Il giudice deve verificare la situazione di pericolo anche nelle ipotesi di pericolo astratto

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(Ricorsi rigettati)

Il fatto

Con sentenza del 11 gennaio 2018 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Sondrio con cui R. F. R. e B. J. sono stati riconosciuti colpevoli dei reati di cui agli artt. 449 e 426 cod. pen. perché l’uno praticando lo sci e l’altro lo snowboard, cagionavano la caduta di valanghe, per imprudenza, negligenza ed imperizia, nonché con violazione delle norme cautelari di cui all’art. 58 del Regolamento della Regione Lombardia del 6 dicembre 2010, scendendo fuori pista.

La vicenda era stata ricostruita dalle sentenze di merito nel modo che segue: in data 1^ aprile 2011 i due sciatori, R. F. R. e B. J., dopo essere saliti con la seggiovia, in località Valle di Rez, nel comune di Livigno, diretti alla pista nera …, intorno alle 16.30, uscivano dalla pista battuta, superando la palinatura posta ai bordi della medesima e, benché ciò fosse vietato ai sensi dell’art. 58 del regolamento della regione Lombardia del 6 dicembre 2010, il pericolo di valanghe fosse stato segnalato lungo la pista da cartelli multilingue e fosse stato annunciato dal bollettino meteorologico il pericolo 3 su 5 del distacco di valanghe, J. attraversava il pendio muovendo da un punto più basso da quello ove si trovava R. e, dopo alcune curve, innescava la prima valanga di medie dimensioni, riuscendo ad evitarla, ma nel farlo ne innescava una seconda, anch’essa di medie dimensioni, evitando anche questa. R. che aveva imboccato il pendio da un punto più alto, avvertito del pericolo da J., appena iniziata la discesa fuoripista, riusciva a tornare indietro.

Una terza valanga si staccava in quel momento.

L’evento era osservato da R. C. che allertava i soccorsi.

Il giorno successivo al fatto la Guardia di Finanza di Bormio effettuava un sopralluogo e dava atto di avere rilevato le tracce di due snowboard.

Sulla base di siffatto accertamento, condiviso da entrambi i giudici di merito, la Corte d’appello, nel rigettare il gravame: a) aveva ritenuto l’ininfluenza del riscontro della G.d.F. nella parte in cui dava atto di avere rilevato le tracce di due snowboard, anziché di un paio di sci, indossati da R. ed uno snowboard utilizzato da J. posto che era altrimenti provato che i due avessero impegnato il pendio fuoripista e che il distacco delle valanghe fosse stato materialmente causato da J.; b) aveva ritenuto il contributo causale di R. che, impegnato il pendio da un punto più alto, seppure per un breve tratto, con il suo peso influiva sul distacco del manto nevoso, come verificato dai Carabinieri giunti sul posto nell’immediatezza; c) aveva respinto la censura inerente all’assenza di pericolo per l’incolumità pubblica osservando che, nell’ipotesi in cui si verifica l’evento valanga, il pericolo è presunto per legge e non deve essere specificamente provato.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la sentenza della Corte di appello proponevano ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del loro difensore, affidandolo a due motivi così formulati: a) vizio di motivazione in quanto i giudici del merito avrebbero fondato la loro decisione sulla relazione stilata dalla G.d.F. (fogli da 55 a 59) che indica le tracce di due snowboarder come quelle che, per effetto della poca portanza della neve, risultavano le più profonde e le più recenti mentre gli imputati utilizzavano uno gli sci e l’altro lo snowboard sicché le tracce seguite dalla G.d.F., che individuavano il percorso seguito dai due sciatori su snowboard, non potevano corrispondere alle tracce lasciate dai due imputati con la conseguenza che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, non solo della rilevanza della differenza fra le tracce rilevate ed il percorso seguito da R. e J., ma dell’insufficienza degli elementi per addivenire alla loro condanna; b) violazione della legge penale in relazione al disposto dell’art. 449 cod. pen. censurandosi la sentenza impugnata per avere ritenuto che il pericolo di cui alla disposizione, nel caso del prodursi di una valanga, sia presunto per legge e non necessiti, pertanto, di alcuna prova mentre al contrario, dal momento che, secondo la giurisprudenza maggioritaria, per la configurabilità del disastro innominato colposo è necessaria la concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità secondo un giudizio di probabilità ex ante in concreto relativo all’attitudine a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, nel caso di specie siffatta prova era del tutto mancata non avendo la valanga interessato una zona antropizzata ed essendo la medesima sfociata in un canale.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva rigettato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Gli ermellini osservavano prima di tutto come la motivazione della sentenza impugnata – con la quale veniva condiviso l’accertamento contenuto nella sentenza di primo grado – affrontando la censura proposta in appello, avesse chiarito in che senso la descrizione, contenuta nella relazione della G.d.F., a seguito del sopralluogo avvenuto il giorno successivo all’evento, si dovesse stimare irrilevante stante il fatto che l’evidenza della riconducibilità dello slittamento della massa di neve all’azione dei due sciatori era emersa anche da altre prove e, segnatamente, della dichiarazione del C. che aveva visto l’evento in diretta e che il J. era stato trovato dai soccorritori sul luogo e che entrambi gli imputati avevano descritto i loro movimenti in modo tale da poter essere considerati sovrapponibili alle tracce rilevate dalla G.d.F. mentre, a fronte di ciò, a parere della Corte, era priva di significato la circostanza che la relazione descriveva le tracce come entrambe formate da snowboard, anziché l’una impressa da un paio di sci e l’altra da una tavola, e ciò perché l’esame complessivo del quadro probatorio non veniva incrinato dalla rappresentazione di una traccia di snowboard al posto di una di sci.

