Corte di Cassazione Penale sez. II 9/6/2009 n. 23857; Pres. Grassi A.

Redazione 09/06/09
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OSSERVA

B.F. per il tramite del proprio difensore ricorre per Cassazione avverso la sentenza 9.5.2008 con la quale la Corte d’Appello di Messina, confermando parzialmente la decisione 6.12.2006 del Tribunale di Barcellona pozzo di Gotto, lo condannava, per il reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 640 c.p., art. 61 c.p., n. 7 alla pena di mesi otto di reclusione, ritenute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, e lo condannava altresì al pagamento, in favore della parte civile costituita al pagamento di una provvisionale di Euro 20.000,00 nonchè alla rifusione delle spese da questa sostenute nella fase e determinate in Euro 1.000,00 oltre *** e cpa.

In particolare la difesa del ricorrente richiede la pronuncia di annullamento della sentenza impugnata per: p.1.) violazione dell’art. 640 c.p., art. 61 c.p., n. 7 e art. 192 c.p.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e); p2.) violazione dell’art. 640 c.p., e art. 61 c.p., n. 7, artt. 530 e 192 c.p.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va premesso, in fatto, che lo imputato, a seguito di proposizione di denuncia – querela è stato accusato e tratto a giudizio per rispondere del delitto di truffa aggravata, perchè con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con artifici e raggiri consistiti nel manifestare a P.R. la falsa intenzione di iniziare una relazione sentimentale a scopo di matrimonio con la stessa e di avere necessità di denaro per preparare la futura casa coniugale e per sostenere le sue spese personali, procurava a sè un ingiusto profitto con pari danno per la parte offesa che gli consegnava la somma di 100.000.000 (cento milioni) tra contanti e assegni.

Condannato in primo grado, l’imputato appellando la sentenza eccepiva che il giudice di primo grado avrebbe dovuto mandarlo assolto, quantomeno ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2 avendo il giudice dubitato della credibilità oggettiva della parte offesa. Sul punto la Corte d’Appello ha affermato che la ricostruzione dei fatti fornita dalla parte offesa in ordine all’abile raggiro operato dall’imputato ai suoi danni, ha trovato una serie di riscontri, oltrechè apparire verosimile e dotata di intrinseca logicità.

Infatti la Corte d’Appello, dopo avere rilevato che non è emersa alcuna ragione di astio, ovvero di altro tipo per la quale la PARATORE avrebbe dovuto accusare ingiustamente il prevenuto, ha affermato che elementi di riscontro dovevano essere rinvenuti nelle dichiarazioni di D.S.A. e di R.R. oltre che da I.G.. Dal complesso del materiale probatorio acquisito la Corte d’Appello, confermando sostanzialmente la decisione con la quale il giudice di primo grado aveva altresì assolto l’imputato dal più grave delitto di estorsione (capo b della originaria rubrica della imputazione), ha dedotto, che il rapporto tra l’imputato e la demandante non era di semplice conoscenza, ma ben più profondo, costruito intorno ad un progetto comune con la prospettazione del quale, l’imputato ha "risucchiato i risparmi della povera donna e non solo (pare che si sia fatto consegnare 3 milioni dalla madre della parte offesa), senza dare corso alla realizzazione del progetto stesso".

Con il primo motivo di ricorso, la difesa denuncia che i parametri adoperati dal giudice dell’Appello, nella valutazione della prova appaiono censurabili, perchè non trovano riscontro e hanno solo valore di indizi. Il ricorrente inoltre si duole del fatto che la Corte d’Appello avrebbe valorizzato la deposizione della persona offesa, la cui credibilità è stata oggetto di censura non valutata in modo soddisfacente dal giudice del gravame.

Le censure mosse sono infondate. In termini corretti la Corte d’Appello (come peraltro il giudice di primo grado), prendendo sostanzialmente atto che la parte offesa, denunciante era costituita anche parte civile (quindi titolare di pretese giuridiche verso l’imputato) ha valutato in modo particolarmente accurato le dichiarazioni di quest’ultima conformemente ai dettami della giurisprudenza di legittimità Cass., sez. 6, 3.6.2004 Patella;

Cass., sez. 6, 4.11.2004 *********; Cass., sez. 4, 13.11.2003 *******, posto che, nell’ambito della vicenda processuale, assumevano un ruolo di assoluta centralità.

Dalla lettura della sentenza impugnata si evince infatti che la Corte territoriale ha sottoposto le dichiarazioni della parte offesa ad un vaglio di credibilità e coerenza intrinseca, sondando, fino ad escluderlo, se potessero sussistere ragioni recondite che potessero avere costituito da detonatore di una vendetta. La Corte inoltre ha dato conto di avere operato una verifica estrinseca delle dichiarazioni della stessa parte offesa, indicando ulteriori e diverse fonti di prova rappresentate da testimoni che, per la estraneità dalla vicenda, sono stati considerati particolarmente attendibili.

Poichè il giudice del merito ha dato pienamente conto dei criteri adottati e dei risultati acquisiti nella valutazione della credibilità e attendibilità della parte offesa, la valutazione del Giudice dell’appello non appare censurabile in questa sede, con la conseguenza che il motivo di ricorso, con il quale non sono denunciati specifici vizi della motivazione del provvedimento impugnato, deve essere rigettato.

Con il secondo motivo il ricorrente sostiene che la sentenza di condanna va censurata perchè si fonderebbe su una prova assolutamente indiziaria, mancando elementi di certezza in ordine alla prova del fatto.

La censura è manifestamente infondata e deve essere dichiarata inammissibile.

Il giudizio di penale responsabilità dell’imputato si fonda su una prova che è costituita dalla deposizione della parte offesa; come tale la dichiarazione testimoniale della parte offesa deve essere considerata, per il suo contenuto, una prova storico – rappresentativa dei fatti oggetto del giudizio e non può essere degradata, per il suo contenuto;in mero indizio. Come già affermato, tale dichiarazione testimoniale è stata sottoposta al vaglio di credibilità e, superandolo, può essere considerata pienamente utilizzabile nei suoi risultati. Di qui consegue che il riferimento probatorio assunto dalla Corte d’Appello (come dal giudice di primo grado) appare del tutto esaustivo e il fatto ascritto appare sufficientemente provato senza che vi sia la necessità di acquisire ulteriori elementi indiziari che lo confermino ulteriormente.

Per tali ragioni il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel grado e che liquida in Euro 3.000,00 oltre *** e Cpa e accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione alla parte civili di spese e compensi che liquida in Euro 3.000,00 oltre ***, Cpa e accessori di legge.

Redazione