Corte di Cassazione Penale sez. I 18/3/2011 n. 11050

Redazione 18/03/11
Scarica PDF Stampa
Svolgimento del processo
Il processo di merito.

1. – Il giorno 13 novembre 2009 N.D. veniva arrestato a Torino da personale della Polizia di Stato perchè non aveva ottemperato all’ordine di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale, impartitogli il 23 agosto 2009 dal Questore di Torino ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 bis, (recante il "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero"). N. D. aveva già ricevuto analoghe intimazioni in data 3 settembre 2008 e 29 ottobre 2008, entrambe non ottemperate, ed era stato condannato per la violazione della prima, accertata il 18 ottobre 2008, con sentenza di applicazione della pena (art. 444 c.p.p.) in data 28 ottobre 2008. 1.1 – Il Pubblico ministero contestava a N.D. il reato di cui il "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, aggravato dalla recidiva specifica e infraquinquennale (ai sensi dell’art. 99 c.p., comma 2, lett. a e b, e, comma 3) e disponeva che l’arrestato venisse portato dinanzi al giudice del dibattimento per la convalida dell’arresto, per la emissione nei suoi confronti della misura della custodia cautelare in carcere e per il giudizio direttissimo, ai sensi dell’art. 449 c.p.p. e ss..

1.2 – Il 16 novembre 2009 il Tribunale monocratico di Torino convalidava l’arresto; sottoponeva l’imputato alla misura coercitiva dell’obbligo di presentazione alla Polizia (art. 282 c.p.p.), con frequenza quotidiana; disponeva su richiesta dell’imputato che si procedesse con giudizio abbreviato (artt. 438 – 442 c.p.p.).

All’esito del giudizio, con sentenza dello stesso giorno 16 novembre, il Tribunale dichiarava N.D. responsabile del reato contestato e lo condannava alla pena di otto mesi di reclusione.

1.3.- L’imputato proponeva appello a mezzo del suo difensore. Con sentenza pronunziata il 7 maggio 2010, depositata il 20 maggio successivo, la Corte d’appello di Torino confermava la condanna.

(Le motivazioni della condanna).

2. – Le ragioni poste a fondamento delle decisioni dei giudici di merito, che essendo conformi si integrano, sono le seguenti:

2.1. – N.D. era stato in passato invitato ad allontanarsi dal territorio nazionale con ordine di allontanamento volontario del 3 settembre 2008; era stato condannato a sette mesi di reclusione con sentenza di applicazione della pena in data 28 ottobre 2008 per il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, accertato il 18 ottobre 2008, perchè non aveva ottemperato a detto ordine; il 29 ottobre 2008 era stato raggiunto da un secondo ordine di allontanamento volontario; in data 23 agosto 2009 dopo l’entrata in vigore della L. 15 luglio 2009, n. 94, era stato emesso nei suoi confronti nuovo ordine di allontanamento, che ancora una volta non aveva ottemperato e per la cui violazione era stato arrestato;

2.2. – N.D. era maggiorenne all’epoca dei fatti, come accertato mediante esame osseo; l’ordine di lasciare l’Italia entro cinque giorni era stato regolarmente emesso il 23 agosto 2009 dal Questore in base a decreto di espulsione del Prefetto dello stesso giorno; i due provvedimenti rispettavano la normativa vigente ed erano stati notificati all’imputato tradotti in lingua francese, da lui conosciuta;

2.3. – la norma incriminatrice applicabile per la violazione all’ultimo ordine di allontanamento era il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater, modificato dalla L. n. 94 del 2009, che non prevedeva come causa di esclusione della responsabilità l’esistenza di un giustificato motivo; tuttavia, anche a ritenere in via interpretativa implicita tale condizione, nessun giustificato motivo poteva essere ravvisato nel caso di N.D., secondo la giurisprudenza consolidata il "giustificato motivo" non poteva essere confuso infatti con il mero disagio economico derivante dalla condizione di migrante; lo straniero non era del tutto indigente perchè svolgeva attività di venditore ambulante; non s’era neppure rivolto al suo consolato chiedendo un aiuto economico per il rientro in patria;

2.4. – Il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, era stato modificato con la L. 15 luglio 2009, n. 94, e la giurisprudenza secondo cui dopo la condanna per l’inottemperanza a precedente ordine di allontanamento volontario l’espulsione non poteva essere eseguita mediante nuovo ordine di allontanamento volontario, in base alla quale la difesa contestava la sussistenza della fattispecie del comma 5 quater, non poteva trovare applicazione perchè si riferiva a precedente formulazione della norma incriminatrice (e delle altre di riferimento).

Il ricorso.

3. – N.D. ha proposto ricorso personalmente avverso la sentenza di appello e ne ha chiesto l’annullamento per mancanza di motivazione e per insussistenza del fatto. Afferma:

3.1. – che l’ordine di allontanamento volontario del 23 agosto del 2009 era da disapplicare perchè, non essendo stato acquisito il precedente ordine del 3 settembre 2008, sul quale si basava, non era possibile stabilirne la legittimità; l’ordine di allontanamento volontario può essere emanato difatti soltanto se non è possibile eseguire coattivamente l’espulsione, immediatamente o previo trattenimento in un centro, e tale impossibilità deve essere adeguatamente motivata; che nel caso in esame non era possibile invece accertare se i precedenti ordini di allontanamento volontario erano adeguatamente motivati; mentre l’ultimo ordine recava una motivazione prestampata, che non poteva considerarsi legittima;

3.2. – N.D. era privo di documenti e non poteva procurarsi, perciò, un valido documento di viaggio;

3.3. – gli atti amministrativi erano stati tradotti soltanto in francese, lingua che N.D. non conosceva adeguatamente.

3.4. Il 1 febbraio 2011 il difensore d’ufficio dell’imputato ha depositato una memoria integrativa, con la quale insiste nei precedenti motivi e deduce anche:

a) – che nel frattempo era stata pronunciata la sentenza n. 359 del 2010 della Corte costituzionale, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater, come modificato dalla L. n. 94 del 2009, nella parte in cui non dispone che l’inottemperanza all’ordine di allontanamento volontario sia punita nel solo caso che abbia luogo "senza giustificato motivo", secondo quanto già previsto per la condotta di cui al precedente comma 5 ter;

b) – che in dibattimento all’imputato era stata negata l’assistenza di un interprete di lingua francese, che si sosteneva a lui nota, ed era stato nominato un interprete di dialetto sconosciuto all’imputato.

Le richieste del Procuratore generale.

