Il giudice non può disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero perché proceda con le forme ordinarie una volta instaurato il giudizio direttissimo sulla base di un arresto in flagranza regolarmente convalidato qualora rilevi di ufficio un vizio nell’udienza di convalida essendo questo un provvedimento abnorme

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(Ricorso rigettato)

Il fatto

La Corte d’appello di Salerno confermava la sentenza con cui il Tribunale di Salerno aveva condannato l’imputato alle pene di legge per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 con la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Con il primo motivo di ricorso il difensore dell’imputato deduceva la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 458 c.p.p., comma 2. atteso che, regolarmente nominata difensore di fiducia al momento dell’arresto e confermata dall’imputato al momento dell’interrogatorio durante l’udienza di convalida, costei non aveva avuto notizia che tale udienza era stata celebrata con un difensore d’ufficio e dunque, ritenendosi che l’avviso previsto dall’art. 558 c.p.p., comma 1 è diverso da quello di cui all’art. 386 c.p.p., si osservava come, in mancanza del primo, il giudizio fosse affetto da nullità assoluta tenuto conto altresì del fatto che era stata eccepita tempestivamente la nullità sia al momento della celebrazione del giudizio con rito direttissimo, sia con l’atto d’appello, e ribadendosi conseguenzialmente che l’intero giudizio di primo grado doveva considerarsi viziato per violazione del diritto di difesa.
Con il secondo motivo si denunciava la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed lett. e), in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 precisandosi come fossero state rinvenute tre piante contenenti un principio attivo di poco superiore a quello drogante e che non fosse stata effettuata alcuna verifica sulla quantità estraibile nonostante il principio drogante fosse inferiore a quello indicato come privo di offensività in concreto mentre, dei tre campioni di fogliame, ben due presentavano un principio attivo addirittura inferiore a quello drogante e solo un campione superava la soglia drogante ma, in ogni caso, la somma di tutta la sostanza era inferiore al quantitativo massimo detenibile.

A fronte di ciò, secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva ritenuto integrate sia la coltivazione, perché le piante erano grosse, sia la detenzione a fini di cessione del fogliame, senza spiegare come potesse integrare il reato la detenzione di sostanza in gran parte priva di effetto drogante ed in minima parte con effetto drogante ma inferiore alla quantità massima detenibile non avendo  indicato quale pericolo di diffusione dello stupefacente potesse produrre la coltivazione di sostanza che non aveva neppure capacità drogante e di altra sostanza che aveva una capacità drogante minima tanto è vero che i Giudici di merito avevano ritenuto di potere riconoscere le circostanze attenuanti generiche e di poter ritenere il fatto di modesta entità considerata la natura domestica della coltivazione.

La difesa, inoltre, aveva chiesto, sotto forma della rinnovazione dell’istruttoria, l’acquisizione del verbale d’interrogatorio o il suo esame ma i Giudici d’appello avevano omesso ogni pronuncia.

Si ribadiva infine che, all’udienza di convalida dell’arresto, l’imputato aveva affermato di essere assuntore di sostanze da molti anni, di fare uso massiccio di marijuana da due anni nel tentativo di eliminare le droghe pesanti di cui in passato aveva fatto abuso, di non aver sempre la disponibilità economica per l’approvvigionamento, cosicché aveva optato per la coltivazione diretta aggiungendo che era solito utilizzare le foglie secche per qualche tisana che l’aiutava a curare la depressione e precisando che utilizzava il bilancino per tenere sotto controllo le quantità e che le due bustine rinvenute servivano per portarla in tasca durante le uscite esterne: si insisteva quindi sull’uso personale.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva stimato infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava a tal proposito che, in riferimento al primo motivo di ricorso, si riteneva come la soluzione adottata dal Giudice del Tribunale di Salerno sull’eccezione formulata dal difensore all’udienza celebrata con il rito direttissimo fosse corretta.

Nella specie, era accaduto che l’avv. E. R. era stata avvisata dai Carabinieri dell’arresto del suo assistito ma non aveva avuto notizia della data dell’udienza di convalida dell’arresto in flagranza sicché questa era stata celebrata il 20.9.2014 alla presenza di un difensore d’ufficio che non aveva sollevato alcuna eccezione.

