La rinuncia alla prescrizione non è inefficace ma produce i suoi effetti nel momento in cui matura questa causa estintiva

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La rinuncia alla prescrizione, operata quando non è ancora maturata la causa estintiva del reato, non è inefficace ma produce i suoi effetti nel momento in cui matura questa causa estintiva

Sull’argomento vedasi: Antonio Di Tullio D’Elisiis, La rinuncia della prescrizione deve essere espressa e non può quindi essere dedotta da alcun comportamento concludente,

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 157)

Indice:

Il fatto

La Corte di Appello di Roma confermava una sentenza con la quale il Tribunale di Rieti aveva condannato l’imputato, con i doppi benefici di legge, alla pena di due mesi di reclusione in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 544 bis cod. pen., a lui contestato perché, per crudeltà o, comunque, senza necessità, ovvero al solo fine di ricavarne carne da vendita e rimpinguare con i proventi le casse comunali, senza attivare la prevista procedura amministrativa, faceva abbattere un bovino privo di marca auricolare, facendogli esplodere un colpo di carabina alla testa.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato il difensore dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi: I) erronea applicazione dell’art. 157 cod. pen.; II) erronea applicazione dell’art. 544 bis cod. pen. contestandosi la valutazione con cui i giudici di merito avevano impropriamente escluso la sussistenza dello stato di necessità previsto dall’art. 54 cod. pen. e, per quanto concerne il reato de quo, dall’art. 544 bis cod. pen.; III) mancanza di motivazione della sentenza impugnata in ordine al terzo motivo dell’atto di appello con il quale era stata eccepita la mancanza dell’elemento soggettivo del reato.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso proposto era ritenuto infondato per le seguenti ragioni.

Per quanto concerne il secondo e il terzo motivo del ricorso, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, i giudici di merito erano pervenuti alla coerente conclusione circa la configurabilità del delitto di cui all’art. 544 bis cod. pen. (uccisione di animali) contestato all’imputato, il quale con la sua iniziativa aveva provocato l’abbattimento della mucca materialmente, in assenza di alcuna effettiva necessità, non essendo affatto provato che, al momento dell’uccisione, il bovino fosse pericoloso per la collettività e, pertanto, in modo del tutto ragionevole, le due sentenze di merito avevano escluso, sia che l’uccisione dell’animale fosse stata giustificata da ragioni di effettiva necessità, sia che il fatto contestato fosse scaturito da un’erronea percezione della realtà da parte dell’imputato, trattandosi peraltro di due aspetti tra loro correlati sul piano logico, per cui la risposta alle censure da parte della Corte di Appello, per quella di legittimità, non poteva che essere desunta dal complessivo tenore della motivazione della sentenza impugnata, destinata peraltro a integrarsi con quella di primo grado.

Ciò posto, quanto all’elemento psicologico, gli Ermellini denotavano come correttamente evidenziato già dal Tribunale, l’imputato, lungi dall’essere fuorviato da alcuno, aveva posto in essere la condotta criminosa “scientemente e volontariamente, prescindendo deliberatamente dalle procedure imposte dalla legge”, profilo quest’ultimo valorizzato anche dalla Corte territoriale al fine di rimarcare la volontarietà dell’iniziativa dell’imputato il quale aveva determinato sul piano morale e istigato l’uccisione dell’animale, pur in assenza di una situazione di pericolo imminente, che non era stata evocata da alcuno in termini attuali, né in senso contrario, sempre secondo il Supremo Consesso, rilevava il richiamo al programma elettorale del 2009 che contemplava la risoluzione del problema degli animali vaganti, richiamo che non solo non assumeva alcuna valenza esimente nell’ottica del presente giudizio, ma che per certi versi rafforzava il giudizio sulla sussistenza del dolo, nel senso che evocava la natura strumentale dell’uccisione dell’animale, evidentemente voluta non per esigenze specifiche e concrete, ma per valutazioni di altro genere.

In proposito, quanto al correlato aspetto relativo alla configurabilità dell’esimente invocata dalla difesa, per la Suprema Corte, appariva essere corretta la valutazione operata dai giudici di merito i quali avevano richiamato la condivisa affermazione della Cassazione (Sez. 3, n. 49672 del 26/04/2018) secondo cui, in tema di delitti contro il sentimento per gli animali, la nozione di “necessità“, che esclude la configurabilità del reato di uccisione di animali ex art. 544 bis cod. pen., comprende, non solo lo stato di necessità previsto dall’art. 54 cod. pen., ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile.

Orbene, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, nel caso di specie, come ben argomentato sia dal Tribunale che dalla Corte di appello, non era configurabile alcuna situazione di pericolo effettivo, circoscritto e imminente che giustificasse l’abbattimento a freddo dell’animale, non potendo certo ritenersi tale la generica esistenza di problemi legati alla circolazione di mucche vaganti nel territorio comunale, fermo restando che non era neanche comprovato che il bovino ucciso fosse effettivamente quello oggetto delle presunte segnalazioni verbali ricevute dal Sindaco nei giorni precedenti, segnalazioni che peraltro riguardavano anche un’altra mucca e un vitello fermo restando che, in ogni caso, veniva ribadito come la sola presenza di animali vaganti nel territorio comunale non potesse di certo ritenersi idonea a giustificarne l’uccisione laddove, come appunto nel caso di specie, non risultava essere stata adeguatamente provata l’esistenza di un pericolo serio, concreto e imminente per l’incolumità delle persone o della prosecuzione di un danno grave ai loro beni, tale da non consentire l’attivazione delle procedure amministrative che, attraverso il coinvolgimento degli organi tecnici a ciò preposti, avrebbero consentito, sia di verificare la reale entità del pericolo, che di individuare eventualmente soluzioni alternative all’abbattimento dell’animale.

In definitiva, in quanto fondato su un percorso argomentativo coerente con le acquisizioni probatorie e sorretto da considerazioni razionali, il giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto, per gli Ermellini, non prestava il fianco alle censure difensive formulate invero in termini ritenuti non adeguatamente specifici.

Terminata la disamina del secondo e del terzo motivo, per quanto invece concerne la prima doglianza, i giudici di legittimità ordinaria rilevavano come, a fronte della censura prospettata dalla difesa secondo cui la rinuncia alla prescrizione, compiuta dall’imputato nel giudizio di primo grado, avrebbe dovuto ritenersi inefficace in quanto avvenuta prima che fosse maturata la causa estintiva del reato, ciò in forza della costante affermazione della Cassazione (cfr. Sez. 4, n. 48272 del 26/09/2017, Sez. 6, n. 42028 del 04/11/2010) secondo cui la rinunzia dell’imputato alla prescrizione è inefficace se il termine di prescrizione non è ancora maturato al momento della rinunzia medesima in quanto solamente dopo che la prescrizione sia maturata, l’interessato può valutarne gli effetti, rispetto a tale impostazione interpretativa, avuto riguardo alla peculiarità del caso concreto, fosse però necessario fare delle precisazioni.

Chiarito ciò, si notava a tal proposito in primo luogo come, al fine di inquadrare il tema giuridico in esame, fosse necessario fare presente che, ai sensi dell’art. 157 comma 7 cod. pen., come riscritto dalla legge n. 251 del 2005, “la prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato”, evidenziando al contempo che, nella vigenza dell’originaria formulazione dell’art. 157 cod. pen., la Corte costituzionale, con la sentenza n. 275 del 1990, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevedeva che la prescrizione del reato potesse essere rinunciata dall’imputato e ciò in base al rilievo secondo cui l’interesse generale dell’ordinamento a non più perseguire il reato (sorto a causa di circostanze eterogenee e comunque non dominabili dalle parti) non può sempre prevalere su quello dell’imputato a ottenere una sentenza di merito, con la conseguenza di privarlo del diritto fondamentale al giudizio e, con esso, di quello alla prova.

Premesso ciò, si evidenziava in secondo luogo come non potesse sottacersi che l’attuale norma di riferimento, ovvero l’art. 157 comma 7 cod. pen., si limita a consentire all’imputato il diritto di rinunciare alla prescrizione, senza specificarne in quali forme e in che tempi tale opzione debba manifestarsi, desumendosi tuttavia dagli avverbi “sempre” ed “espressamente” che la rinuncia può essere esercitata in ogni fase processuale e va operata in modo esplicito e formale, e ciò anche alla luce delle conseguenze di tale iniziativa, avente valore di un atto dismissivo di un proprio diritto, cioè quello di far valere gli effetti dell’estinzione del reato per il decorso del termine prescrizionale; come efficacemente chiarito dalle Sezioni Unite, in definitiva, la rinuncia alla prescrizione implica l’opzione dell’indagato o dell’imputato per la prosecuzione del processo verso l’epilogo di una pronuncia nel merito della regiudicanda e comporta, pertanto, anche la rivitalizzazione della pretesa punitiva statuale, altrimenti affievolita dal decorso del termine di prescrizione (Sez. Un., sentenza n. 18953 del 25/02/2016).

Orbene, si sottolineava altresì che, proprio in ragione degli effetti riconducibili a tale opzione, la giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 21666 del 14/12/2012, dep. 2013, richiamata e condivisa dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 18953 del 2016) ha affermato che la rinuncia alla prescrizione rientra nell’alveo dei diritti “personalissimi” che possono essere esercitati dall’interessato personalmente o, al più, con il ministero di un procuratore speciale, restando dunque estranea alla sfera delle facoltà e dei diritti esercitabili dal difensore, ai sensi dell’art. 99, comma 1, cod. proc. pen., in nome e per conto del suo assistito e, in tal senso, è stato altresì precisato che la rinuncia alla prescrizione non è esercitabile dal difensore neppure nell’ipotesi in cui sia formulata alla presenza dell’imputato, che rimanga silente (così Sez. 2, n. 23412 del 09/06/2005), tenuto conto altresì del fatto che, già in un precedente intervento del 2010 (sentenza n. 43055 del 30/09/2010), le Sezioni Unite hanno affermato che la rinuncia alla prescrizione richiede una dichiarazione di volontà espressa e specifica che non ammette equipollenti non potendo la stessa, quindi, essere desunta implicitamente dalla mera proposizione del ricorso per Cassazione.

Ciò posto, era tuttavia osservato che se, nella vicenda in esame, fosse in discussione, non la ritualità della rinuncia alla prescrizione, operata in udienza dall’imputato e dunque sotto tale profilo sicuramente valida, quanto piuttosto la sua efficacia in quanto tale rinuncia era stata operata quando il reato ancora non era prescritto e che potesse convenirsi con l’orientamento prima richiamato circa il fatto che la rinuncia diventa efficace quando matura la prescrizione, la dichiarazione di rinuncia, operata a reato ancora non prescritto, non può essere qualificata come un mero flatus vocis privo di alcun rilievo perché, se così fosse, si sarebbe in presenza di una dichiarazione irricevibile da parte dell’Autorità giudiziaria il che deve essere escluso, e tanto anche alla luce della portata dell’art. 157 cod. pen., che non pone preclusioni temporali al riguardo mentre, piuttosto, alla rinuncia alla prescrizione, operata quando la causa estintiva non è ancora maturata, per la Corte di legittimità, pare corretto attribuire la natura di una dichiarazione che, ove non revocata, diventa pienamente efficace quando interviene la prescrizione.

Precisato ciò, si evidenziava a tal riguardo che, se sul punto non poteva essere ignorato il fatto che la Cassazione ha affermato il principio secondo cui la rinuncia alla prescrizione non è suscettibile di revoca (Sez. 6, n. 17598 del 18/12/2020), si notava però come tale affermazione fosse stata riferita alla sola ipotesi in cui la rinuncia è stata formulata a reato prescritto e dunque l’atto abdicativo è già efficace dato che, proprio sulla falsariga di tale impostazione, ad avviso della Suprema Corte, si deve pervenire alla conclusione che, quando la rinuncia è stata formulata a reato non ancora prescritto, la stessa è sì inefficace, ma non per questo invalida, verificandosi i suoi effetti nel momento in cui si realizza l’evento cui la rinuncia è collegata, cioè il maturare del termine di prescrizione: fino a questo momento, la rinuncia è sempre revocabile, proprio perché non ancora efficace, mentre tale revoca non è più possibile, quando si è verificata la causa estintiva, e ciò proprio in base al principio, elaborato dalla richiamata sentenza n. 17598/2021, secondo cui la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione del reato diviene irrevocabile allorquando sia portata a conoscenza dell’Autorità giudiziaria in quanto, una volta scelta la via del giudizio sul merito a fronte della potenziale estinzione del reato, la rinuncia esplica i suoi effetti “hic et nunc”, dando immediatamente luogo all’espletamento dell’attività processuale volta ad accertare la consistenza del tema di accusa; dunque, intervenuta la rinuncia alla prescrizione quale atto dismissivo attraverso cui l’interessato estromette un diritto già acquisito nella propria sfera giuridica, la rinuncia non è più revocabile e la non operatività della causa estintiva deve considerarsi definitiva perché superata da una contraria manifestazione di volontà il cui contenuto, solo in apparenza negativo, esprime in realtà l’esercizio del diritto dell’imputato a ottenere un bene maggiore, ossia un giudizio nel merito, con l’eventuale riconoscimento della sua piena innocenza attraverso il proscioglimento dall’addebito, anche se resta ovviamente salva la possibilità che il processo si chiuda con un epilogo sfavorevole al rinunciante, cioè con la sua condanna mentre, analogamente, quando la prescrizione non è ancora maturata, la rinuncia alla prescrizione rimane consentita ma i suoi effetti si verificano solo quando matura il termine prescrizionale: fino a questo momento, deve ritenersi che la rinuncia possa essere revocata, proprio perché non ancora operativa, tanto è vero che, prima del rilievo della prescrizione, il processo segue comunque il suo corso, come infatti era avvenuto nel giudizio di primo grado, che era andato avanti perché, a prescindere dalla rinuncia alla prescrizione, il reato non era ancora prescritto; invero, la prosecuzione del giudizio di appello verso un accertamento di merito era stata resa possibile dalla precedente rinuncia alla prescrizione che era divenuta efficace nel momento in cui era decorso il termine prescrizionale del reato dovendosi quindi ribadire che, una volta maturata la causa estintiva, la rinuncia alla prescrizione, ove non sia revocata dal diretto interessato, diventa efficace, perché la precedente dichiarazione non è affetta da alcun vizio, ma esprime una manifestazione di volontà che recupera la sua piena efficacia nel momento in cui si verifica la condizione cui la rinuncia era implicitamente subordinata.

All’opposto, per il Supremo Consesso, diversamente ragionando, si finirebbe con l’attribuire alla rinuncia alla prescrizione operata formalmente dall’imputato, sia pure a reato non prescritto, il valore di una mera dichiarazione foci causa destinata a restare priva di effetti nel corso dell’intero giudizio, pur se mai ritirata dal diretto interessato, il che renderebbe inspiegabile l’osservanza delle forme che invece correttamente sono pretese dal legislatore, per la gravità degli effetti che la rinuncia comporta.

In definitiva, per gli Ermellini, la rinuncia alla prescrizione, operata quando non è ancora maturata la causa estintiva del reato, non è né nulla né irricevibile, ma è semplicemente inefficace, producendo i suoi effetti nel momento in cui la prescrizione maturi, senza che prima di tale momento la dichiarazione di rinuncia sia stata revocata.