4. – Il Procuratore generale ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste. Ha motivato tale richiesta sostenendo che la norma incriminatrice o, comunque, la disciplina dell’espulsione che ne costituisce il presupposto, è in contrasto con la Direttiva 2008/115/CE, a suo avviso autoapplicativa dopo la scadenza dei termini di recepimento.

Motivi della decisione
1. – La decisione del ricorso proposto dall’imputato richiede che siano risolti in via pregiudiziale i dubbi di interpretazione della normativa comunitaria evocata dal Procuratore generale.

Diritto nazionale.

(La normativa interna).

2. – La normativa interna essenziale è riportata, per alleggerire la lettura, nel 1^ Allegato alla presente ordinanza.

Qui è sufficiente ricordare che la norma incriminatrice (articolo 14, comma 5 quater del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante il "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero", integrato da ultimo con L. 15 luglio 2009, n. 94), così dispone:

– Art. 14 – 1. Quando non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera ovvero il respingimento, perchè occorre procedere al soccorso dello straniero, accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità di vettore o altro mezzo di trasporto idoneo, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di identificazione e di espulsione più vicino.

5 bis Quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di identificazione ed espulsione, ovvero la permanenza in tale struttura non abbia consentito l’esecuzione con l’accompagnamento alla frontiera dell’espulsione o del respingimento, il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni. L’ordine è dato con provvedimento scritto, recante l’indicazione delle conseguenze sanzionatorie della permanenza illegale, anche reiterata, nel territorio dello Stato. L’ordine del questore può essere accompagnato dalla consegna all’interessato della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo Paese in Italia, anche se onoraria, nonchè per rientrare nello Stato di appartenenza ovvero, quando ciò non sia possibile, nello Stato di provenienza.

(comma così sostituito dalla L. n. 94 del 2009, art. 1, comma 22, lett. m)).

5 – ter. Lo straniero che senza giustificato motivo permane illegalmente nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5 bis, è punito con la reclusione da uno a quattro anni se l’espulsione o il respingimento sono stati disposti per ingresso illegale nel territorio nazionale ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. a) e c), ovvero per non aver richiesto il permesso di soggiorno o non aver dichiarato la propria presenza nel territorio dello Stato nel termine prescritto in assenza di cause di forza maggiore, ovvero per essere stato il permesso revocato o annullato. Si applica la pena della reclusione da sei mesi ad un anno se l’espulsione è stata disposta perchè il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, ovvero se la richiesta del titolo di soggiorno è stata rifiutata, ovvero se lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione della L. 28 maggio 2007, n. 68, art. 1, comma 3. In ogni caso, salvo che lo straniero si trovi in stato di detenzione in carcere, si procede all’adozione di un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica per violazione all’ordine di allontanamento adottato dal questore ai sensi del comma 5 bis.

Qualora non sia possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera, si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 5 bis del presente articolo nonchè, ricorrendone i presupposti, quelle di cui all’art. 13, comma 3.

(comma così sostituito dalla L. n. 94 del 2009, art. 1, comma 22, lett. m)).

5 – quater. Lo straniero destinatario del provvedimento di espulsione di cui al comma 5 ter e di un nuovo ordine di allontanamento di cui al comma 5 bis, che continua a permanere illegalmente nel territorio dello Stato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Si applicano, in ogni caso, le disposizioni di cui al comma 5 ter, terzo e ultimo periodo.

(comma così sostituito dalla L. n. 94 del 2009, art. 1, comma 22, lett. m)).

(La lettura della disciplina interna).

3. – Vanno tuttavia delineate in estrema sintesi le linee portanti della disciplina nazionale di riferimento, perchè la sua comprensione appare complicata dall’affastellamento di interventi normativi e da un fitto intreccio di rinvii interni.

3.1. – Il D.Lgs. n. 286 del 1998, reca il Testo unico delle disposizioni in materia d’immigrazione (d’ora in avanti T.U. imm.) e si riferisce, a norma dell’art. 1, comma 1, esclusivamente ai cittadini extracomunitari. Venne emanato dal Governo in base alla delega conferita dalla L. 6 marzo 1998, n. 40, art. 47, comma 1. Le disposizioni degli artt. 13, 14, 15 e 16 costituivano la trasposizione della L. 6 marzo 1998, n. 40, artt. 11, 12, 13 e 14.

La L. n. 40 del 1998, all’art. 1 si definiva applicabile ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea e agli apolidi, in attuazione dell’art. 10 Cost. (che dispone "La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali"). Detta legge sostituiva, abrogandoli (ex art. 46, comma 1, lett. e), il D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, art. 2 e ss., convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 1990, n. 39: disposizioni già modificate e integrate dalla L. 30 settembre 1993, n. 388, di ratifica dell’Accordo di Schengen e della Convenzione di applicazione.

Il T.U. imm. ha subito un primo radicale intervento riformatore ad opera della L. 30 luglio 2002, n. 189, ed è stato oggetto nel tempo di tali e tanti aggiustamenti, specialmente in materia di sanzioni penali per l’illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale, da far dire alla Corte costituzionale – che pure ha ritenuto di non potere sindacare la scelta delle pene e la commisurazione della differente gravità dei reati – che "il quadro normativo …, risultante dalle modificazioni che si sono succedute negli ultimi anni, anche per interventi legislativi successivi a pronunce di questa Corte, presenta squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa" (sentenza n. 22 del 2007).

3.2. – Il T.U. imm. ha comunque sempre mantenuto nel suo impianto espulsioni "amministrative" e espulsioni cosiddette "giurisdizionali".

Le espulsioni amministrative, disposte con provvedimento non giurisdizionale (del ministro o del prefetto) e sottoposte a controllo giurisdizionale, sono disciplinate dagli artt. 13 e 14.

L’espulsione può essere disposta dal ministro (art. 13, comma 1) se ricorrono "motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato"; in tal caso prescinde dalla "regolarità" dell’ingresso o della permanenza nel territorio dello Stato ed è giustificata.

L’espulsione può essere quindi disposta dal prefetto:

– nel caso in cui lo straniero, anche regolarmente soggiornante, appartenga a una delle categorie di persone pericolose per le quali è prevista l’applicabilità di misure di prevenzione (art. 13, comma 2, lettera e));

– ovvero nei casi in cui lo straniero che è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera o si è trattenuto nel medesimo territorio senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto ovvero con permesso di soggiorno revocato, annullato o scaduto da più di sessanta giorni senza averne chiesto il rinnovo (art. 13, comma 2, lett. a) e b)).