Tal che se ne faceva conseguire come l’analisi compiuta dalla sentenza impugnata, benché succinta, fosse stata accurata e scevra da qualsivoglia incoerenza non rivelando alcun difetto motivazionale evidente che consentisse l’intervento della Cassazione risolvendosi i vizi denunciati nella pretesa di una diversa concreta valutazione del complessivo quadro probatorio con l’indicazione di parametri alternativi a quelli posti a fondamento della decisione.

Posto ciò, venendo a trattare il secondo motivo, anch’esso veniva reputato infondato.

Si faceva a tal proposito presente innanzitutto la necessità di dover richiamare i principi ricavabili dai più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità in ordine ai reati di comune pericolo con specifico riferimento al requisito del “pericolo per la pubblica incolumità” che, come rilevava la Corte in tale pronuncia, connota, sul piano della integrazione del fatto tipico, tali figure criminose.

Orbene, una volta preso atto che nell’ambito di siffatta categoria di reati è nota la tradizionale distinzione tra fatti caratterizzati da pericolo concreto o presunto, a seconda che per la consumazione del reato sia o meno necessario accertare il sorgere di una situazione di effettivo pericolo per la incolumità pubblica derivante da uno degli accadimenti, per lo più disastrosi, descritti dal codice quali delitti di comune pericolo (incendio, frana, valanga, disastro aviatorio, ferroviario, naufragio ecc.), i giudici di piazza Cavour denotavano come, per meglio comprendere l’inquadramento delle fattispecie in esame, giovasse richiamare la ricostruzione storica dell’evoluzione esegetica, contenuta in una recente pronuncia della sezione quarta (Sez. 4, n. 12631 del 20/12/2017 – dep. 19/03/2018, omissis) a cui si rinviava, nonché ricordare che ‘tali figure di disastro venivano configurate come reati di pericolo presunto, per essere – si diceva – superflua la valutazione ex post della pericolosità della condotta (cfr. ad es. Sez. 4, n. 10388 del 09/04/1991, omissis, Rv. 18837301) stante il fatto che il legislatore si riferisse, in ordine a tali fattispecie di reato, a situazioni tipicamente caratterizzate nella comune esperienza per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla vita o all’incolumità personale trattandosi di eventi normalmente dotati di forza dirompente in grado di coinvolgere numerose persone e in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile e dunque, in tal senso, il pericolo per la pubblica incolumità è caratterizzato dalla tipica e qualificata possibilità che delle persone si trovino coinvolte nella sfera d’azione dell’evento disastroso descritto nella fattispecie in quanto esposte alla sua forza distruttiva e pertanto, da ciò se n’è fatta discendere l’idea di indeterminatezza del danno che caratterizza i reati di comune pericolo (Sez. 4, n. 15444 del 18/01/2012, omissis, Rv. 25350101).

Si sottolineava però al contempo come fosse stato osservato che la categoria del pericolo presunto si pone in irrimediabile contrasto con il principio di offensività e, correlativamente, con il principio di colpevolezza e perciò, anche sulla scorta di una serie di prese di posizione assunte dalla Corte costituzionale (tra le molte, Corte cost. n. 286/1974, n. 333/1991, n. 133/1992, n. 360/1995, n. 296/1996, n.247/1997, n. 263 e n. 519/2000, n. 265/2005; n. 225/2008), la ricostruzione delle fattispecie incentrate sul pericolo si è mossa all’indirizzo del rinvenimento, nel tessuto normativo della fattispecie tipica, di elementi che consentano di dare concreta attitudine offensiva alla condotta.

