Corte di Cassazione Penale sez. II 24/12/2008 n. 48051; Pres. Pagano F.

Redazione 24/12/08
Scarica PDF Stampa
OSSERVA

1.1. Con sentenza in data 5-6-2003 la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza in data 24-6-2002 del Tribunale di Trapani, con la quale B.G. era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 300,00 di multa, in quanto riconosciuto responsabile del reato di ricettazione ex art. 648 cpv. c.p., così riqualificata l’originaria imputazione di furto, per avere acquistato o ricevuto quattro infissi in alluminio, conoscendone la provenienza furtiva.

1.2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione B. G., personalmente, formulando i seguenti motivi.

– Violazione dell’art. 546 c.p.p., comma 3, art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 606 c.p.p., lett. e) per manifesta illogicità della motivazione. Con il primo motivo si deduce l’illogicità della motivazione nel punto in cui ha ritenuto smentite le dichiarazioni dell’imputato e, affermato, per converso, la piena consapevolezza del medesimo in ordine alla provenienza illecita degli infissi in alluminio sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, la quale aveva riferito del prelievo degli stessi da proprio terreno ad opera di quattro persone, che avevano scavalcato la recinzione e sistemato detti infissi su un camion. Secondo il ricorrente gli infissi erano stati invece prelevati sul margine della strada e la ricostruzione fattuale accolta non sarebbe supportata dai fatti processuali, non avendo il Giudice a quo tenuto conto di dichiarazioni rese da tal S.A. alla P.G..

– Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e dell’art. 712 c.p. per erronea applicazione della legge penale. Con il secondo motivo si contesta la qualificazione del fatto, sul presupposto che non sussista il dolo della ricettazione, potendosi al più configurare la condotta colposa di cui all’art. 712 c.p..

2.1. Il primo motivo di ricorso propone una quaestio facti che esula dal novero delle censure ammissibili ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), proponendo (peraltro con richiamo a dati extratestuali, non verificabili, come tali, in questa sede) un’interpretazione diversa e alternativa da quella adottata in sede di merito, e, quindi, non esclusiva, nè tale da dimostrare la manifesta illogicità dell’interpretazione e la conseguente illegittimità della decisione impugnata.

Invero i Giudici di appello hanno evidenziato il mendacio dell’imputato, osservando, sulla base delle dichiarazioni della parte offesa – le quali, come è noto, non richiedono necessariamente di riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della relativa attendibilità – che il rinvenimento del veicolo del B. avvenne pochi minuti dopo che gli infissi erano stati sottratti, ad opera di quattro individui dal terreno del M. e sistemati su un camion. E’ strettamente consequenziale l’affermazione della consapevolezza della provenienza illecita, desunta dalle stesse circostanze di tempo e di luogo in cui l’imputato era entrato in possesso dei beni suddetti.

2.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. Si rammenta in conformità della giurisprudenza di questa sezione che il legislatore con l’art. 712 c.p. ha inteso punire la mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res quando vi sia una oggettiva ragione di sospetto in ordine a detta provenienza. Ne deriva che quando, invece, la situazione fattuale, nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’esperienza, sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza, ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, del tutto corretta risulta la configurabilità dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione. (Cass. pen., Sez. 2, 12/02/1998, n. 3783). Inoltre questa Corte è costante nel ritenere che ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. pen., Sez. 2, 21/03/2003, n. 15757 Cass. pen., Sez. 2, 27/02/2003, n. 16949; Cass. pen., Sez. 2, 20/01/2003, n. 1176; Cass. pen., Sez. 2, 10/12/2002, n. 4227; Cass. pen., Sez. 2, 27/02/1997, n. 2436).

Nel caso di specie, del resto, i Giudici del merito hanno descritto una situazione ragionevolmente interpretabili nel senso della piena consapevolezza in merito, non già al (solo) rischio, ma alla stessa provenienza illecita dei beni di cui trattasi, evidenziando, nel contempo, come il mendacio dell’imputato deponeva a carico del medesimo, in quanto forniva la certezza della consapevolezza della provenienza illecita dei beni, essendo logicamente spiegabile solo con un acquisto in mala fede.

In definitiva i motivi di ricorso incorrono tutti nella sanzione di inammissibilità.

A mente dell’art. 616 c.p.p. alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Redazione