Corte di Cassazione Penale sez. II 2/12/2008 n. 44940; Pres. Bardovagni P.

Redazione 02/12/08
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OSSERVA

Con provvedimento dell’11/10/2007, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Broscia applicò al (…) e (…) la pena concordata fra le parti in relazione a numerosi reati (relativi all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, capi da 1 a 9; occultamento e distruzione delle scritture contabili, capi da 10 a 12; corruzione capo 14 che ha assorbito il capo 19;

violazione D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, – attribuzione titolarità e/o disponibilità, al fine di agevolare la commissione dei reati di cui agli artt. 648 e 648 bis c.p., dei seguenti beni:

100% quote sociali della (…); quote sociali della (…); quote sociali della (…); quote della società (…); associazione a delinquere capo 25. Con lo stesso provvedimento dispose la confisca – ex art. 445 c.p.p., comma 1, e art. 240 c.p.; D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies; art. 322 ter c.p.; art. 321 c.p.p., commi 1 e 2 – di vari beni, mobili o immobili, nella titolarità o disponibilità di fatto degli imputati.

Avverso la sola decisione concernete la confisca, propongono ricorso per Cassazione tutti gli imputati e (…), moglie dell’imputato D. C.S., alla quale sono state confiscati beni.

(…) e (…), deducono:

Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B), per violazione dell’art. 322 ter c.p. e D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies.

Contraddittorietà e mancanza della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E).

I ricorrenti contestano che potesse essere disposta la confisca – ex art. 322 ter c.p., comma 1, – delle somme di danaro depositate sul conto corrente bancario intestato alla sola (…) moglie dell’imputato. Infatti l’art. 322 ter c.p. opera solo con riguardo ai beni nella disponibilità dell’imputato e non già nei confronti di beni intestati ad un terzo estraneo al reato, come nel caso di specie. I ricorrenti evidenziano, poi, come il G.I.P. nel dispositivo per la confisca dei beni di cui sopra richiami ed applichi il D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, di cui non si è data alcuna giustificazione nella parte motiva ove è stato richiamato solo l’art. 322 ter c.p.. Sarebbe, quindi evidente la contraddittorietà e mancanza di motivazione. In ogni caso qualora si ritenesse applicabile il D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, il provvedimento sarebbe privo di motivazione in quanto il G.I.P. non ha indicato alcuna ragione sulla base della quale ritenga le somme di danaro, depositate sul conto corrente bancario intestato alla sola D.L. n. 306 del 1992, nella disponibilità dell’imputato (…). In proposito non opera alcuna presunzione trattandosi di beni formalmente intestati a terzi.

I ricorrenti concludono per l’annullamento del provvedimento relativamente alle somme di danaro, depositate sul conto corrente bancario intestato alla sola (…) e alla metà di quanto depositato sul conto corrente cointestato.

Gli Avvocati (…)(…) quali difensori di (…) deducono:

Errata applicazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies.

La difesa del ricorrente contesta la possibilità di procedere alla confisca, D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, dei beni intestati al solo (…).

Invero già nella convalida del sequestro d’urgenza, operato dal P.M., il G.I.P. evidenziò come tali beni potessero essere dell’imputato (…) e quindi non nella disponibilità diretta o indiretta del padre (…) in forza dei redditi da lavoro dipendente acquisiti agli atti.

Errata applicazione dell’art. 445 c.p.p., comma 2, in relazione all’art. 240 c.p..

La difesa del ricorrente evidenzia come le quote della s.r.l. DPD e tutti i beni ad essa appartenenti sono stati confiscati dal Giudice sul presupposto che tali beni costituiscano il profitto oltre che dei reati di frode fiscale, anche del reato di appropriazione indebita reato per il quale non è stata promossa l’azione penale nè, ovviamente, vi è stata condanna. Infine sottolinea la genericità dell’affermazione del G.I.P. – soprattutto in relazione all’eterogeneità dei beni confiscati – che la confisca di tali beni sarebbe necessaria perchè la loro libera disponibilità nella mani dell’imputato potrebbe agevolare la commissione di altri reati.

La difesa del ricorrente conclude, quindi, chiedendo l’annullamento del provvedimento con il quale è stata disposta la confisca dei beni intestati al solo (…).