3.3. – Le espulsioni disposte dal giudice sono nel T.U. imm.:

– l’espulsione come misura di sicurezza (art. 15), che consegue ad una condanna per reati di una certa gravità (delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza) ed è subordinata, come tutte le misure di sicurezza previste dal codice penale, all’accertamento della pericolosità sociale del condannato;

– le espulsioni come "sanzione sostitutiva" (art. 16, comma 1) e come "sanzione alternativa" (art. 16, comma 5, come sostituito dalla L. 30 luglio 2002, n. 189), che prescindono invece dalla pericolosità e presuppongono anzi che la condanna non si riferisca a delitti ritenuti di estremo allarme (quelli elencati nell’art. 407, comma 2, lett. a, del codice di procedura penale) nè ai delitti previsti dal T.U. imm.

3.4. – La Corte costituzionale, respingendo i dubbi di legittimità costituzionale sollevati nel tempo in relazione alle espulsioni a titolo di sanzione sostitutiva e di sanzione alternativa (art. 16), ha affermato che in entrambi i casi si tratta in realtà di misura che "pur se disposta dal giudice, si configura come una misura di carattere amministrativo" cui consegue, se ottemperata, l’estinzione della pena e se violata il risorgere della pretesa punitiva; ciò comportando la "sostanziale sovrapposizione" fra espulsioni disposte dal prefetto e dal giudice nei confronti del cittadino extracomunitario che è entrato o soggiorna irregolarmente nel territorio dello Stato, eseguibili dal questore secondo le procedure previste dagli artt. 13 e 14 del T.U. imm. (C. cost. ordinanze numeri 369 del 1999 e 226 del 2004).

Il profilo rilevante in questa sede è che le espulsioni disciplinate dal T.U. imm. si distinguono per natura o disciplina, ma la differenza non dipende affatto esclusivamente dall’essere state disposte da autorità amministrativa o giurisdizionale, neppure se seguono ad una condanna.

3.5. – In base agli artt. 13 e 14 del T.U. imm., il provvedimento di espulsione è eseguito dal questore di regola, ovverosia con priorità (la norma dice "sempre", salvi i casi di espulsione per permesso scaduto), mediante accompagnamento coattivo immediato alla frontiera (art. 13 comma 4), soggetto a convalida giurisdizionale.

Per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2004 e del D.L. 14 settembre 2004, n. 241, il provvedimento di espulsione diviene esecutivo solo quando è convalidato.

3.6. – Nel sistema originario del T.U. l’espulsione dello straniero avveniva di regola mediante intimazione del questore a lasciare il territorio nazionale (art. 13, comma 6), mentre l’accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, costituiva un’eccezione, prevista essenzialmente nei casi di particolare pericolosità dello straniero (art. 13, comma 4). Non era inoltre prevista alcuna specifica sanzione penale per lo straniero inadempiente all’intimazione, essendo soltanto stabilito che in tal caso si sarebbe provveduto con accompagnamento coattivo (art. 13, comma 4, lett. a).

3.7. – Con le modifiche introdotte dalla L. 30 luglio 2002, n. 189, il legislatore ha invece previsto, ribaltando la logica originaria, che l’espulsione sia di regola eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4). L’accompagnamento alla frontiera è divenuto così la forma ordinaria di esecuzione dell’espulsione amministrativa, salvo che per l’ipotesi di straniero già titolare di permesso di soggiorno che sia scaduto da più di sessanta giorni e che non sia stato rinnovato (art. 13, comma 5).

Nell’ipotesi in cui non è possibile eseguire immediatamente l’espulsione coattiva mediante accompagnamento alla frontiera (per la necessità di soccorrere lo straniero, di accertare la sua identità o nazionalità, di acquisire i documenti di viaggio, per indisponibilità del vettore), l’art. 14 prevede che lo straniero è trattenuto presso un "centro" (ora "di identificazione ed espulsione") in base a un provvedimento del questore soggetto a convalida giudiziale. Il termine massimo di tale trattenimento era all’inizio fissato in venti giorni più un’eventuale proroga di dieci giorni; era stato quindi portato dalla L. n. 189 del 2002, fino a trenta giorni, prorogabili di altri trenta.

3.8. – La L. n. 94 del 2009, ha in aggiunta introdotto nell’art. 14, comma 5, T.U. imm., la previsione che, scaduti i primi sessanta (30 più 30) giorni, in caso di "mancata cooperazione al rimpatrio" dello straniero o di ritardi nell’ottenimento della documentazione dai Paesi terzi, il questore può chiedere al giudice la proroga del trattenimento per sessanta giorni e, se questi non sono stati sufficienti a provvedere all’espulsione nonostante ogni ragionevole sforzo, per altri sessanta giorni: il termine massimo non può essere superiore comunque a centottanta giorni.

3.9. – Soltanto se non è stato possibile eseguire l’accompagnamento coattivo e neppure è possibile trattenere lo straniero presso un centro, oppure se i termini di permanenza sono trascorsi senza che l’espulsione abbia avuto luogo, è consentito procedere in via sussidiaria all’espulsione mediante intimazione del questore a "lasciare il territorio dello Stato entro il termine di 5 giorni" (art. 14, comma 5 bis). La violazione "senza giustificato motivo" di tale ordine di allontanamento è sanzionata penalmente dall’art. 14, comma 5 ter.

E’ da sottolineare che nel linguaggio del T.U. imm. il termine "allontanamento" non contraddistingue affatto l’allontanamento coattivo, definito "accompagnamento coattivo", ma è riferito in genere all’allontanamento volontario: quello appunto di cui all’art. 14, comma 5 bis. La norma, inoltre, parla testualmente di ordine di "lasciare il territorio dello Stato", non esplicitamente di rimpatrio. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che al fine di verificare l’esistenza di un "giustificato motivo", le difficoltà incontrate dallo straniero vanno parametrate alla possibilità di ritorno nel paese d’origine o in paese disposto ad accogliere lo straniero. Ciò non toglie che, per il principio di tassatività, ai fini penali lo straniero non può considerarsi inadempiente se ha lasciato il territorio italiano per entrare in quello di altro Stato membro nel quale è parimenti irregolare, anche se il risultato così conseguito dalla norma incriminatrice non sembra conforme al diritto dell’Unione.

