Corte di Cassazione Penale sez. I 21/1/2011 n. 1838

Redazione 21/01/11
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Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 27.10.2009 il Tribunale di Salerno in composizione monocratica dichiarava R.V. colpevole del reato di molestie telefoniche di cui all’art. 660 c.p. così condannandolo, in concorso di circostanze attenuanti generiche, alla pena, sospesa alle condizioni di legge, di Euro 160,00 di ammenda. Ed invero, in fatto, era ritenuto che l’anzidetto imputato avesse fatto, fino al (omissis), numerose telefonate, anche a contenuto erotico, a tale C.E.. La prova era tratta dalle dichiarazioni della parte lesa e dai tabulati telefonici che confermavano i plurimi contatti tra il telefonino dell’imputato e quello della denunciante.

2. Avverso tale sentenza il predetto imputato proponeva impugnazione in appello con cui richiedeva riforma assolutoria, deducendo: a) erano provate solo alcune telefonate provenienti dal cellulare di esso imputato, in contrasto con la denuncia che parlava di molte chiamate durante un intero mese; b) era plausibile la sua giustificazione di avere dimenticato l’apparecchio in un bar dove qualche altra persona poteva averlo usato a sua insaputa; c) la parte lesa aveva avuto altre forme di disturbo sicuramente non proveniente da esso R. che peraltro la C. aveva affermato di non conoscere; d) mancanza dell’elemento soggettivo; c) la sospensione condizionale era stata concessa d’ufficio, senza specifica richiesta.

2.1 Con ordinanza in data 06.05.2010 la Corte d’appello di Salerno, ritenuto trattarsi di sentenza non appellabile, ma solo ricorribile, ex art. 593 c.p.p., comma 3, trasmetteva gli atti a questa Corte per il giudizio di legittimità.

Motivi della decisione
3. L’impugnazione, infondata, deve essere rigettata con ogni dovuta conseguenza di legge.

Va dapprima rilevato come la stessa, proposta come appello, debba essere convertita in ricorso (ex art. 568 c.p.p., comma 5), dunque ammissibile come tale, atteso che essa denuncia, in sostanza, vizio di motivazione carente e contraddittoria su profili proposti come essenziali del contestato reato.

3.1 E’ infondato il primo motivo (v. sopra sub 2.a), posto che anche poche telefonate disturbatrici, pure concentrate nel tempo, integrano il reato in parola, specie se di contenuto particolarmente odioso, come di certo quelle attribuite all’imputato (cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 29933 n data 08.07.2010, Rv. 247960, Arena) e rilevato altresì che l’eventuale concorrenza di altri disturbatori – rimasti ignoti o comunque estranei al processo- non esime il reato commesso dall’imputato.

3.2 Il secondo motivo di ricorso (v. sopra sub 2.b) è in sè strutturalmente inammissibile, ponendo alternativa in fatto del tutto apodittica e per nulla provata, nonchè prospettata come meramente possibilistica, peraltro avanzando ipotesi pure assai poco plausibile, come del resto correttamente motivato dal primo giudice.

3.3 Anche il terzo motivo di ricorso (di cui sopra sub 2.c) non supera il vaglio di ammissibilità, posto che – come sopra già affermato- altri disturbi subiti aliunde dalla parte lesa sono all’evidenza indifferenti rispetto all’accertata condotta dell’imputato. Nè la mancata conoscenza diretta del R. da parte della C. può introdurre motivo di dubbio, molti essendo i motivi e le circostanze – specie di lavoro – che possono avere consentito all’imputato di pervenire alla conoscenza del numero telefonico della parte lesa, anche sul punto come da ragionevole motivazione dell’impugnata sentenza.

3.4 E’ del tutto infondato, poi, il quarto motivo di ricorso (v. sub 2.d), atteso che il reato di cui all’art. 660 c.p. è sorretto dall’elemento psicologico del dolo generico – coscienza e volontà di arrecare disturbo o molestie, nella fattispecie palesemente ricorrenti – essendo la petulanza e il biasimevole motivo elementi che confluiscono in quelli oggettivi della fattispecie, ed essendo irrilevanti gli eventuali motivi personali (cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 7051 in data 30.04.1998, Rv. 210724, Morgilli; e successive conformi).

3.5 Quanto, infine, all’ultimo motivo di impugnazione (v. sopra sub 2.c), deve qui confermarsi che il giudice del merito ha il dovere di verificare d’ufficio le condizioni, di legittimità e di opportunità, analizzando gli elementi di prognosi, per l’applicazione del beneficio di cui all’art. 163 c.p., di tal che la concessione dello stesso è incensurabile per la dedotta mancanza di una richiesta da parte dell’imputato (cfr. in tal senso Cass. Pen, Sez. 3, n. 8050 in data 11.01.2007, Rv. 236103, *********).

3.6 In definitiva, l’impugnazione, infondata in ogni sua deduzione, deve dunque essere rigettata. Alla completa reiezione del gravame consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente R.V. al pagamento delle spese processuali.

Redazione