All’udienza del 3.12.2014 fissata per la direttissima, l’avv. R. aveva sollevato l’eccezione chiedendo la restituzione degli atti al Pubblico ministero ed il Giudice aveva risposto che, una volta instaurato il giudizio direttissimo sulla base di un arresto in flagranza regolarmente convalidato, risultava essere abnorme il successivo provvedimento del giudice che, rilevato il vizio nell’udienza di convalida, avesse disposto la restituzione degli atti al Pubblico ministero perché procedesse con le forme ordinarie; in altri termini, anche a non affrontare il problema della natura del vizio ed a ritenere la nullità non a regime intermedio, il giudice comunque nulla avrebbe potuto disporre se non la fissazione di un’ulteriore udienza per la celebrazione del processo con il rito direttissimo onde lasciare integri al difensore di fiducia tutti i diritti e le facoltà inerenti alla difesa dell’imputato dal momento in cui aveva avuto notizia del giudizio a celebrarsi.

Pertanto, con questa consapevolezza, il Giudice aveva rigettato l’istanza dell’avvocato e aveva fissato una nuova udienza per la celebrazione del processo con il rito direttissimo.
Conclusa la disamina di quello che è avvenuto nel primo grado di giudizio, gli ermellini facevano presente come, non solo questa decisione fosse stata integralmente condivisa dalla Corte territoriale,
ma anche come tale pronuncia dovesse essere confermata perché in linea con il principio di diritto affermato da Cass., Sez. 6, n. 6245 del 19/01/2012, secondo cui, una volta instaurato il giudizio direttissimo sulla base di un arresto in flagranza regolarmente convalidato, è abnorme il successivo provvedimento del giudice che, rilevato di ufficio un vizio nell’udienza di convalida (nella specie, omesso avviso al difensore di fiducia), disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero perché proceda con le forme ordinarie.

Invero, con la sentenza emessa dalla Sez. 4, n. 5004 del 24/03/1998, la Suprema Corte aveva precisato che, una volta convalidato, l’arresto non può essere messo in discussione nelle successive fasi processuali, perché non può essere il giudice del dibattimento o dell’impugnazione a conoscere della legittimità o meno dell’arresto e,
nello stesso senso, anche Sez. 2, n. 17442 del 13.3.2009 e Sez. 1, n. 16587 del 18/12/2015, dep. 2016 che avevano parimenti postulato che la mancata impugnazione dell’ordinanza di convalida preclude la rilevabilità del vizio relativo alla costituzione delle parti ed alla invalidità derivata degli atti in essa compiuti; in altri termini, la fase della convalida dell’arresto è del tutto autonoma dalle fasi successive con la conseguenza che un’eventuale nullità verificata in quella sede non si riverbera sul successivo giudizio da celebrarsi con rito direttissimo.

In relazione a tale orientamento ermeneutico, i giudici di piazza Cavour evidenziavano come non contraddicesse tale impostazione la sentenza adottata dalla Sez. 3, n. 46714 del 03/12/2012, secondo cui integra una nullità assoluta insanabile l’omesso avviso al difensore di fiducia per l’udienza di convalida ed il successivo giudizio direttissimo posto che, ad avviso della Corte, in quel caso, a differenza di questo, l’omesso avviso aveva riguardato entrambe le fasi del procedimento e non aveva esaurito i suoi effetti nella sola udienza di convalida.

Tal che se ne faceva conseguire come, secondo la Corte in modo del tutto condivisibile, il Giudice del Tribunale di Salerno avesse omesso di entrare nel merito della natura di siffatta nullità, tema reputato del tutto irrilevante ai fini del decidere e su cui, peraltro, si registravano orientamenti contrastanti.

Ciò posto, conclusa la disamina del primo motivo, per quanto riguarda la seconda doglianza, si metteva in risalto il fatto come la Corte territoriale avesse reso una motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria avendo escluso l’uso personale valorizzando i seguenti elementi: a) la quantità della sostanza rinvenuta, b) la presenza di materiale ed attrezzatura solitamente usata per il confezionamento della sostanza, c) le diverse modalità di detenzione trattandosi sia di coltivazione che di possesso illecito di stupefacente, d) la mera allegazione non supportata da documentazione dello stato di tossicodipendenza dell’imputato.

Tali argomenti, secondo il Supremo Consesso, resistevano alla censura sollevata stimata generica e volta a sollecitare un diverso apprezzamento dei fatti, in quanto tale, precluso al giudice di legittimità.

Conclusioni

La decisione in esame desta interesse nella parte in cui asserisce che è abnorme il provvedimento con cui il giudice non può disporre la restituzione degli atti al pubblico ministero perché proceda con le forme ordinarie una volta instaurato il giudizio direttissimo sulla base di un arresto in flagranza regolarmente convalidato qualora rilevi di ufficio un vizio nell’udienza di convalida in quanto non consente per l’appunto siffatta restituzione ove si verifichi tale situazione.

Tal che, ove si dovesse verificare invece una evenienza processuale di tal genere, si potrà ricorrere per Cassazione per abnormità del provvedimento avvalendosi di questo precedente giurisprudenziale.

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