3.10. – Secondo la formulazione introdotta dalla L. n. 189 del 2002, la sanzione era "l’arresto da 6 mesi a 1 anno". "In tale caso", proseguiva l’art. 14, comma 5 ter, "si procede a nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera mezzo della forza pubblica". Il comma 5 quater, prevedeva quindi che lo straniero così espulso che venisse trovato sul territorio nazionale, fosse punito con la reclusione da uno a quattro anni. Era previsto (comma 5 quinquies) l’arresto obbligatorio in flagranza e il giudizio direttissimo (forma accelerata di presentazione dell’arrestato al giudice per la convalida dell’arresto e il giudizio).

3.11. – A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del luglio 2004, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della previsione dell’arresto obbligatorio per l’ipotesi contravvenzionale dell’art. 14, comma 5 ter, il legislatore è intervenuto con il D.L. 14 settembre 2004, n. 241, convertito con modificazioni nella L. 12 novembre 2004, n. 271, trasformando la contravvenzione in delitto e prevedendo la reclusione da uno a quattro anni per l’ipotesi dell’art. 14 comma 5 ter, la reclusione da uno a cinque anni per l’ipotesi del comma 5 quater. Con il medesimo intervento normativo si sostituiva l’espressione "in tale caso", che collegava nel comma 5 ter la nuova espulsione coattiva all’accertamento del fatto-reato, con l’espressione "in ogni caso". 3.12.- La giurisprudenza fissava alcuni punti. a) L’ordine del questore allo straniero di lasciare entro cinque giorni il territorio dello Stato segue il decreto di espulsione del prefetto e presuppone che non sia stato possibile eseguire tempestivamente l’espulsione e neppure trattenere lo straniero presso un centro di permanenza, ovvero che siano trascorsi i termini di permanenza (Sezioni unite, sentenza n. 2451 del 27 settembre 2007, Magera). L’ordine deve essere motivato in relazione a tale impossibilità; la mancanza di motivazione ne comporta l’illegittimità e rende non configurabile la violazione prevista come reato; l’esistenza di un ordine legalmente dato in base alla normativa vigente al momento della sua emanazione è presupposto della norma incriminatrice. b) La clausola del giustificato motivo funge da "valvola di sicurezza" del meccanismo repressivo ed opera allorchè l’osservanza del precetto appare – anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione – concretamente "inesigibile" (Corte cost., sentenza n. 5 del 2004, ordinanze n. 80 e n. 302 del 2004, ordinanza n. 286 del 2006, sentenza n. 22 del 2007, ordinanza n. 417 del 2008). Essa opera soltanto in presenza di "situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; non anche ad esigenze che riflettano la condizione tipica del migrante economico, sebbene espressive di istanze in sè e per sè pienamente legittime" (Corte cost., sentenza n. 5 del 2004). c) Si consolidava inoltre una interpretazione giurisprudenziale (tra molte: Cass. pen., sez. 1, sentenza n. 1052 del 14.12.2005, Shumska;

sez. 1, n. 15260 del 12.4.2006, *******; sez. 1, n. 46240 del 4.12.2008, Obi; sez. 6, n. 9073 del 17.12.2009, *******) secondo cui, dopo la commissione di un primo reato ex art. 14, comma 5 ter, non poteva configurarsi una seconda analoga violazione, potendo la nuova espulsione essere eseguita solo mediante accompagnamento alla frontiera.

3.13. – Con la L. n. 94 del 2009, il legislatore ha allungato, come si è detto, i tempi del trattenimento portandoli ad un massimo di centottanta giorni, ed ha inciso sul sistema repressivo penale sostituendo, ovverosia riscrivendo, l’art. 14, commi 5 bis, 5 ter, 5 quater, del T.U. imm.

Le modifiche (evidenziate nel corpo delle norme prima riportate) inaspriscono le pene; estendono le ipotesi in cui la violazione dell’ordine di allontanamento volontario costituisce delitto;

espressamente prevedono la reiterazione dell’intimazione all’allontanamento volontario dopo la violazione di un precedente ordine di allontanamento volontario. La riformulazione dell’art. 14, comma 5 quater, comporta così in particolare che la violazione della successiva intimazione integra un ulteriore delitto punibile con la reclusione da uno a cinque anni, che – perlomeno stando al tenore letterale – potrebbe addirittura ipotizzarsi ripetibile all’infinito.

Sempre la L. n. 94 del 2009, ha introdotto inoltre, da un lato nel T.U. imm. il reato di cui all’art. 10 bis, punito soltanto con l’ammenda; dall’altro nell’ambito dell’art. 16, comma 1, del medesimo T.U. la previsione della sanzione sostitutiva dell’espulsione in caso di condanna per il reato di cui all’art. 10 bis e, nell’ambito delle sanzioni applicabile dal giudice di pace competente a conoscere di tale contravvenzione, analoga previsione della sostituzione dell’ammenda con la sanzione dell’espulsione ai sensi dell’art. 16 del T.U. imm. (D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 62 bis).

3.14. – La Corte costituzionale con la sentenza n. 250 del 2010 (e innumerevoli ordinanze a seguire) ha escluso ogni profilo d’illegittimità costituzionale per il reato previsto dall’art. 10 bis. Con la sentenza n. 359 del 2010, richiamata anche nella memoria del ricorrente, ha invece dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5 quater, come modificato dalla L. n. 94 del 2009, nella parte in cui non dispone che l’inottemperanza all’ordine di allontanamento volontario sia punita nel solo caso che abbia luogo "senza giustificato motivo", secondo quanto già previsto per la condotta di cui al precedente comma 5 ter.

Necessità della questione pregiudiziale.

4. – In punto di rilevanza va evidenziato che, stando al solo diritto interno, il ricorso dovrebbe essere rigettato.

4.1. – La legittimità del primo ordine di allontanamento volontario risulta accertata con la sentenza che in data 28 ottobre 2008 ha applicato all’imputato la pena patteggiata di sette mesi di reclusione per il reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter. La contestazione sul punto è del tutto generica.

4.2. – Il secondo ordine è stato sufficientemente motivato considerando, quanto all’impossibilità di eseguire l’espulsione, che l’imputato era "sedicente" e mancava "un valido documento per l’espatrio"; quanto all’impossibilità di trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea, che vi era "indisponibilità di posti". Tanto bastava a dare ragione dell’esistenza dei presupposti che costituivano condizione di validità dell’atto, senza che occorressero spiegazioni ulteriori.

4.3. – La circostanza che l’imputato fosse (e sia) "sedicente" non è sufficiente ad integrare un "giustificato motivo", perchè incombeva su di lui allegare che era incolpevolmente privo di documenti d’identità, mentre non ha mai indicato circostanze specifiche idonee a dimostrare che i documenti gli erano stati negati o sottratti o che li avesse perduti. Inoltre le sentenze di merito hanno correttamente evidenziato che l’imputato ha ammesso di non essersi mai recato al Consolato del suo paese per ottenere ausilio per il rimpatrio.

4.4. – Il francese è la lingua ufficiale del Gabon e la lingua di comunicazione tra le molte etnie. I giudici di merito hanno affermato che l’imputato era in grado di comprendere tale lingua e che era in Italia da molti anni, e questo è il risultato di un accertamento di fatto plausibile, non sindacabile nel giudizio di legittimità. La deduzione oggetto della memoria difensiva in data 1 febbraio 2011, secondo cui in giudizio all’imputato era stata negata l’assistenza di un interprete di lingua francese ed era stato nominato un interprete di un idioma dialettale e a lui sconosciuto, è in contrasto sia con le censure svolte in tema di lingua conosciuta nel ricorso sia con il fatto che analoga doglianza sulla inidoneità dell’interprete nominato non è stata tempestivamente prospettata al giudice del merito.

4.5. – La sentenza n. 359 del 2010 della Corte costituzionale non rileva nel caso di specie, perchè il Tribunale aveva già escluso, in fatto, che ricorressero motivi di giustificazione riconducibili alla nozione normativa del "giustificato motivo": motivi cioè diversi da quelli legati alla normale condizione di difficoltà del migrante economico, in conformità alla linea interpretativa indicata al punto 3.12.a.

4.6. – La condanna potrebbe dunque essere annullata soltanto se si ritenesse che le disposizioni del diritto interno, regolanti l’espulsione mediante intimazione e le conseguenze collegate alla condotta di inottemperanza a detta intimazione, sono incompatibili con il diritto dell’Unione Europea, in particolare con la Direttiva 2008/115/CE, secondo la lettura che di essa ha dato il Procuratore generale nella sua requisitoria orale.

Presupponendo tale verifica l’interpretazione del diritto dell’Unione, questa Corte di ultima istanza ha il dovere di investire pregiudizialmente la Corte di giustizia.

Diritto dell’Unione.

(Le norme).

5. – I quesiti interpretati investono l’art. 2, par. 2, lett. b);

art. 7, par. 1 e 4; art. 8, par. 1 e 4;

art. 15, par. 1, 4, 5 e 6, della Direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, pubblicata in ***** del 24.12.2008, in vigore dal 13 gennaio 2009.

Coinvolgono altresì, quali norme di comparazione, l’art. 3; art. 7, par. 2 e 3; art. 8, par. 2 e 3; artt. 16, 21 della Direttiva 2008/115/CE; l’art. 23 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, sostituito dalla Direttiva; l’art. 5 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo cui la direttiva può mediatamente considerarsi ispirata. Tutte le disposizioni evocate sono riportate nel 2^ Allegato.

(Il risultato che la direttiva intende realizzare).

6. – La direttiva richiama in premessa, nei primi tre "considerando":

il Consiglio Europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, in tema di approccio coerente in materia di migrazione e asilo e politica comune per l’immigrazione legale, nonchè di lotta contro l’immigrazione clandestina; il Consiglio Europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004, in tema di norme comuni affinchè le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità; i "Venti orientamenti sul rimpatrio forzato", adottati il 4 maggio 2005 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (CM(2005)40, in adesione alle conclusioni dei Consigli prima indicati).

6.1. – A illustrazione del sesto, settimo e ottavo principio dei "Venti orientamenti", il commento ufficiale (CM(2005)40 Addendum finale, 20 maggio 2005), osservava che essi si fondavano direttamente sull’articolo 5 della Convenzione EDU e richiamava la giurisprudenza della Corte di Strasburgo in tema di proporzionalità, ragionevole durata, obiettiva giustificazione della detenzione a qualsiasi titolo imposta.

6.2. – Nel prosieguo, sempre nei "considerando ", la Direttiva così esplicita priorità, ragioni di tutela, finalità, che ispirano le regole dettate nell’articolato normativo:

(10) Se non vi è motivo di ritenere che ciò possa compromettere la finalità della procedura di rimpatrio, si dovrebbe preferire il rimpatrio volontario al rimpatrio forzato e concedere un termine per la partenza volontaria.

(11) Occorre stabilire garanzie giuridiche minime comuni sulle decisioni connesse al rimpatrio per l’efficace protezione degli interessi delle persone interessate.

(12) E’ necessario occuparsi della situazione dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ma che non è ancora possibile allontanare. Le condizioni basilari per il loro sostentamento dovrebbero essere definite conformemente alla legislazione nazionale.

Affinchè possano dimostrare la loro situazione specifica in caso di verifiche o controlli amministrativi, tali persone dovrebbero essere munite di una conferma scritta della loro situazione.

(13) L’uso di misure coercitive dovrebbe essere espressamente subordinato al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto riguarda i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti.

(16) Il ricorso al trattenimento ai fini dell’allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l’allontanamento e se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente.

6.3. – Pare dunque evidente che la Direttiva tende a conciliare;

– da una parte, il diritto degli Stati membri di controllare l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel loro territorio e a prevenire in modo efficace illeciti e abusi in materia di immigrazione e asilo;

– dall’altra, il rispetto dei principi di ogni Stato di diritto in tema di restrizione della libertà personale, da considerare rimedio ultimo cui ricorrere nel modo meno coercitivo possibile e solo in caso di effettiva necessità; nonchè, unitamente, il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti e delle garanzie loro accordate dal diritto internazionale pattizio e dalla Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

6.4. – In quest’ottica, la regola secondo cui deve essere privilegiato e preferito il rimpatrio volontario, con impegno dello Stato a renderne effettiva la possibilità, appare al Collegio intimamente legata alle disposizioni che concernono le durate massime del trattenimento, previste dall’art. 15, par. 5 e 6, della Direttiva. Comune sembra la funzione di controlimite al potere degli Stati membri di usare indiscriminatamente la forza e la coazione per impedire ingresso e soggiorno sul loro territorio dei migranti economici "irregolari". 6.5. – Nella sentenza 30 novembre 2009, Kodzoev, la Corte di giustizia ha ricordato che la possibilità di collocare una persona in stato di trattenimento per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza non può trovare fondamento (nè, dunque, limite) nella Direttiva 2008/115/CE. Ma ha ribadito anche che "quando è raggiunta la durata massima di trattenimento prevista all’art. 15, n. 6, della direttiva 2008/115, non si pone la questione se non esista più una prospettiva ragionevole di allontanamento, a norma del n. 4 dello stesso articolo. In un caso del genere la persona deve comunque essere immediatamente rimessa in libertà".

Pare chiaro, dunque, che la Direttiva, mentre non si occupa dello straniero allontanato per ragioni di ordine pubblico o di pubblica sicurezza ("pericoloso"), persegue un risultato di tutela del migrante "economico" irregolare prescrivendo il ricorso prioritario al suo rimpatrio volontario e autorizzando misure restrittive, entro rigorosi limiti temporali e modali, solo in caso di mancanza di sua cooperazione e di effettiva necessità a fini di rimpatrio. Ai fini dell’eventuale disapplicazione della norma incriminatrice, questa Corte nazionale ha tuttavia necessità che vengano precisati l’ambito effettivo e l’ampiezza di tale tutela.

Questioni interpretative.

(Applicabilità nell’ordinamento interno).

7. – La prima questione che va posta concerne l’efficacia per l’ordinamento italiano della Direttiva 2008/115/CE, o meglio delle disposizioni che assumono rilevanza nel caso in esame, in mancanza di una legge espressa di trasposizione entro il termine del 24 dicembre 2010, da essa previsto.

7.1. – Si sostiene da parte della dottrina italiana e da molti giudici del merito che la Direttiva avrebbe efficacia diretta ai fini che qui interessano quantomeno laddove: (a) afferma che gli Stati membri devono privilegiare il rimpatrio volontario; (b) prevede quale unica conseguenza rilevante, in termini di restrizione della libertà, della mancata collaborazione dello straniero al rimpatrio volontario, l’allontanamento coattivo o il trattenimento amministrativo in vista dell’esecuzione dell’allontanamento coattivo;

(c) riconosce che il diritto fondamentale alla libertà personale dello straniero sottoposto alla procedura amministrativa di espulsione non può essere in alcun caso compresso oltre i limiti tassativi fissati per il trattenimento dagli artt. 15 e 16 della direttiva.

7.2. – A tale interpretazione si oppone da altre voci dottrinali e giurisprudenziali: (a) che la fonte (Direttiva) vincola lo Stato membro nel risultato da raggiungere, ma implica di regola la necessità di trasposizione (art. 288 T.F.U.E.; art. 249, ex 189, T.C.E.); (b) che la gran parte delle disposizioni della Direttiva in esame lasciano margini di adattamento agli Stati membri; (c) che la mancata trasposizione non rende di per sè autoesecutiva una disposizione priva di tale forza, ma rende soltanto suscettibile di sanzione lo Stato che non l’ha trasposta; (d) che il profilo della tassatività dei termini massimi di trattenimento è privo di rilevanza perchè non si riferisce alle sanzioni penali.

7.3. – Il Collegio osserva che, sebbene lo Stato italiano abbia omesso sinora di trasporre formalmente la Direttiva nel suo ordinamento giuridico, ha adottato in pendenza dei termini di trasposizione la L. 15 luglio 2009, n. 94. E questa legge, non soltanto ha introdotto il reato di ingresso o soggiorno irregolare prevedendo per esso la espulsione a titolo di sanzione sostitutiva, ma ha interamente riformulato, ribadendole e novandole a un tempo, sia le norme incriminatrici sia le disposizioni che regolano l’ordine di allontanamento volontario e le conseguenze della sua violazione, che rilevano nel presente giudizio.

Se dunque si pervenisse a una interpretazione del risultato voluto dalla Direttiva nel senso che essa intende escludere che lo straniero irregolare sia sottoposto ad una spirale senza fine di intimazioni e restrizioni della libertà, nella sostanza collegate solamente alla sua mancanza di cooperazione al rimpatrio volontario, l’intervento legislativo in questione sarebbe collidente con i principi della direttiva e, compromettendone gravemente il risultato, non potrebbe dare causa a condanne.

Lo Stato avrebbe, in altri termini, violato l’obbligo di astenersi durante la pendenza del termine di trasposizione dall’adottare disposizioni che seriamente compromettano "diritti" (posizioni giuridiche soggettive garantite), la cui tutela costituisce il risultato prescrittivo della Direttiva (Corte di giustizia sentenze del 18 dicembre 1997, Inter-Environnement Wallonie ASBL; 8 maggio 2003, Atrai; 22 dicembre 2005, *******).

(Merito).

8. – Nel merito, i quesiti interpretativi da sottoporre alla Corte di giustizia ruotano attorno al problema della correttezza dell’assunto che la Direttiva 2008/115/CE non può in alcun modo essere riferita all’ipotesi di commissione di reati nè alla detenzione in vista o in conseguenza di un giudizio penale.

Parte delle opinioni di coloro che sostengono la compatibilità con la Direttiva "rimpatri" delle fattispecie di reato di cui all’art. 14, commi 5 ter e 5-quater, T.U. imm., assumono, difatti, che la stessa Direttiva sarebbe priva di pertinenza rispetto alle citate figure delittuose in ragione di quanto enunciato all’art. 2, par. 2, lett. b); del fatto che la Direttiva si occupa solo delle procedure amministrative di espulsione; del principio che le regole comuni in materia di immigrazione e controllo delle frontiere non escludono che i singoli Stati possano, nell’esercizio dei loro poteri sovrani, disporre l’incriminazione dei cittadini extracomunitari che violano le disposizioni interne in materia di ingresso e soggiorno.

Non può negarsi che le questioni interpretative che si chiede alla Corte di giustizia di risolvere sono, per i loro risvolti sul diritto interno qui rilevante, connessi agli aspetti penalistici. Li riguardano tuttavia solo mediatamente, perchè le questioni attengono alle regole fissate dalla Direttiva in tema di rimpatrio volontario, allontanamento coattivo e trattenimento, nonchè al risultato che la Direttiva intende sostanzialmente realizzare. Il Collegio spera che la esposizione dei fatti e della disciplina interna abbia chiarito che l’unica ragione su cui fonda l’incriminazione per la quale l’imputato ha riportato la nuova condanna ad otto mesi di reclusione, oggetto di ricorso, consiste nella reiterata "violazione" di intimazioni seriali, ovverosia nella perdurante sua mancata "cooperazione" all’ordine di allontanarsi dal territorio dello Stato.