Gli Avvocati ***************** e ***************** quali difensori di (…) deducono:

Violazione dell’art. 444 c.p.p., comma 2 e art. 129 c.p.p. in relazione al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, quanto alla mancata pronunzia di proscioglimento relativamente ai reati contestati a P.E.C. ai capi 20, 21 e 22.

La difesa del ricorrente sostiene che il G.I.P., nonostante la richiesta di applicazione di pena concordata tra le parti, avrebbe dovuto procedere al proscioglimento – ex art. 129 c.p.p. – per i reati di cui ai capi 20, 21 e 22 (tre ipotesi di violazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies). Infatti vi sarebbe un’evidente contraddizione nel sanzionare da un lato la condotta del (…) per il fatto di aver emesso fatture relative ad operazioni inesistenti per consentire a terzi l’evasione delle imposte dirette o dell’IVA ovvero ottenere un indebito rimborso, dall’altro lato punire l’asserita "attribuzione fittizia che egli avrebbe operato a favore di altri soggetti di beni al fine di agevolare la commissione da parte di essi dei delitti di cui agli artt. 648, 648 bis e ter c.p. aventi ad oggetto il danaro provento delle frodi Fiscali", infatti il provento delle frodi fiscali sarebbe stato conseguito dai soggetti terzi che hanno utilizzato le fatture fittizie, ma non dal (…) al quale non sarebbe stata contestata alcuna violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.

Errata applicazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies.

La difesa del ricorrente sostiene che la confisca relativa ai beni mobili e immobili la cui titolarità, diretta o indiretta, è stata dal Giudice attribuita a (…) dovrebbe essere annullata in primo luogo in relazione al riconoscimento dell’insussistenza dei reati di cui ai 20, 21 e 22 di cui al primo motivo di ricorso. Inoltre, con particolare riferimento alla confisca dei beni mobili e immobili intestati a (…) (figlio dell’imputato; nds) e (…) (moglie dell’imputato; nds) si dovrebbe procedere all’annullamento del provvedimento di confisca perchè (…) è stato prosciolto – ex art. 129 dal G.I.P. sempre in data 11/10/2007 – dall’imputazione di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies in relazione alla pretesa intestazione fittizia dei beni de quibus ai suoi familiari. Secondo la difesa del ricorrente sarebbe, quindi, improprio adottare il provvedimento di confisca, che presuppone una sentenza di condanna, per quegli stessi beni.

Errata applicazione dell’art. 445 c.p.p., comma 2, in relazione all’art. 240 c.p..

La difesa del ricorrente, con riferimento alla confisca delle quote sociali della (…) e quote sociali della (…) osserva come le predette società non commercino metalli, ma effettuino solo trasporto per conto terzi e quindi immotivatamente il G.I.P. ha affermato la funzione strumentale alla commissione del reato di cui all’art. 648 bis c.p. o art. 648 ter c.p. e di frode fiscale. Priva di ogni riscontro (anche nei capi di imputazione), sarebbe l’ipotizzata intestazione fittizia, da parte del ricorrente, di quote delle predette società a terzi. La difesa del ricorrente sostiene, poi, l’illegittimità della confisca dei predetti beni sul presupposto che essi costituiscano il prodotto dei reati di cui all’art. 648 bis c.p. e il profitto mediato dei reati di frode fiscale e appropriazione indebita aggravata per i quali reati non è intervenuta condanna nè è stata esercitata azione penale.

Per gli altri beni del ricorrente la difesa sottolinea la genericità dell’affermazione del G.I.P. – soprattutto in relazione all’eterogeneità dei beni confiscati – che la confisca di tali beni sarebbe necessaria perchè la loro libera disponibilità nella mani dell’imputato potrebbe agevolare la commissione di altri reati.

Per l’immobile sito in (OMISSIS) e intestato alla moglie dell’imputato la difesa del ricorrente ripete che (…) è stato prosciolto – ex art. 129 dal G.I.P. sempre in data 11/10/2007 – dall’imputazione di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies in relazione alla pretesa intestazione fittizia di tale bene a sua moglie. Pertanto non potendosi attribuire alla donna la commissione di altri reati (per i quali, tra l’altro, non è intervenuta condanna nè è stata esercitata azione penale) risulta con evidenza che la confisca di tale bene è contrario alla legge.

La difesa del ricorrente conclude, quindi, chiedendo l’annullamento della sentenza nella parte in cui non proscioglie, ex art. 129 c.p.p., il ricorrente per i reati di cui ai capi 20, 21 e 22 e l’annullamento del provvedimento con il quale è stata disposta la confisca dei beni al (…).

