Corte di Cassazione Penale sez. I 16/7/2009 n. 29375; Pres. Silvestri G.

Redazione 16/07/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 26.9.2008 la Corte di appello di Trento ha confermato in punto di responsabilità la sentenza 26.4.2007 del Tribunale in sede che aveva dichiarato B.G. colpevole della contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., comma 1, per avere disturbato l’occupazione ed il riposo delle persone che si trovavano nelle adiacenze, suscitando o non impedendo l’abbaiare dei cani di sua proprietà, in (omissis), località (omissis), nel corso del (omissis) e successivamente, ma, in parziale accoglimento dell’appello della imputata, ha ridotto la pena ad Euro 200,00 di ammenda, confermando invece le statuizioni civili a favore del denunciante G.R. che si era costituito parte civile.

La Corte territoriale ha ritenuto che la B., non impedendo l’abbaiare dei cani ospitati nel canile da lei gestito e debitamente autorizzato, avesse disturbato un numero indeterminato di persone, come dichiarato a dibattimento dal denunciante, dai testi di accusa D.G. e O., reputati attendibili, nonchè dagli ufficiali di polizia giudiziaria A. e Z., considerato anche che pure i testi D.P. e P. avevano confermato che al loro avvicinarsi i cani incominciavano ad abbaiare, posto che l’abbaiare dei cani, prolungato specie nelle ore notturne, era tale da oltrepassare la soglia della normale tollerabilità poichè investiva indistintamente tutti soggetti che si trovavano a risiedere a varie distanze (da 25 a 100 metri) dal canile della B. ovvero si trovavano a transitare o sostare anche ad una distanza di cento metri dallo stesso.

La Corte territoriale ha ritenuto altresì corretta la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 659 c.p., comma 1, poichè l’esercizio di un canile, pur autorizzato, non poteva essere considerato un mestiere rumoroso, anche perchè nella specie esercitato per cinofilia, senza motivi di lucro e senza caratteristiche imprenditoriali e comunque le autorizzazioni non escludevano la sussistenza del reato contestato nel caso in cui le emissioni sonore superassero l’ambito della normale tollerabilità.

Ha proposto ricorso per Cassazione la difesa della B. lamentando inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 659 c.p. e artt. 192, 533 e 546 c.p.p., nonchè mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova sotto vari profili: poichè il canile, regolarmente autorizzato e conforme alla normativa in materia di inquinamento acustico, sorgeva su una zona agricola di interesse primario e nelle sue vicinanze vi erano soltanto tre case abitate, doveva escludersi per più versi che l’abbaiare dei cani avesse oltrepassato la soglia di normale tollerabilità e fosse potenzialmente idoneo a disturbare la quiete ed il riposo di un numero indeterminato di persone; soltanto due persone fra i residenti della zona (il G. e la D. G.) avevano lamentato l’abbaiare dei cani, il che avrebbe potuto integrare, eventualmente, un illecito civile ma non anche la contravvenzione contestata che presupponeva l’attitudine dei rumori a propagarsi e ad interferire con la tranquillità di un numero indeterminato di persone; erroneamente era stato escluso che l’esercizio di un canile integrasse una professione o un mestiere rumoroso rientrante eventualmente nell’art. 659 c.p., comma 2 ed erano state trascurate le autorizzazioni prodotte dalla difesa dell’imputata; anche la valutazione della prova era stata erronea poichè gli ufficiali di polizia giudiziaria e gli altri testi, esclusi soltanto la persona offesa G. e la D.G., avevano negato che l’abbaiare dei cani disturbasse; non era stato spiegato come l’occasionale abbaiare dei cani fosse stato tale da superare la soglia di normale tollerabilità.

Il Procuratore ******** presso questa Corte ha concluso per il rigetto del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Al di là delle questioni di fatto riservate al giudice del merito, quali quelle attinenti alla valutazione dei risultati della prova testimoniale in merito al superamento della soglia di umana tollerabilità dell’abbaiare, specie notturno, di numerosi cani concentrati in un canile e lasciati di notte da soli in un recinto, che integra un giudizio di fatto, nella specie logicamente espresso e quindi non contestabile come tale in sede di legittimità, le questioni di diritto poste in questa sede sono essenzialmente due e cioè se l’esercizio di un canile possa integrare un mestiere rumoroso in relazione al quale l’eventuale superamento dei limiti di emissioni sonore costituisce un mero illecito amministrativo, ai sensi della L. n. 447 del 1995, art. 10, comma 2, che ha parzialmente depenalizzato il reato di cui all’art. 659 c.p., comma 2, e, in caso di risposta negativa al primo quesito, se sia possibile configurare il reato di cui all’art. 659 c.p., comma 1 qualora lo strepito degli animali di cui sia responsabile una certa persona che ne ha la proprietà o la custodia avvenga in una zona agricola, in presenza di un numero limitato di abitazioni.