8.1. – Si è visto che – diversamente da quanto prevede il 10 "considerando" e dispongono gli artt. 7, par. 1 e 4; 8, par. 1 e 4;

15, par. 1 – nell’ordinamento interno l’espulsione coattiva è tuttora la scelta prioritaria. Quando per le autorità amministrative non è possibile eseguire immediatamente l’accompagnamento alla frontiera, esso può essere procrastinato previo trattenimento presso appositi centri, per un periodo più o meno lungo e coincidente, nel massimo, nei sei mesi fissati dall’art. 15, par. 5, della Direttiva rimpatri. Se neppure il trattenimento è possibile o i termini sono scaduti, allo straniero è ordinato di "lasciare il territorio dello Stato". Se non obbedisce senza giustificato motivo è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Se condannato, può essere nuovamente intimato e nuovamente condannato.

Proprio il fatto che il trattenimento esaurito o impossibile viene dal legislatore italiano posto a monte dell’intimazione al rimpatrio volontario, costituendone H presupposto, è ciò che "giustifica", dal punto di vista strettamente sanzionatorio, una conseguenza diversa, ulteriore e questa volta di rilievo penale, per l’inottemperanza all’ordine di allontanamento volontario.

8.2. – La Corte di giustizia ha in passato più volte richiamato il principio che "Il diritto comunitario non vieta agli stati membri di reprimere la violazione delle disposizioni nazionali relative al controllo degli stranieri con opportune sanzioni – diverse dall’espulsione – atte a garantire l’osservanza delle disposizioni stesse" (sentenza 8 aprile 1976, *****; ma, con significative precisazioni in punto di proporzionalità, sentenza del 25 luglio 2002, M.R.A.X., e ivi richiamata sentenza 3 luglio 1980, Pieck).

L’art. 2, par. 2, lettera b), esclude inoltre dall’ambito di applicazione della direttiva (espulsioni quali) sanzioni penali e conseguenze di sanzioni penali.

8.3. – Sembra ragionevole, però, la tesi di chi sostiene che l’esclusione va per logica e coerenza interna riferita alle espulsioni che conseguono a reati d’altro tipo rispetto ai comportamenti di mancata collaborazione al rimpatrio, considerati dalla stessa direttiva "sanzionagli" (soltanto) mediante il prolungamento per ulteriori dodici mesi del trattenimento (art. 15, par. 6, direttiva).

Si intende dire che anche la Direttiva, che pure non si occupa di sanzioni "penali", ma solo di procedure strumentali all’espulsione (tanto che le restrizioni della libertà non hanno durata prestabilita, devono essere verificate periodicamente, e così via), pone regole a delimitazione della possibilità di coercizione sul presupposto di una patologia del comportamento dello straniero. E tale patologia coincide appunto con quella "inottemperanza" all’ordine di allontanamento volontario che nel nostro ordinamento determina la soggezione dello straniero alla pena della reclusione sino a cinque anni.

8.4. – S’è già detto, inoltre, che nell’ordinamento italiano le espulsioni non si distinguono tanto per i soggetti da cui sono disposte, quanto per il loro collegamento o l’assenza di collegamento a un giudizio di "pericolosità sociale" dell’espulso. E si è pure detto che le espulsioni a titolo di sanzione sostitutiva (e alternativa) dello straniero irregolare disposte dal giudice ai sensi dall’art. 16 del T.U. imm., non presuppongono un giudizio di pericolosità concreta, ma soltanto la situazione di "irregolarità" dello straniero, e che hanno la stessa natura amministrativa delle espulsioni disposte dal prefetto ai sensi dell’art. 13 comma 2, lettera b), venendo eseguite nel medesimo modo dal questore. Molte voci hanno quindi segnalato che l’introduzione nel T.U. imm. della contravvenzione di ingresso o soggiorno illegale, prevista dall’art. 10-bis – punita con un’ammenda da sostituire, in presenza delle condizioni per l’espulsione amministrativa, con l’espulsione a titolo di "sanzione sostitutiva", disposta dal giudice in luogo del prefetto – non avrebbe altra funzione che rendere operante la deroga contemplata dell’art. 2, par. 2, lettera b), della Direttiva.

Tendenzialmente – si è sostenuto – l’intervento giurisdizionale che "punisce" con l’espulsione il reato di ingresso e soggiorno irregolare, dovrebbe relegare l’espulsione formalmente amministrativa alle sole ipotesi di respingimento, anch’esse tuttavia escluse dalla sfera d’applicazione della direttiva ai sensi della lettera b) del medesimo articolo 2, par. 2.

La qualificazione come reati delle condotte del migrante che viola le norme interne disciplinanti il suo soggiorno o il suo onere di ottemperare ad un ordine di rimpatrio, serve, insomma, soltanto a surrogare l’inadeguatezza della macchina amministrativa. E tali considerazioni potrebbero trovare conferma nella previsione di cause d’improcedibilità dei giudizi relativi a tali contravvenzioni o delitti, se si accerta l’avvenuta espulsione (art. 10 bis, comma 5;

art. 13, comma 3 quater, T.U. imm.). Sta di fatto che la provenienza da autorità amministrativa o giurisdizionale dell’espulsione è per il nostro ordinamento, nelle ipotesi ricordate, un dato esclusivamente formale (parte della dottrina lo considera di "etichette"), la cui rilevanza ai fini del diritto dell’Unione, in genere propenso a conferire rilievo agli aspetti sostanziali, non può non essere sottoposta all’organo istituzionalmente deputato a chiarire il senso delle norme comuni.

8.5. – All’inverso, a ritenere che la Direttiva non tocca l’aspetto della eventuale incriminazione dello straniero, neppure quando questa dipenda esclusivamente dalla sua permanenza irregolare (art. 10 bis T.U. imm.) o dalla sua mancata collaborazione al rimpatrio volontario (art. 14, commi 5 ter e comma 5 quater T.U. imm.), potrebbe dubitarsi della rilevanza del fatto che nell’ordinamento interno l’incriminazione per inottemperanza all’intimazione consegue ad una inversione dell’ordine di priorità nelle modalità espulsive.

Ipotizziamo che si ritenga che la disposizione che impone allo Stato membro di rilasciare lo straniero irregolare quando i termini del trattenimento sono esauriti, o non esiste alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento (sentenza Kadzoev cit.), non impedisca a tale Stato di sanzionare penalmente, con pena detentiva, lo straniero che, rilasciato, continua a soggiornare illegalmente e che, nuovamente intimato, non si allontana. Potrebbe allora sostenersi che analoga facoltà non è comunque preclusa ogni volta che l’intimazione e l’incriminazione del comportamento ostruzionistico sono di fatto dipese dalla "impossibilità" di trattenere, o di trattenere più a lungo, lo straniero.

