo non solo a rilevare tracce del reato ma anche a reperire ed acquisire, all’interno dell’abitazione, cose pertinenti al reato.

L’ingresso della polizia giudiziaria nell’abitazione del parlamentare, per compiere un’attività da qualificarsi come perquisizione domiciliare, avrebbe dovuto, dunque, essere previamente autorizzato dalla Camera di appartenenza. Di conseguenza, in assenza di tale autorizzazione, gli atti compiuti devono ritenersi inutilizzabili ai sensi dell’art. 191 c.p.p., e art. 343 c.p.p., comma 4.

Poichè gli unici elementi posti a fondamento delle sentenze di merito sono appunto i verbali degli accertamenti compiuti senza autorizzazione all’interno della villa e dell’abitazione del parlamentare oltre alla descrizione delle relative attività effettuate dai verbalizzanti (le cui dichiarazioni dipendono in foto da quegli accertamenti), ossia atti inutilizzabili, ne deriva che, in mancanza di una prova della sussistenza del fatto, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti dell’appellante sen. N.D. in ordine a tutti i reati di cui alla originaria contestazione perchè il fatto non sussiste. Ai sensi dell’art. 587 c.p.p., poichè il ricorso non è fondato esclusivamente su motivi personali, gli effetti dell’impugnazione giovano anche alla coimputata non ricorrente I.M.D.M..

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di N.D. e, per l’effetto estensivo, nei confronti di I.M.D.M., in ordine a tutti i capi della originaria imputazione, perchè il fatto non sussiste.

Redazione