In data 29/05/2008 l’Avvocato **************** presentava due note (una nell’interesse di (…) una per (…) entrambi gli imputati lo nominano loro difensore con revoca delle precedenti nomine) di replica alla requisitoria scritta del Procuratore Generale del 07/04/2008.

L’Avvocato **************** per (…) deduce:

Illegittimità dei provvedimenti di confisca adottati nei confronti di (…).

A) Il saldo attivo di due conti correnti intestati a (…).

La difesa del ricorrente sottolinea che entrambi i conti correnti oggetto di confisca non risultano in alcun capo di imputazione, nè risultano essere mai stati sequestrati. Abnorme e illegittimo è quindi il provvedimento di confisca, anche per la totale assenza di motivazione sui punto. La difesa del ricorrente ricorda che per l’unica contestazione di 12 quinquies (capo 17) relativa alla fittizia attribuzione di un immobile alla Via (OMISSIS) lo stesso GIP. respinse la richiesta di sequestro e vi è stata, poi, la più volte richiamata sentenza di proscioglimento.

B) Errata applicazione dell’art. 12 sexies c.p.p. e dell’art. 445 c.p.p., comma 2, in ordine all’art. 240 c.p..

La difesa del ricorrente osserva che lo stesso G.I.P. che ha disposto il sequestro (pagina 7 decreto ********* ******) ha escluso l’applicabilità dell’art. 12 sexies c.p.p. in capo all’imputato che essendo concorrente del reato di cui all’art. 416 c.p., e delle attività di emissione di fatture per operazioni inesistenti e socio al 50% della società (…) non può rispondere del reato di riciclaggio delle somme che sono il provento del reato presupposto da lui posto in essere e dunque anche dell’art. 12 quinquies c.p.p.. La difesa sottolinea che il G.I.P. incomprensibilmente, senza dire nulla che scalfisca quanto sopra, dispone la confisca dell’intera società D.p.d. della quale il ricorrente detiene regolarmente il 50% delle quote.

La difesa del ricorrente sottolinea, poi, che al raggiungimento della sua maggiore età il (…) riceve dal fratello il 50% delle quote della predetta società. Dato che questo acquisto risale a sei anni prima della commissione dei reati si deve escludere la riferibilità delle suddette quote ai reati contestati (viene citata giurisprudenza di questa Corte sul criterio di "ragionevolezza temporale").

A fronte di ciò appare incomprensibile il fatto che il G.I.P. affermi che queste quote rappresentano il profitto mediato dei reati di frode fiscale: sembra, infatti, inverosimile "ipotizzare un profitto locupletato sei anni prima del commesso reato". Infine sempre in relazione a quanto sopra sembra del tutto fuorviante l’affermazione che il ricorrente fosse il prestanome del padre per l’acquisto delle quote della (…).

La difesa del ricorrente chiede, quindi, l’annullamento dell’impugnato provvedimento con contestuale restituzione di quanto confiscato.

L’Avvocato **************** per (…) deduce:

1) Premessa.

La difesa del ricorrente contesta la conclusione del P.G. sull’inammissibilità del ricorso, fondata sul fatto che in relazione ai fatti contestati e alla luce del "patteggiamento" sarebbero fuorvianti le dedotte insufficienze della motivazione. Sottolinea, infatti, che dal raffronto del decreto di sequestro preventivo e il provvedimento di confisca emerge che: A) Per le società (…) e (…) sono state confiscate – senza alcuna motivazione – tutte le quote delle predette società, mentre il sequestro era caduto solo su una parte di quote (rispettivamente 95% e 70%). Ne consegue l’illegittimità della confisca dell’intero capitale delle predette società e l’abnormità del provvedimento di confisca esteso a tutti i beni che costituiscano in tutto o in parte il patrimonio aziendale.

B) Conto corrente (…). Anche il saldo attivo di tale conto corrente – comunque vista l’entità della somma non si capisce perchè non possa ritenersi compatibile con i redditi dell’imputato – non è stato mai oggetto di sequestro, nè è dato sapere (mancando la motivazione) a quale titolo è stata disposta la confisca.

2) Illegittimità della confisca D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies.

A) Errata applicazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies:

mancanza del delitto presupposto.

