La rinuncia della prescrizione deve essere espressa e non può quindi essere dedotta da alcun comportamento concludente

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La rinuncia della prescrizione deve essere espressa e non può quindi essere dedotta da alcun comportamento concludente.

(Annullamento senza rinvio)

(Normativa di riferimento: C.p. art. 157, c. 7)

Il fatto e i motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Il difensore di P. C. proponeva il ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello de L’Aquila del 24 aprile 2017 che ha confermato la sentenza del Tribunale di Pescara del 6 luglio 2015 di condanna del ricorrente per il reato ex art. 44 d.P.R. 380/2001.

Con il primo motivo si deduceva il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 99 cod. proc. pen. e 157 cod. pen. affermando l’inesistenza della dichiarazione della rinuncia alla prescrizione.

Contrariamente a quanto rappresentato dalla Corte di appello de L’Aquila, la rinuncia alla prescrizione sarebbe stata dichiarata dal difensore mentre nel verbale di udienza e nelle trascrizioni non vi era alcuna esplicita dichiarazione dell’imputato di rinuncia alla prescrizione.

Si richiamavano a tal proposito i principi espressi dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18953 del 25 febbraio 2016 rilevando che è inefficace la rinuncia alla prescrizione compiuta dal difensore, anche se alla presenza dell’imputato, trattandosi di atto relativo all’esercizio di un diritto personalissimo dell’imputato facendosi altresì presente che la rinuncia richiede la forma espressa.
Con il secondo motivo la difesa deduceva, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., il vizio della motivazione relativamente all’insussistenza del fatto per la mancata prova della commissione del fatto contestato.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto ritenendo il primo motivo fondato.
Infatti, una volta rilevato che la Corte di appello de L’Aquila aveva affermato che la dichiarazione del ricorrente di rinuncia alla prescrizione risulta dal verbale di udienza mentre la Corte di appello de L’Aquila aveva però fatto riferimento esclusivo a quanto riportato nel verbale riassuntivo, gli ermellini rilevavano come il verbale fosse stato redatto in forma integrale, in base all’art. 134 cod. proc. pen., con la riproduzione fonografica, come risulta chiaramente dalla trascrizione in atti dell’udienza del 15 giugno 2016 e, dall’analisi della trascrizione di quanto accaduto in udienza, risultava che la frase «l’ingegnere … vuole rinunciare la prescrizione sul capo b) e non sul capo a)» fosse stata proferita dal difensore, non dall’imputato, per quanto in sua presenza mentre, dopo tale frase, il giudice, che, rileva la Corte, non ha però poteri certificativi, dichiarava «l’imputato C. è presente, dichiara di rinunciare alla prescrizione solo con riferimento alla contravvenzione sub b)».

Tal che la Corte evidenziava come non risultasse trascritta alcuna esplicita dichiarazione da parte dell’imputato di rinuncia alla prescrizione, come invece riportato nel verbale riassuntivo: per altro, quella espressa dal giudice nel corso dell’udienza, era la ripetizione della volontà espressa dal difensore il quale però non era munito di apposita procura speciale.

Orbene, preso atto di come la Corte di appello de L’Aquila non avesse valutato che il verbale era stato redatto in forma integrale, in base all’art. 134 cod. proc. pen., con la riproduzione fonografica, si denotava come nel caso di specie facendo appunto fede in primo luogo la riproduzione fonografica si evinceva come da essa non risultasse essere stata registrata la voce del ricorrente.

A sostegno di siffatto assunto si ribadiva l’indirizzo espresso da Cass Sez. 6, n. 3784 del 05/10/1994, dep. 1995, omissis, Rv. 201855 secondo il quale l’impiego del mezzo tecnico della registrazione fonografica, cui deve farsi ricorso tutte le volte in cui non si provvede in forma integrale con il mezzo stenotipico, si accompagna alla redazione del verbale in forma riassuntiva fermo restando che, circa il contenuto di detto verbale, l’art. 139 comma 2 cod. proc. pen. stabilisce che in esso è indicato il momento di inizio e di cessazione delle operazioni di riproduzione. Il rapporto tra contenuto del verbale e risultato della registrazione, è disciplinato dal 3 comma dell’art. 139 nel senso che se il prodotto della registrazione si è formato in modo compiuto ed intellegibile è ad esso che occorre dare la prevalenza rispetto al verbale riassuntivo, suscettibile di errori ed omissioni estranei alla documentazione fonografica mentre, se, invece, la registrazione fonografica in tutto o in parte non ha avuto effetto o risulti non comprensibile sarà inevitabile attribuire al verbale convenzionale piena efficacia probatoria, sicché in concreto il contenuto del verbale in forma riassuntiva, cui occorrerà attenersi, dipenderà dalla maggiore o minore affidabilità delle operazioni di registrazione.

Da ciò veniva tratta la conclusione secondo la quale, se del verbale in forma riassuntiva è parte integrante la riproduzione fonografica inserita nei modi di cui all’art. 139 comma 3 cod. proc. pen., il giudice, che del contenuto di essa si avvale secondo il criterio di prevalenza indicato dalla medesima norma, non incorre in alcuna irregolarità, né utilizza atti inesistenti.

Oltre a ciò, si evidenziava come anche di recente la Corte di Cassazione, Sez. 4, n. 1517 del 03/12/2013, dep. 2014, omissis, Rv. 258514 avesse affermato che, in caso di discordanza tra il verbale redatto in forma riassuntiva e quello stenotipico, non soccorre un criterio assoluto di prevalenza dell’uno o dell’altro, ma occorre rifarsi ad un principio flessibile che tenga conto delle diverse situazioni del caso concreto e la valutazione effettuata dal giudice di merito in ordine alla maggiore affidabilità di uno dei due documenti, ove adeguatamente argomentata, non è sindacabile in sede di legittimità.

Una volta evidenziati questi principi di diritto, gli ermellini denotavano come nel caso in esame mancasse ogni valutazione sul contenuto della registrazione, nonostante lo specifico motivo di appello sul punto e quindi, il motivo proposto dalla difesa fosse fondato perché dalla registrazione non risultava una esplicita rinuncia alla prescrizione da parte dell’imputato.

A tal riguardo si faceva presente come la difesa avesse correttamente richiamato i principi espressi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza del 25/02/2016, omissis, Rv. 266333 nella cui motivazione, si era affermato che la rinuncia della prescrizione deve essere espressa, non può quindi essere dedotta da alcun comportamento concludente: l’avverbio «espressamente», secondo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, così come evidenziato dalla Corte nella pronuncia in commento, significa che la rinuncia deve essere effettuata «in modo esplicito e formale» e «non può essere dedotta, in via congetturale, da fatti incompatibili con la volontà di avvalersi della prescrizione».

Tal che se ne faceva discendere come la rinuncia alla prescrizione rientrasse nell’alveo dei diritti personalissimi, che possono essere esercitati dall’interessato personalmente o, al più, con il ministero di un procuratore speciale, restando dunque estranea alla sfera delle facoltà e dei diritti esercitabili dal difensore, ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. pen., in nome e per conto del suo assistito.

Si evidenziava oltre tutto come le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avessero anche richiamato l’orientamento per il quale la rinuncia alla prescrizione non è esercitabile dal difensore neppure nell’ipotesi in cui sia formulata alla presenza dell’imputato, che rimanga silente (Cass. Sez. 2, n. 23412 del 09/06/2005, omissis, Rv. 231879) e, pertanto, essendo la rinuncia in questione manifestata dal difensore del tutto privo di tali poteri; si riteneva come la Corte di appello de L’Aquila avesse erroneamente applicato gli artt. 99 cod. proc. pen. e 157 cod. pen. mentre, in accoglimento dell’appello sul punto, si sarebbe dovuto prendere atto del decorso del termine di prescrizione al 11 settembre 2013.
I giudici di Piazza Cavour, dunque, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, postulavano come la sentenza della Corte di appello de L’aquila dovesse essere annullata senza rinvio, per essere il reato estinto per prescrizione, non sussistendo elementi evidenti per pronunciare la sentenza ai sensi del comma 2 dell’art. 129 cod. proc. pen. rilevando al contempo come l’accoglimento del primo motivo assorbisse l’analisi del secondo.

Conclusioni

La sentenza in questione si appalesa pienamente condivisibile.

Al di là dell’arresto giurisprudenziale citato in questa pronuncia, anche il tenore letterale dell’art. 157, c. 7, c.p. prevedendo, senza deroga alcuna, che la “prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato”, depone a favore dell’approdo ermeneutico a cui si è giunti in tale decisione.

Difatti, l’uso dell’avverbio “espressamente” evidenzia chiaramente come alla rinuncia alla prescrizione deve avvenire attraverso una manifestazione appunto esplicita dell’imputato e non quindi per facta concludentia e dunque non è configurabile una rinuncia tacita o implicita che dir si voglia.

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