Con ordinanza in data 15 aprile 2008, il Tribunale di Torino, 2^ sezione penale, confermava il provvedimento dei GIP dei Tribunale di Cuneo appellato dal P.M., con il quale era stata respinta la richiesta di applicazione di misura interdittiva della sospensione dall’esercizio della professione di avvocato per due mesi nei confronti di S.A. in relazione al delitto di tentata estorsione (artt. 56 e 629 c.p.) in danno di K.K..
Il Tribunale riteneva che l’avere l’indagato agito direttamente in giudizio, usando la ricognizione di debito fatta sottoscrivere alla propria cliente con condotta truffaldina (non essendovi motivo di ritenere intendimenti calunniatori da parte della donna, anche perchè l’impegno di assisterla gratuitamente risultava confortato da altri elementi), non integrasse il delitto di tentata estorsione in difetto di alcun elemento che potesse far ritenere che la volontà della K. fosse stata, oltre che carpita (mediante l’inganno di farle firmare fogli del cui contenuto ella non si era potuta rendere conto), anche coartata.
L’azione giudiziaria esecutiva intrapresa dal S. si poneva come ultimo passaggio della manovra truffaldina, non essendovi stata alcuna ulteriore attività di lesione della libertà morale della persona offesa.
Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso il Pubblico Ministero, che ne ha chiesto l’annullamento per illogicità manifesta della motivazione e violazione e falsa applicazione dell’art. 629 c.p. perchè l’azione giudiziaria intrapresa è stata strumentalmente esercitata per costringere la persona offesa all’adempimento di pretesa economica di natura illecita.
Una volta accertata, come riconosce il Tribunale, la consapevole illiceità della pretesa economica vantata, l’azione giudiziaria intentata si pone come mezzo di coartazione per ottenere il risultato illecito posto in essere.
La questione non può essere risolta con la considerazione che, diversamente opinando, ogni lite temeraria comporterebbe condotta di estorsione, perchè l’art. 96 c.p.c. individua come tale la lite effettuata nonostante le possibilità di accoglimento siano escluse dal senso comune.
Nel caso in esame l’azione è stata intentata sulla base di documento scritto dotato dei requisiti per ottenere condanna di controparte:
l’azione intentata in sede civile non è "azzardata" ma è una deliberata strumentalizzazione di rimedi giuridici a fini consapevolmente illeciti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
La condotta posta in essere dall’indagato (consistita nell’avere agito giudizialmente, ancorchè al fine di conseguire il vantaggio illecito dell’azione truffaldina posta in essere) non integra tentativo di estorsione, esulando da essa i requisiti necessari della violenza e della minaccia.
Nè appare appropriata la critica, al passaggio della motivazione che richiama l’art. 96 c.p.c. perchè lite temeraria è anche quella proposta in "mala fede".
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.