Corte di Cassazione Penale sez. II 19/3/2009 n. 12401; Pres. Pagano F.

Redazione 19/03/09
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OSSERVA

Il Tribunale di Chiavari, con sentenza in data 17/7/2001, assolveva tutti gli imputati dal reato di danneggiamento dell’autovettura Opel corsa di proprietà di Po.Fr., non ritenendo raggiunta la prova della commissione del fatto, ovvero del lancio di palloncini pieni acqua da parte dei prevenuti, che avrebbero frantumato il parabrezza dell’autovettura.

La Corte di Appello di Genova con sentenza della 16/6/2004, in riforma della sentenza appellata dal Procuratore della Repubblica di Chiavari, dichiarava gli imputati colpevoli del reato loro ascritto e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, condannava ciascuno alla pena di mesi sei di reclusione, oltre alla condanna in solido al risarcimento del danno in favore della parte civile che liquidava in Euro 1915,84 – pena sospesa e non menzione per tutti gli imputati.

Proponevano ricorso per cassazione C.A. e i difensori di P.A. e A.E..

C.A. deduceva due motivi:

a) erronea applicazione dell’art. 635 in relazione alla art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e la mancanza di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), rilevando il mancato accertamento dell’elemento soggettivo relativo alla reato di danneggiamento;

b) inosservanza o erronea applicazione dell’art. 635 c.p., comma 3 in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e la mancanza di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ritenendo non adeguatamente motivata ed erroneamente applicata l’aggravante dell’esposizione per necessità o per consuetudine o per destinazione dell’autovettura alla pubblica fede.

Il difensore di P.A. deduceva due motivi di ricorso:

a) mancanza ed illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nonchè erronea applicazione dell’art. 42 c.p. in relazione all’accertamento della responsabilità dell’imputato per il reato di danneggiamento non fornendo la sentenza alcun collegamento logico fra l’azione dell’imputato e l’elemento atto a configurare il dolo eventuale;

b) erroneità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nonchè errata applicazione dell’art. 635 c.p., comma 3, in relazione all’accertamento dell’aggravante dell’esposizione del bene danneggiato alla pubblica fede, essendosi il fatto verificato allorchè il legittimo proprietario dell’autovettura si trovava alla guida ed il veicolo era, quindi nella sua piena sfera di controllo.

Il difensore di A.E. diceva tre motivi di ricorso:

a) violazioni di legge ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per errata applicazione degli artt. 157 e 160 c.p. e mancanza assoluta di motivazione per non aver rilevato la corte di merito la prescrizione del reato;

b) violazione di legge ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per manifeste illogicità della motivazione per errata valutazione delle prove, in mancanza del nesso di causalità tra la condotta degli imputati e la rottura del parabrezza dell’autovettura;

c) violazione alla legge penale e mancanza di motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio, in quanto, riconosciute le attenuanti generiche, ritenuta l’equivalenza rispetto all’aggravante, la pena prevista è quella di cui all’art. 635 c.p., comma 1, punibile alternativamente con la reclusione o la multa, censurando la scelta della Corte d’appello di irrogare la pena detentiva in luogo di quella pecuniaria.

Il ricorso non può essere dichiarato manifestamente infondato in relazione al secondo motivo dedotto dal C. e dal P. concernente l’insussistenza della aggravante contestata e in relazione al trattamento sanzionatorio, di cui al terzo motivo di A..

Infatti per pubblica fede deve intendersi il senso di affidamento verso la proprietà altrui sul quale conta chi deve lasciare l’auto, anche solo temporaneamente, incustodita; la maggior tutela alle cose esposte alla pubblica fede per necessità o per consuetudine o per destinazione dev’essere cercata nel fatto che sono prive della custodia da parte del proprietario e sia la proprietà che il possesso di esse hanno come presidio soltanto il senso del rispetto da parte di terzi.

Nel caso in cui, come nella fattispecie, il proprietario si trovi alla guida dell’autovettura danneggiata, lo stesso esercita su di essa una durevole e continua custodia dell’autovettura idonea a far venir meno la sussistenza della aggravante.

Anche con riferimento al trattamento sanzionatorio, appare censurabile la scelta della Corte d’appello di infliggere la pena della reclusione.

Nella specie, infatti, il giudice avrebbe dovuto applicare le più favorevoli sanzioni previste per i reati di competenza del giudice di pace a norma del D.Lgs. n. 274 del 2000.

In base al principio dell’applicazione della legge sopravvenuta più favorevole (art. 2 c.p., comma 3), nel caso di reati attribuiti, in assenza di aggravanti, alla competenza del giudice di pace, ai sensi del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 4 qualora gli stessi siano stati commessi prima dell’entrata in vigore di detto D.Lgs. e, pur essendo aggravati, l’effetto delle aggravanti sia stato neutralizzato dall’avvenuto riconoscimento di circostanze attenuanti, la sanzione applicabile dev’essere quella, più favorevole, prevista dalla normativa sopravvenuta e avrebbero dovuto trovare applicazione – non essendo stata applicata la sospensione condizionale della pena – in base alla disciplina transitoria prevista dal combinato disposto del citato decreto, dell’art. 64 e art. 63, comma 1, le nuove sanzioni indicate dall’art. 52 dello stesso; Cass. 19.12.2005, ************;

Sez. 5^, Sentenza n. 28006 del 18/05/2004 Ud. (dep. 22/06/2004), (v., per i vari profili, Cass., Sez. 5^, 4 ottobre 2004, *********; Cass., Sez. 4^, 19 novembre 2002, ********; Cass., Sez. 4^, 26 novembre 2002, Alite).

Devesi ritenere, pertanto, maggiormente favorevole, nel caso concreto, la pena pecuniaria rispetto a quelle alternative D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 52, ex comma 2, lett. a) seconda parte – impositive di vincoli ed obblighi (e, per ogni effetto giuridico considerate come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria).

Più volte questa Suprema Corte (anche a Sezioni Unite) ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, che solamente l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., l’estinzione del reato per prescrizione, pur maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta nè rilevata da quel giudice. (Sez. U, Sentenza n. 23428 del 22/03/2005 Ud. – dep. 22/06/2005 – Rv. 231164).

Nel caso di specie non si è in presenza di una tale evenienza in quanto il ricorso per cassazione astrattamente accoglibile o la cui definizione presupponga la risoluzione di problema oggetto di contrasto nella giurisprudenza di legittimità non può considerarsi proposto per motivi manifestamente infondati e, come tale, non è inammissibile, sicchè non preclude la rilevazione della prescrizione del reato maturata nelle more della sua discussione. (Sez. 6^, Sentenza n. 35391 del 11/07/2003 Ud. (dep. 10/09/2003).

Le richieste del P.G. e del ricorrente di dichiarare estinto il reato per intervenuta prescrizione sono fondate.

Il delitto di danneggiamento, contestato al ricorrente si prescrive in 7 anni e mesi sei.

Infatti, in forza della L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3, al presente processo – già pendente presso questa Suprema Corte all’atto di entrata in vigore della nuova legge sulla prescrizione – si applicano i termini prescrizionali previsti dal vecchio art. 157 c.p..

Quindi essendo la pena prevista per l’art. 635, comma 1, quella di un anno o la multa fino a Euro 309,00 la prescrizione è di 5 anni aumentata a sette anni e sei mesi per effetto degli eventi interruttivi e tale termine si matura – decorrendo dall’epoca del fatto, cioè il 18.8.1997, – il 18/02/2005.

Pertanto, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento di cui all’art. 129 c.p.p., in forza delle corrette e condivise decisioni del giudice di merito in punto responsabilità dei prevenuti per il reato di cui all’art. 635 c.p., la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, essendo il reato di cui sopra estinto per prescrizione.

Ai fini delle statuizioni civili, l’art. 578 c.p.p., prevede che il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale, nel giudizio di merito, era intervenuta condanna, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, ritenendo che al fine di tale decisione tutti i motivi di impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati secondo quanto previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 2, (Sez. 2^, Sentenza n. 9245 del 14/11/2003 Ud. (dep. 01/03/2004); Sez. 6^, Sentenza n. 21102 del 09/03/2004 Ud. (dep. 05/05/2004); cfr. anche Cass. 16.7.2004, n. 31464).

Nella fattispecie sussiste l’elemento intenzionale del reato di danneggiamento, nella forma del dolo eventuale, nell’ipotesi in cui gli agenti, mediante il lancio di palloncini pieni d’acqua, come accertato dai giudici di appello, provochino la rottura del parabrezza di un’auto in transito nel raggio d’azione del lancio, configurandosi tale forma di dolo, ammissibile anche in relazione al reato di danneggiamento, quando l’agente si sia rappresentato come probabile o possibile anche un evento diverso da quello voluto e, ciò nonostante, abbia agito ugualmente accettando il rischio del suo verificarsi.

Vanno, conseguentemente, confermate le statuizioni civili del giudice di appello.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. Conferma le statuizioni civili.

Redazione