8.6. – Vi è tuttavia una antinomia difficile da risolvere tra:

– le proposizioni normative, da un lato, che prescrivono agli Stati membri di privilegiare il rimpatrio volontario dello straniero irregolare e consentono in mancanza di sua cooperazione di trattenerlo sino a 18 mesi solo nel caso in cui "sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo" (art. 15, par. 6), mai trattandolo come un delinquente comune (art. 16);

– la prospettazione, dall’altro, che le stesse norme non impediscono allo Stato membro di punire con la reclusione sino a cinque anni, a titolo di delitto, la mancanza di cooperazione dello straniero "irregolare", senza neppure avere l’onere di dimostrare d’avere fatto ogni ragionevole sforzo per allontanarlo.

8.7. – Resterebbe in ogni caso da verificare se le regole specifiche dettate dalla Direttiva e i principi più generali in esse richiamati o attuati, ove pure non fossero d’ostacolo a risposte sanzionatorie diverse, richiedano, in vista del risultato che la direttiva tende a realizzare, che dette sanzioni siano nel loro complesso proporzionate a modalità e tempi del trattenimento ovvero, in ogni caso, alle sanzioni previste per fattispecie analoghe concernenti fatti di mera disobbedienza agli ordini dell’autorità da parte di cittadini dello Stato o comunitari (il riferimento è ad esempio all’art. 650 c.p. riportato in allegato).

(Quesiti).

9. – Occorre in conclusione chiedere alla Corte di giustizia:

a) se l’art. 7, par. 1 e 4; l’art. 8, par. 1, 3 e 4; l’art. 15, par.

1, della Direttiva 2008/115/CE, devono essere interpretati nel senso che è precluso allo Stato membro, invertendo le priorità e l’ordine procedurale indicato da tali norme, di intimare allo straniero irregolare di lasciare il territorio nazionale quando non è possibile dare corso all’allontanamento coattivo, immediato o previo trattenimento;

b) se l’art. 15, par. 1, 4, 5 e 6, della Direttiva 2008/115/CE, deve essere quindi interpretato nel senso che è precluso allo Stato membro fare conseguire alla ingiustificata mancanza di collaborazione dello straniero al rimpatrio volontario, e per questa sola ragione, la sua incriminazione a titolo di delitto e una sanzione detentiva (reclusione) quantitativamente superiore (fino a dieci volte) rispetto al già esaurito o oggettivamente impossibile trattenimento a fini di allontanamento;

c) se l’art. 2, par. 2, lett. b), della Direttiva 2008/115/CE, può essere interpretato, anche alla luce dell’art. 8 della Direttiva medesima e degli ambiti della politica comune individuati in particolare dall’art. 79 TFUE, nel senso che basta che lo Stato membro decida di configurare come reato la mancata cooperazione dello straniero al suo rimpatrio volontario, perchè la Direttiva non trovi applicazione;

d) se l’art. 2, par. 2, lett. b), e 15, par. 4, 5 e 6, della Direttiva 2008/115/CE, devono essere all’inverso interpretati, anche alla luce dell’art. 5 della Convenzione EDU, nel senso che essi sono d’ostacolo alla sottoposizione dello straniero irregolare, per il quale non è oggettivamente possibile o non è più possibile il trattenimento, ad una spirale di intimazioni al rimpatrio volontario e di restrizioni della libertà che dipendono da titoli di condanna per delitti di disobbedienza a tali intimazioni;

e) se, conclusivamente, anche alla luce del decimo "considerando", del previgente art. 23 C.A.A.S., delle raccomandazioni e degli orientamenti richiamati in premessa dalla Direttiva 2008/115, dell’art. 5 della Convenzione EDU, è possibile affermare che l’art. 7, par. 1 e 4, l’art. 8, par. 1,3 e 4, l’art. 15, par. 1, 4, 5 e 6, conferiscono valore di regola ai principi che la restrizione della libertà ai fini del rimpatrio va considerata alla stregua di extrema ratio e che nessuna misura detentiva è giustificata se collegata a una procedura espulsiva in relazione alla quale non esiste alcuna prospettiva ragionevole di rimpatrio.

Richiesta di procedura d’urgenza.

10. – E’ necessario inoltre domandare, ai sensi dell’art. 104 bis del Regolamento di procedura della Corte di giustizia, l’applicazione del procedimento d’urgenza. Come risulta dalla esposizione in fatto, N.D. è sottoposto, per il reato oggetto di questo giudizio, alla misura coercitiva dell’obbligo di presentazione giornaliera alla Polizia.

E’ inoltre da evidenziare che, se pure fosse medio tempore revocato l’obbligo di presentazione, N.D. dovrebbe essere nuovamente attinto, se già non lo è stato, da nuovo provvedimento di espulsione, verosimilmente (non risultano accordi di riammissione con il Gabon) con trattenimento o intimazione e rischio di nuova incriminazione e restrizione, sulla base della disciplina in relazione alla quale sono state sollevate le questioni d’interpretazione pregiudiziale.

Va per altro considerato che le questioni interpretative sottoposte alla Corte di giustizia riguardano, attesa la cronica insufficienza dei centri di identificazione e di espulsione sul territorio nazionale e la carenza di accordi di riammissione adeguati, un numero elevatissimo di stranieri raggiunti da ordini di allontanamento volontario e inadempienti. Tale situazione oggettiva finisce per aggravare ulteriormente le mancanze di certezze e garanzie per la posizione specifica dell’imputato.

P.Q.M.
La Corte di cassazione, sciogliendo la riserva di cui all’udienza del 18 febbraio 2011; visto il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 quater; visti l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea; L. 13 marzo 1958, n. 204. art. 3; art. 479 c.p.p..

Chiede alla Corte di giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla questioni di interpretazione dell’art. 2, par. 2, lett. b); art. 7, par. 1 e 4; art. 8, par. 1 e 4; art. 15, par. 1, 4, 5 e 6, della Direttiva 2008/115/CE (Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare), specificate in motivazione.

Chiede l’applicazione del procedimento d’urgenza ai sensi dell’art. 104 bis del Regolamento di procedura della Corte di giustizia, per le ragioni indicate in motivazione.

Sospende il presente giudizio sino alla definizione delle suddette questioni pregiudiziali.

Dispone l’immediata trasmissione di copia della presente ordinanza, unitamente agli atti del giudizio, alla cancelleria della Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Redazione