Operando in tal guisa, rilevava la Corte nella sentenza in commento, si tendeva, così, a sostituire il pericolo presunto con il pericolo astratto, nel senso che il pericolo non può essere insindacabilmente ritenuto solo che si realizzi il fatto conforme al tipo, ma è conforme al tipo solo il fatto che esprima davvero una potenzialità offensiva dei beni tutelati e di conseguenza, quando questa potenzialità offensiva non sia rinvenibile nella fattispecie definita dal legislatore, si apre la strada della censura costituzionale.

Invece, allorché la fattispecie astratta non proponga profili di incompatibilità con il canone di offensività, dovrà essere il giudice ordinario a garantire che il fatto concreto esprima almeno una minima offensività (…) sicché il pericolo va accertato, alla luce degli elementi concretamente determinatisi, dell’espansività e della potenza del danno materiale appurando cioè se fosse o non fosse in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero potenzialmente indeterminato di persone e siffatto giudizio va condotto secondo una prospettiva ex ante ovvero verificando se, alla luce dei fattori conosciuti e conoscibili da parte dell’agente al momento del compiersi della condotta (se trattasi di reato di mera condotta) o a quello del verificarsi dell’evento (nel caso di reati di evento, come quello in esame), quest’ultimo si presentava, ove realizzato, come in grado di esporre a pericolo la pubblica incolumità (Sez. 4, n. 36639 del 19/06/2012, omissis, Rv. 25416301).

Tal che se ne faceva discendere come, anche nelle ipotesi di pericolo astratto occorre che il giudice ordinario verifichi che la situazione di pericolo, che comunque rappresenta il presupposto al quale si ricollega la fattispecie in esame, presenti una pur apprezzabile concretezza, in qualche modo idonea a generare una condizione di pericolo per la pubblica incolumità nel senso di potenziale idoneità a determinare una situazione di pericolo per la vita, l’integrità fisica, la salute delle persone (Sez. 4, n. 5397 del 20/05/2014 – dep. 2015, omissis, Rv. 26202401).

Ebbene, una volta concluso questo excursus giurisprudenziale, i giudici di legittimità ordinaria notavano come, nel caso di specie, sebbene la sentenza errando avesse fatto riferimento alla categoria del pericolo presunto senza affrontare in concreto l’attitudine dell’evento a produrre un effettivo pericolo per la incolumità pubblica, nondimeno, nel descrivere l’evento valanga, dando atto della sua cospicua portata, essa poteva essere inquadrata come “accadimento macroscopico, dirompente e quindi caratterizzato, nella comune esperienza, per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla vita o all’incolumità di numerose persone, in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile” cioè come evento non solo astrattamente idoneo a produrre pericolo per l’incolumità di un numero indeterminato di persone, ma effettivamente suscettibile, alla luce del criterio di contestualizzazione dell’evento, con giudizio ex ante, di esporre a pericolo un numero non individuabile di persone mentre a nulla rilevava, a questo proposito, la circostanza richiamata con il ricorso secondo cui il versante dove si produsse la valanga non era stato antropizzato, il che avrebbe comunque impedito anche la sola eventualità di recare danno ad altri, e ciò perché una siffatta possibilità non era esclusa dall’assenza di costruzioni, strade o altre piste posto che altri sciatori o praticanti altri sport o semplici passeggiate sulle neve, che avessero, come gli imputati, impegnato il pendio fuori pista, avrebbero potuto subire gravi danni trovandosi al di sotto del livello di distacco della neve.

Di conseguenza, potendosi rinvenire nel tessuto motivazionale tutti gli elementi tipici della norma incriminatrice avuto riguardo alla corretta soluzione conclusivamente adottata, la Corte, una volta ritenuta come potesse stimarsi infondata l’impugnazione della sentenza, rigettava il ricorso proposto e condannava i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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Conclusioni

La sentenza in commento è sicuramente condivisibile in quanto in essa si offre una lettura costituzionalmente orientata dei reati di pericolo astratto.

Difatti, nel sostenere che anche nelle ipotesi di pericolo astratto occorre che il giudice ordinario verifichi che la situazione di pericolo presenti una pur apprezzabile concretezza in qualche modo idonea a generare una condizione di pericolo per la pubblica incolumità nel senso di potenziale idoneità a determinare una situazione di pericolo per la vita, l’integrità fisica, la salute delle persone, si offre una chiave di lettura ermeneutica rispettosa del principio di offensività e, correlativamente, del principio di colpevolezza nel senso che il pericolo non può essere ritenuto sussistente solo perchè si realizza un fatto conforme al tipo essendo per contro necessario che il fatto, oltre ad essere conforme al tipo, esprima una potenzialità offensiva dei beni tutelati, e ciò proprio al fine di far sì che tali principi fondamentali non vengano violati.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, dunque, si ribadisce, non può che essere positivo.

 

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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