Con tale motivo la difesa del ricorrente ribadisce le censure proposte nel ricorso degli altri difensori del (…). In particolare che per l’immobile sito in (…) intestato alla moglie dell’imputato, (…), è stato prosciolto, ex art. 129 c.p.p. dal G.I.P. sempre in data 11/10/2007, dall’imputazione di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies in relazione alla pretesa intestazione fittizia di tale bene a sua moglie. Pertanto non potendosi attribuire alla donna la commissione di altri reati (per i quali, tra l’altro, non è intervenuta condanna nè è stata esercitata azione penale) risulta con evidenza che la confisca di tale bene è contrario alla legge.

Per quanto riguarda la disposta confisca del 50% dell’immobile sito in (OMISSIS), la difesa del ricorrente osserva che il G.I.P. rinvia per la motivazione al provvedimento di sequestro, che però esclude tale sequestro ritenendo impossibile la confisca, D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, di quanto sopra. Sarebbe, quindi, evidente il vizio logico contenuto nel provvedimento di confisca.

B) Errata applicazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies:

mancanza di motivazione sulla titolarità sostanziale dei beni in capo al (…).

La difesa del ricorrente sottolinea la carenza della prova della titolarità sostanziale dei beni indicati sub A. Viene citata copiosa giurisprudenza di questa Corte, sull’onere di provare quanto sopra che incombe sull’accusa.

1) La presunta riferibilltà al (…) delle società (…);

Con tale motivo la difesa dell’imputato, richiamando la giurisprudenza di questa S.C. citata sub B e nella memoria per contesta la carenza di motivazione del provvedimento di confisca sulla presunta riferibilità delle società (…).

2) La riferibilità al (…) degli immobili in (OMISSIS).

Con tale motivo la difesa dell’imputato contesta la carenza di motivazione del provvedimento di confisca sulla presunta riferibilità degli immobili in (OMISSIS) a (…). Il ricorrente rileva anche che il G.I.P. il quale emise il sequestro, aveva indicato alcuni approfondimenti istruttori che avrebbero potuto confermare l’eventuale riferibilità al (…) dei suddetti immobili.

Evidenzia come nulla di tutto ciò sia stato fatto. Conclude ritenendo la motivazione, pur in presenza di una condanna ex art. 444 c.p.p., sommaria e non adeguata.

3) Illegittimità della confisca ex art. 240 c.p.. In ordine alle quote della (…), (…) e agli altri beni asseritamene provento dei reati tributari.

La difesa contesta "la motivazione di rincalzo", adottata dal G.I.P. per giustificare la confisca di tutti i beni di cui sopra, costituita dalla confiscabilità ex artt. 240 e 445 c.p.p..

A) il provento dei reati tributari.

La difesa del ricorrente richiama il primo motivo di ricorso ove veniva evidenziata la carenza assoluta di motivazione sia in ordine alla sussistenza della fattispecie dei reati tributari e la loro relazione con le fattispecie di cui ai capi 20, 21 e 22. Rileva, poi, che chi emette fatture per operazioni inesistenti non lucra alcun illecito provento, creando un vantaggio solo per l’utilizzatore di tali fatture. Inoltre il Giudice non esplicita alcuna ragione per la quale si dovrebbe presumere che il danaro utilizzato per l’acquisto dei beni di cui ai capi di imputazione di cui sopra derivi dalla commissione dei reati tributari.

B) Al provento dei delitti di appropriazione indebita aggravata.

La difesa del ricorrente sottolinea che il riferimento all’appropriazione indebita aggravata e del tutto fuori luogo, non essendo mai stato contestato tale reato.

C) La strumentalità dei beni sequestrati alla commissione dei delitti di cui agli artt. 648 bis e ter c.p..

La difesa del ricorrente sottolinea l’assoluta mancanza di motivazione in ordine alla presunta detenzione da parte del (…) attraverso terzi – delle quote delle società confiscate. Rileva che pur essendo state ritenute le società (…) e (…); strumentali alla commissione dei reati di cui agli artt. 648 bis e ter c.p., tali reati non sono mai stati contestati. Quanto sopra vale anche per l’immobile di (OMISSIS).

La difesa del ricorrente chiede, quindi, l’annullamento dell’impugnato provvedimento.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso di (…) e (…) è infondato.

Invero dalla sentenza del G.I.P. emerge con chiarezza che la confisca delle somme depositate sui conti correnti dei ricorrenti è avvenuta ex art. 322 ter c.p., e D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356. Quest’ultimo articolo, tra l’altro, prevede – come anche l’art. 322 ter c.p. – la confisca obbligatoria dei beni di cui abbia la disponibilità chi sia stato condannato (o colui al quale sia stata applicata la pena ex art. 444 c.p.p.) per il delitto di corruzione come, appunto, il (…). Per quanto riguarda la disponibilità del danaro depositato sui conti correnti, "nulla quaestio" per quelli depositati sul conto intestato al solo (…). Nessun problema anche per il danaro depositato sul conto corrente cointestato allo stesso (…) e alla moglie. Infatti la mera cointestazione non può, in mancanza di una prova (che nel caso di specie non è stata fornita) che dimostri la reale consistenza degli incrementi di propria pertinenza, accreditare la presunzione che le somme in deposito siano spettanti a ciascuno dei cointestatari in parti uguali. Nel caso di specie essendo il cointestatario la moglie convivente dell’imputato è evidente che il (…) ne abbia comunque la disponibilità piena (si vedano in tal senso: Sez. 6, Sentenza n. 40175 del 14/03/2007 Cc. – dep. 30/10/2007 – Rv. 238086; Sez. 6, Sentenza n. 40175 del 14/03/2007 Cc. – dep. 30/10/2007 Rv. 238086; Sez. 6, Sentenza n, 24633 del 29/03/2006 Cc. – dep. 17/07/2006 – Rv. 234729). Corretta e logica – e non sindacabile in sede di legittimità, anche a fronte delle generiche e apodittiche affermazioni a sostegno del ricorso sul punto – appare, poi, la decisione del G.I.P. che in base a quanto sopra, deduce che il (…) abbia comunque la disponibilità anche del danaro depositato sul conto corrente intestato alla moglie con lui convivente.

Per quanto riguarda la posizione degli altri due ricorrenti, appare opportuno affrontare, innanzi tutto, il primo motivo di ricorso con il quale (…) sostiene che il Giudice avrebbe dovuto emettere sentenza di non luogo a procedere – ex art. 129 c.p.p. – per i tre reati (capi 20, 21 e 22, che prevedono tre casi di delitto di cui al D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, conv. nella L. 7 agosto 1992, n. 356) rientranti nella complessiva applicazione di pena su richiesta concorde delle parti.

Si deve in proposito osservare che nel delitto di cui al D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinquies, convertito nella L. 7 agosto 1992, n. 356 – che consiste nella predisposizione di una situazione di apparenza giuridica e formale nella titolarità o disponibilità di beni di provenienza illecita, difforme dalla realtà – il soggetto attivo può essere anche colui nei cui confronti sia pendente procedimento penale per il reato presupposto e che si attivi in qualunque forma al fine di agevolare la commissione, tra l’altro, del delitto di riciclaggio (Sez. 6, Sentenza n. 15104 del 09/10/2003 Cc. – dep. 30/03/2004 – Rv. 229239).

Invero l’analisi delle norme di diritto positivo che disciplinano il fenomeno del riciclaggio di denaro di provenienza illecita porta a risultati diametralmente opposti rispetto all’impostazione della difesa dei ricorrenti – che ritiene incompatibile l’affermazione di responsabilità per tali reati e l’affermazione di responsabilità per i reati emissione di fatture per operazioni inesistenti – non potendosi prescindere dal rilievo che vede ben distinte:

a) l’ipotesi di cui all’art. 648 bis c.p., che fa riferimento al compimento da parte di un soggetto, "fuori dai casi di concorso nel reato", di specifiche operazioni di sostituzione o trasferimento, nonchè a quelle che ostacolino l’identificazione della provenienza delittuosa di denaro, beni o altre utilità;

b) l’ipotesi di cui al D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinques, comma 1, convertito con modifiche in L. 7 agosto 1992, n. 356, che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o della disponibilità di qualsiasi cosa, denaro o altra utilità, realizzata in qualsiasi forma al fine di eludere specifiche disposizioni di legge, tra l’altro in tema di riciclaggio. Il rapporto tra le due situazioni è "in re ipsa" e quanto mai evidente per quanto concerne l’oggetto della tutela penale e le conseguenze che ne possono derivare sul piano dell’individuazione del soggetto responsabile dell’illecito penale.

Circa la prima ipotesi non v’è dubbio che il legislatore, prevedendo espressamente l’esclusione dal concorso nel reato da cui il denaro, beni o altre utilità derivano, ha inteso punire la condotta agevolatrice di un soggetto estraneo al reato presupposto, restando cioè esclusa (e non poteva essere altrimenti) la configurabilità del delitto di cui all’art. 648 bis c.p. nel personale impiego di beni di provenienza illecita svolto dell’autore del reato.

Con la seconda ipotesi, che consiste nella predisposizione di una situazione di apparenza giuridica e formale nella titolarità o disponibilità, difforme dalla realtà, degli stessi beni è stata, invece, delineata una figura delittuosa nella quale soggetto attivo ben può essere colui nei cui confronti sia pendente procedimento penale per il reato presupposto e che si attivi in qualunque forma al fine di agevolare la commissione, tra l’altro, del delitto di riciclaggio. Prova ne è che il legislatore non ha previsto nel delitto di trasferimento alcuna clausola di esclusione della responsabilità per l’autore dei reati che hanno determinato la produzione di illeciti proventi.

Alla luce di quanto sopra ancor più pertinente è l’osservazione del P.G. sul fatto che in ogni caso l’imputato ha "patteggiato" la pena anche per i reati di cui ai capi 20, 21 e 22. Infatti il cd. patteggiamento, regolato dall’art. 444 c.p.p. e segg., è un istituto processuale in base al quale il p.m. e l’imputato si accordano sulla qualificazione giuridica del fatto contestato, sulla concorrenza e comparazione delle circostanze, sull’entità della pena. Il patteggiamento comporta, altresì, la rinunzia a far valere eccezioni e difese di natura sostanziale (nei limiti dell’art. 129 c.p.p.) e processuale (nei limiti dell’art. 179 c.p.p.) salvo che si tratti di eccezioni attinenti alla richiesta di patteggiamento e al consenso prestato.

Nel caso in esame le eventuali violazioni dedotte, pur se in ipotesi esistenti, non rientrano in alcuna di quelle assolute e insanabili previste dall’art. 179 c.p.p. e deve pertanto ritenersi che i ricorrenti, anche senza fare riferimento alte regole sulla deducibilità e sanatoria delle nullità (artt. 182 e 183 c.p.p.), abbiano rinunziato a proporla avendo prestato il loro consenso all’applicazione della pena (Sez. 4, Sentenza n. 16832 del 11/04/2008 Cc. – dep. 23/04/2008 – Rv. 239543). Inoltre, il giudice può pronunciare sentenza di assoluzione ex art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua rilevanza penale ovvero la non commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile; la "evidenza" richiesta dall’art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone, infatti, la manifestazione di una verità processuale così chiara, manifesta ed obiettiva da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia. (Sez. 2, Sentenza n. 9174 del 19/02/2008 Ud. – dep. 29/02/2008 – Rv. 239552).

Tale motivo di ricorso è pertanto infondato.

Accertata la legittimità dell’applicazione di pena su richiesta concorde delle parti per i reati di cui ai capi 20, 21 e 22 si ha come conseguenza l’obbligatoria confisca prevista dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies (Sez. U, Sentenza n. 920 del 17/12/2003 Cc. – dep. 19/01/2004 – Rv. 22649; Sez. 6, Sentenza n. 27710 del 14/04/2008 Cc. – dep. 07/07/2008 – Rv. 240527) di tutti i beni dei quali lo stesso (…) abbia comunque la disponibilità e non ne possa giustificare la provenienza.

Tutti gli altri motivi di ricorso – sia quelli di (…), sia quelli di (…) che in buona sostanza hanno lo stesso oggetto e cioè la contestazione della confisca – sono, quindi, inammissibili perchè manca in esso ogni correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione.

Per quanto riguarda l’eccezione relativa alla confisca dei beni il Giudice ha correttamente osservato che il D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, convertito con modificazioni nella L. n. 356 del 1992 elenca i reati, tra cui il delitto di cui al D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 quinques, comma 1, per i quali, in caso di condanna, o anche solo di applicazione della pena a norma dell’art. 444 c.p.p., è sempre disposta la confisca obbligatoria del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito (nullo fino a tutto l’anno 2004; in proposito il G.U.P. richiama anche il contenuto della nota della P.G. del 17/04/2007 contenuta nel faldone 11 del procedimento penale). In proposito il G.U.P. ha correttamente motivato – fornendo una spiegazione esaustiva, logica e non contraddittoria – perchè tutti i beni confiscati siano nella disponibilità del (…). A solo titolo di esempio si ricorda: come il (…) fosse l’unico dominus delle società (…) e (…) che tra l’altro risultano anche essere le società strumentali alla commissione dei reati di cui agli artt. 648 bis o ter c.p., come ben specificato nei capi di imputazione e in particolare nel capo (25) relativo all’associazione per delinquere per la quale è stata applicata la pena su richiesta di (…) e di (…) (il quale è stato ritenuto solo partecipe – con derubricazione della contestazione a quella di cui all’art. 416 c.p., comma 2, – dell’associazione, proprio perchè era il padre a decidere ogni cosa ed egli agiva in esecuzione delle consegne paterne); stessa cosa – piena ed esclusiva disponibilità del (…) – si è accertata per le società (…) e (…) si vedano, in proposito, anche i richiami agli accertamenti della G. di F., alle dichiarazioni di (…), e al contenuto delle intercettazioni telefoniche, nonchè al contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare del G.I.P. di Brescia del 14/04/2007; importante e corretta appare anche l’osservazione del G.U.P. che il valore delle quote della DPD formalmente intestate ai figli del (…) – (…) – era sproporzionato all’entità dei loro redditi tenendo presente che tali quote sono state acquistate dai predetti (…) e (…) appena raggiunta la maggiore età, a conferma che erano solo i prestanome del padre); infine corretta e incensurabile appare la motivazione contenuta nella pagina 21 dell’impugnato provvedimento, sull’accertata piena disponibilità della quota dell’immobile di (OMISSIS) e dell’immobile di (OMISSIS) (quest’ultimo intestato fittiziamente alla moglie del (…) che in data 17/10/2007 è stata rinviata a giudizio per il delitto di cui all’art. 648 bis c.p.; si veda nota n. 3 a pagina 19 dell’impugnato provvedimento).

Il G.U.P. nel richiamare, poi, la motivazione del provvedimento di sequestro, a proposito dell’accertata disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni confiscati (tra l’altro confermata dalle continue censure in ordine alla confisca, che rivelano un interesse proprio del ricorrente sui detti beni), ha, anche, sottolineato come dagli elementi acquisiti e dal reddito (veramente esiguo rispetto al valore dei beni) dichiarato dall’imputato, che non ha adempiuto all’onere di dimostrare la lecita provenienza dei beni, si ricava, addirittura, la prova che i beni provengano dalla commissione dei delitti per i quali è stato condannato ex art. 444 c.p.. A proposito dei proventi dei delitti, appare del tutto infondata l’affermazione della difesa che chi emette fatture relative ad operazioni inesistenti non ne tragga vantaggi. E’ infatti notorio che tale attività è ben retribuita da chi utilizzando tali false fatture evade il fisco. Inoltre tale giro di false fatture riguardava anche ditte riconducibili ai (…), quali ad esempio la (…) … – si veda capo 7^ dell’imputazione -, la (…) sp. zo.o. – si veda capo 8^ dell’imputazione -. D’altronde, come si vedrà meglio in seguito, la complessa organizzazione criminale posta in essere dal (…) ben delineata nel capo 25, relativo all’associazione a delinquere per il quale delitto all’imputato è stata applicata la pena con sentenza di patteggiamento definitiva sul punto – risulta essere l’unica fonte di guadagno dello stesso (…).

A proposito di quanto accertato dal G.U.P., questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili a norma del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356 (modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa) la prova circa la sproporzione, rispetto alla capacità reddituale lecita del soggetto, del valore economico dei beni da confiscare grava sull’accusa (come è in effetti avvenuto nel caso di specie); ma una volta fornita tale prova sussiste una presunzione relativa di illecita accumulazione patrimoniale che può essere superata solo da specifiche e verificate allegazioni dell’interessato (cosa che non si è verificata; si veda Sez. 1, Ordinanza n. 25728 del 05/06/2008 Cc. – dep. 25/06/2008 – Rv. 240471).

Infine il G.U.P., nel decidere la confisca prescindendo dalla data di acquisto dei beni, non ha fatto altro che allinearsi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte che più volte ha stabilito il principio, condiviso dal Collegio, che in tema di misure cautelari reali, il sequestro preventivo e la successiva confisca dei beni patrimoniali prevista dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, convertito in L. 8 luglio 1992, n. 356, non sono subordinati all’accertamento di un nesso eziologico tra i reati tassativamente enunciati nella norma di riferimento ed i beni oggetto della cautela reale e del successivo provvedimento ablatorio, dal momento che il legislatore ha operato una presunzione di accumulazione, senza distinguere se tali beni siano o meno derivati dal reato per il quale si procede od è stata inflitta la condanna (senza tener conto che nel provvedimento di sequestro il G.I.P. rileva come il (…) si vantasse affermando che egli da anni svolgeva le attività illecite, poi, oggetto del presente procedimento e che nessuno lo avrebbe mai scoperto). Ne consegue che non è necessaria la sussistenza del nesso pertinenzialità tra cosa e reato previsto dall’art. 240 c.p., bensì un vincolo pertinenziale, di significato peculiare e più ampio, tra il bene e l’attività delittuosa facente capo al soggetto, connotato dalla mancanza di giustificazione circa la legittima provenienza del patrimonio nel possesso del soggetto nei confronti del quale sia stata pronunciata condanna o sia stata disposta l’applicazione della pena. (Si vedano Sez. 2, Sentenza n. 45790 del 31/10/2003 Ud. – dep. 26/11/2003 – Rv. 227733; Sez. 1, Sentenza n. 15908 del 19/01/2007 Cc. – dep. 19/04/2007 – Rv. 236430; Sez. 2, Sentenza n. 11720 del 2008).

Ciò è in perfetta sintonia anche con i principi costituzionali sul punto. Infatti questa Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 27, 42 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, convertito con modifiche nella L. n. 356 del 1992, nella parte in cui consente la confisca anche oltre il biennio dalla data di esecuzione del sequestro dei medesimi beni, nonchè nella parte in cui, secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, può disporsi la confisca di beni nella disponibilità del condannato a prescindere da qualsiasi nesso di pertinenzialità o cronologico con i delitti contestati ed anzi con l’onere di allegazione o dimostrazione probatoria a carico dello stesso condannato circa la liceità della provenienza. Nè contrasta con i parametri costituzionali suindicati la ragionevolezza della presunzione di provenienza illecita dei beni patrimoniali, posto che l’elemento della "sproporzione" deve, comunque, essere accertato attraverso una ricostruzione storica della situazione dei redditi e delle attività economiche del condannato al momento dei singoli acquisti, il quale può esporre fatti e circostanza specifiche e rilevanti, indicando puntualmente le proprie giustificazioni (v.

Corte cost. n. 18 del 1996; Sez. 1, Sentenza n. 21357 del 13/05/2008 Cc. – dep. 28/05/2008 – Rv. 240091).

Corretta e logica – e non sindacabile in sede di legittimità – appare, poi, la decisione del G.I.P. sulla sussistenza dei requisiti per disporre la confisca anche ex art. 445 c.p.p., comma 1, e art. 240 c.p. (si vedano pagine 18 e 19 impugnata sentenza). Infatti il motivo di ricorso sul punto o si fonda su generiche e apodittiche affermazioni, oppure sulla contestazione della sussistenza dei fatti oggetto delle contestazioni, che invece ormai sono definitivamente accertati per effetto della sentenza di patteggiamento passata in giudicato.

Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il fatto che nessuna argomentazione sia svolta, nel ricorso, in ordine alle valutazioni espresse dal giudice di merito sui vari motivi, determina l’inammissibilità del ricorso. Si richiamano in proposito, tra le tante, le seguenti pronunzie:

– Sez. 4, sent. n. 5191 del 29.3.2000 dep. 3.5.2000 rv 216473: "E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo perla sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità)".

– Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 rv 230634: "E’ inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso".

Infondata appare, infine, la doglianza relativa alla confisca del G.U.P. di alcuni beni non oggetto del sequestro preventivo (ad esempio alcuni conti correnti, parte delle quote delle due società (…) pari rispettivamente al 5% e 30%; a proposito della confisca delle suddette quote non si comprende l’interesse a dolersene del se non fosse – come, invece, dimostrato – l’unico dominus delle due società). Infatti, questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che la confisca prevista dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, conv. in L. 7 agosto 1992, n. 356, non presuppone necessariamente il sequestro preventivo, se i beni siano altrimenti individuabili nel momento in cui il provvedimento deve essere eseguito (Sez. 2, Sentenza n. 6383 del 29/01/2008 Cc. – dep. 08/02/2008 – Rv. 239448).

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta i ricorsi, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannati in solido al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.

Redazione