Non bisognava poi per la Corte dimenticare, del resto, che, nella sua scarna formulazione, l’art. 157 comma 7 cod. pen., nel riconoscere all’imputato il diritto di rinunciare alla prescrizione, utilizza due avverbi significativi, cioè “espressamente” e “sempre“, ciò a voler dire che la rinuncia può essere operata in ogni momento, dunque anche prima che maturi la prescrizione, dovendo tale rinuncia essere espressa, proprio perché, per effetto di tale dichiarazione di volontà, il divieto di procedere nell’azione penale è sostituito dal dovere di procedere, con la precisazione che, finché la causa di estinzione non matura, la rinuncia è valida ma non efficace e dunque revocabile, mentre, una volta decorso il termine prescrizionale, la rinuncia precedente, ove non revocata in tempo utile, dispiega i suoi effetti, al pari della rinuncia formalizzata dopo la prescrizione e prima della sua declaratoria mentre è invece tardiva e inefficace la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione del reato formulata dopo che sia stata pronunciata sentenza nel grado di giudizio in cui è maturata (così Sez. 5, n. 11928 del 17/01/2020).

Sul punto era infine fatto presente che la rinuncia tempestivamente formulata a reato prescritto, a differenza della prima, va ritenuta irrevocabile, in quanto con essa l’imputato ha di fatto “autorizzato” la prosecuzione dell’azione penale nei suoi confronti e non può sottrarsi alle conseguenze, e agli inevitabili rischi, anche di una condanna, derivanti dalla scelta processuale operata.

Ebbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto alla fattispecie in esame, la Cassazione evidenziava come correttamente fosse stata ritenuta operante la rinuncia alla prescrizione nel giudizio di primo grado posto che, se è vero che la rinuncia alla prescrizione era avvenuta a reato non ancora prescritto, è altrettanto innegabile che l’imputato non aveva mai revocato la sua rinuncia, né prima né dopo che era maturata la causa estintiva, tanto è vero che, né nell’atto di appello, né nella memoria difensiva depositata in vista dell’udienza del giudizio di secondo grado, né tantomeno al momento in cui sono state rassegnate le conclusioni, la difesa era tornata sulla questione della rinuncia, concludendo solo sul merito, in tal modo corroborando ulteriormente il convincimento che l’opzione processuale dell’imputato, formalizzata in primo grado e mai revocata, fosse rimasta ferma.

Correttamente, pertanto, per  la Corte suprema, la Corte territoriale aveva considerato valida la rinuncia alla prescrizione, validamente formulata dal diretto interessato e divenuta efficace, in assenza di revoca, al momento del decorso del relativo termine e, dunque, la conferma da parte della Corte di Appello del giudizio di colpevolezza operato dal Tribunale, anche dal punto di vista processuale, oltre che sotto il profilo sostanziale, non presentava vizi di legittimità rilevabili in questo grado di giudizio.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi affermato che, quando la rinuncia alla prescrizione è stata formulata a reato non ancora prescritto, la stessa è sì inefficace, ma non per questo invalida, verificandosi i suoi effetti nel momento in cui si realizza l’evento cui la rinuncia è collegata, cioè il maturare del termine di prescrizione fermo restando che, fino a questo momento, a differenza del caso in cui la prescrizione sia già maturata, la rinuncia è sempre revocabile, proprio perché non ancora efficace, mentre, come appena visto, tale revoca non è più possibile, quando si è verificata questa causa estintiva.

E’ dunque sconsigliabile a livello difensivo, perlomeno alla luce di questo approdo ermeneutico, eccepire l’inefficacia della rinuncia alla prescrizione solo perché essa è stata fatta quando questa causa estintiva non era ancora maturata.

Per contro, sempre alla luce di siffatto orientamento nomofilattico, ben si potrà procedere alla revoca di siffatta rinuncia, sino a quando non si è verificata cotale causa estintiva.

Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in questo provvedimento, proprio perché prova a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, non può che essere positivo.

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