Quanto alla prima questione, la giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata nel senso che rientrano nel generico disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone tutti i rumori, schiamazzi, abuso di strumenti sonori e strepiti di animali eccedenti la normale tollerabilità ed idonei ad impedire il riposo e le occupazioni delle persone, indipendentemente dalla fonte sonora dalla quale i rumori provengono e quindi anche se derivano dall’esercizio di una professione o di un mestiere rumoroso, qualora l’esercizio predetto ecceda le sue normali modalità e ne costituisca uso smodato e tale da rendere impossibile la vita e soprattutto il riposo delle persone (v. Cass. sez. 1, n. 46083 del 2007, rv. 238168; n. 30773 del 2006, rv. 234881; n. 7962 del 2006, rv. 236359; n. 1075 del 2006, rv.

235791; rv. N. 190583; rv. N. 197469; rv. N. 199730; rv. N. 207381;

rv. N. 215139). La lesione o la messa in pericolo della quiete pubblica, riferita alla media sensibilità delle persone nel cui ambito le emissioni si verificano, se accertate in concreto e pur se aventi riferimento causale all’esercizio di un mestiere astrattamente rumoroso, non escludono infatti la contestazione della contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., comma 1, qualora la Legge Quadro sull’inquinamento acustico costituisca soltanto l’occasione su cui poi si innesta l’esercizio concreto di una attività che, pur se autorizzata, come nel caso di specie, va poi ben oltre l’inquinamento acustico per divenire il mezzo per la lesione o la messa in pericolo della quiete pubblica che sono tutelate dal comma 1 della norma citata.

Comunque nel caso in esame la ricorrente non esercitava concretamente un mestiere rumoroso, bensì a meri fini di volontariato si occupava di un certo numero di cani in modo non professionale, tanto che i cani di notte e spesso anche di giorno restavano da soli nel recinto, per cui non si pongono i problemi della inosservanza delle prescrizioni ovvero del superamento della soglia di inquinamento prevista per i singoli mestieri, che riguardano l’art. 659 c.p., comma 2, ed in particolare la depenalizzazione di parte di esso per effetto della L. n. 447 del 1995 e che non vengono qui in considerazione.

La circostanza che la ricorrente abbia gestito il canile per cinofilia non discrimina in ogni caso la condotta, mentre correttamente ha giustificato la irrogazione di una sanzione modesta in sede di appello, poichè manca la finalità di lucro della attività, come affermato dalla stessa ricorrente, che, per vivere, svolge la attività di operaia. Neppure rileva la produzione da parte dell’imputata della dichiarazione di conformità delle opere realizzate alla normativa in materia di inquinamento acustico poichè ciò attiene alle opere murarie e non alle condizioni di rumorosità del canile all’interno del cui recinto i cani abbaiavano e venivano sentiti almeno fino a cento metri di distanza.

Correttamente è stata pertanto ritenuta dal primo giudice la sussistenza della contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., comma 1, in base alle emergenze processuali, riportate nella sentenza impugnata, quali la presenza di rumori intollerabili nei confronti non solo delle famiglie che abitavano nei pressi del canile (ve ne erano almeno tre) ma anche dei passanti e di tutte le altre persone che si trovavano nella zona, al chiuso o all’aperto, per motivi di lavoro o di altro tipo.

Quanto alla seconda questione, è pacifico che la contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., comma 1, ha natura di reato di percolo presunto, per cui ai fini della sua configurazione non è necessaria la prova dell’effettivo disturbo di più persone, mentre è sufficiente la idoneità del fatto a disturbare un numero indeterminato di persone (v. da ultimo Cass. n. 40393 del 2004, rv.

230643; Cass., n. 246 del 2008, rv. 238814). Sotto tale profilo la circostanza che si siano specificamente lamentate due famiglie che abitavano nei pressi del canile e che invece una terza persona abbia sostenuto che, avendo il sonno pesante, non era disturbata dal latrare dei cani, non esclude il reato, appunto perchè non è necessario l’effettivo disturbo di tutte le persone abitanti nei pressi. Infatti il criterio della normale tollerabilità va riferito alla media sensibilità delle persone che vivono nell’ambiente ove i rumori fastidiosi vengono percepiti (e nella specie i rumori erano percepibili in modo intenso almeno a cento metri di distanza dal canile), mentre è irrilevante la eventuale assuefazione di altre persone che abbiano giudicato non molesti i rumori.

Il fatto che poi si trattasse di zona rurale resta nella specie irrilevante, poichè anche le persone che abitano in campagna hanno il diritto al rispetto del riposo e ehi vuole tenere dei cani nei pressi di altre abitazioni, sia in città che in campagna, deve usare gli accorgimenti necessari per evitare il disturbo dei vicini, come ha esattamente rilevato la sentenza impugnata.

Il ricorso deve essere in definitiva rigettato perchè infondato sotto i profili addotti, con la consequenziale pronuncia sulle spese processuali (art. 616 c.p.p.).

La pronuncia definitiva di questa Corte, a pochi mesi di distanza dalla presentazione del ricorso, assorbe la richiesta di sospensione della esecuzione della condanna in favore della parte civile, presentata dalla ricorrente a norma dell’art. 612 c.p.p. con l’ultimo motivo di ricorso.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione