Sono utilizzabili le dichiarazioni rese dal contribuente prima che sussista la possibilità di attribuire rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa

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Ricorso rigettato

Riferimenti normativi: art. 220 disp. att. c.p.p. e art. 350 c.p.p.

Precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. III, 23 novembre 2018, n. 52853; Cass., Sez. III, 14 novembre 2018, n. 51497; Cass., Sez. III, 17/10/2018, n. 47104; Cass., Sez. III, 25 settembre 2018, n. 54590; Cass., Sez. III, 01 febbraio 2018, n. 4736; Cass., Sez. III, 20 settembre 2016, n. 38858; Cass. Sez. III, 31 gennaio 2013, n. 2352

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Il fatto

Il ricorrente – al quale veniva contestato il delitto previsto e punito dall’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000 per avere omesso la dichiarazione delle imposte sui redditi per all’anno 2016, quale amministratore di fatto e già amministratore unico di una società di capitali – era destinatario di un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente, emesso dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che si sostanziava nel sequestro di un immobile. Avverso tale provvedimento proponeva richiesta di riesame presso il medesimo Tribunale, che con ordinanza respingeva.

Veniva quindi formulato ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 311 c.p.p., al fine di ottenere l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del riesame di Santa Maria Capua Vetere, enunciando due motivi.

Le doglianze

Col primo motivo il ricorrente deduceva la violazione di legge processuale in relazione agli artt. 191, 192, 63, 64, 350 c.p.p. e il vizio di omessa motivazione. Sosteneva sicché la carenza di motivazione in relazione all’eccezione difensiva di inutilizzabilità delle dichiarazioni etero-accusatorie rese dal coindagato nel corso delle operazioni di verifica fiscale della Guardia di Finanza, poi trasfuse nel pvc in violazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p. e degli artt. 63 e 64 c.p.p.. Il ricorrente riteneva, infatti, che nel momento in cui il coindagato veniva sentito in merito ai rapporti di conoscenza con l’amministratore di fatto già sussistevano gli indizi di reità in relazione al reato ipotizzato, essendo nota la circostanza dell’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, rendendo le sue dichiarazioni inutilizzabili per violazione degli artt. 220 disp. att. c.p.p. perché rese senza le garanzie difensive e senza l’osservanza degli artt. 63 e 64 c.p.p..

Con la seconda doglianza il ricorrente deduceva la violazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p., eccependo la inutilizzabilità delle dichiarazioni del coindagato che attribuivano la qualifica di amministratore di fatto in capo al ricorrente, perché rese allorché già emersi indizi di reità nei suoi confronti.

Le valutazioni della Suprema Corte

Le doglianze venivano esaminate congiuntamente, trattandosi di due motivi fondati sull’inutilizzabilità della dichiarazione etero-accusatorie rese dal coindagato, acquisite nell’ambito di un’attività di verifica governata dalle regole dettate dall’art. 220 disp. att. c.p.p..

Gli ermellini dapprima riportavano il contenuto del citato art. 220 disp. att. c.p.p. – norma di raccordo tra l’attività ispettiva e quella investigativa – con cui si dispone che, qualora nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergano indizi di reato, per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale occorre osservare le disposizioni del codice di procedura penale.

Successivamente chiarivano che il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza, in quanto atto amministrativo extraprocessuale, costituisce prova documentale e, qualora emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dall’art. 220 disp. att. c.p.p., giacché altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile, conseguendone che la parte di documento compilata prima dell’insorgere degli indizi ha sempre efficacia probatoria ed è utilizzabile, mentre non è tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito.

I giudici facevano infine rilevare che l’obbligo di osservare le norme del codice di procedura penale non opera con l’insorgenza di una prova indiretta, quale indicata dall’art. 192 c.p.p., bensì con la sussistenza della mera possibilità di attribuire rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa, peraltro a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata.

Nel caso di specie – trattandosi dell’illecito penale di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 74/00 – deve emergere in tutti i suoi elementi, tra cui il superamento della soglia di punibilità, che rappresenta elemento costitutivo del reato. I giudici osservavano perciò che occorre che nell’inchiesta amministrativa sia già delineato un fatto di rilievo penale, inteso nella sua completezza e come descritto nella fattispecie normativa.

La Corte – considerato l’iter dell’indagine condotta dalla Guardia di Finanza – escludeva la violazione dall’art. 220 disp. att. c.p.p., dal momento che solo a seguito degli accertamenti in ordine ai costi deducibili, su cui vi era controversia, il Pubblico Ministero poteva appurare l’ammontare dell’evasione di imposta relativa all’Ires, superiore al limite previsto dall’art. 5 del D.Lgs n. 74/00, per l’anno 2016. Al momento dell’assunzione delle dichiarazioni rese dal coindagato del ricorrente non risultava accertato il superamento della soglia di punibilità e, dunque, l’attività svolta dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’indagine amministrativa era legittima e non posta in violazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p e degli artt. 63 e 64 c.p.p..

A margine il Collegio rilevava l’aspecificità della censura e la mancanza di autosufficienza del motivo, dovendosi assumere, quale principio pacifico, che ogniqualvolta con il ricorso si lamenti – come nella specie – l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve allegare, a pena di inammissibilità, il fatto da cui trae la sanzione processuale.

Il ricorso, pertanto, veniva rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Considerazioni conclusive

Le conclusioni dei giudici della III Sezione vanno certamente condivise.

È necessario rilevare che la giurisprudenza di legittimità in materia fissa una granitica posizione, diretta a definire quali sono i presupposti per invocare l’inutilizzabilità del materiale probatorio assunto e, parallelamente, quali sono le corrette modalità operative alle quali gli organi ispettivi devono attenersi per un’efficace esecuzione delle attività di controllo nel corso delle quali emergano indizi di reato.

Orbene, risulta oggi pacifico ritenere inutilizzabili le dichiarazioni rese dal contribuente nei cui confronti siano emersi anche semplici dati indicativi di un fatto apprezzabile come reato – fermo restando che il reato deve emergere in tutti i suoi elementi costitutivi – e le cui dichiarazioni siano state assunte, ciononostante, in violazione delle norme poste a garanzia del diritto di difesa.

Laddove ciò si delinei, è essenziale che gli organi ispettivi che intendono esaminare il contribuente che ha già assunto la qualità di indagato procedano nel pieno rispetto dell’art. 64 c.p.p. (Regole generali per l’interrogatorio) e dell’art. 96 c.p.p. (Difensore di fiducia), dunque approntando le garanzie procedurali previste per l’escussione dell’indagato, ai sensi dell’art. 350 c.p.p..

È opportuno però precisare – come peraltro a margine evidenziato dalla sentenza in commento – che la violazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p. non determina automaticamente l’inutilizzabilità dei risultati probatori acquisiti nell’ambito di attività ispettive o di vigilanza, ma è necessario che l’inutilizzabilità o la nullità dell’atto sia autonomamente prevista dalle norme del codice di rito, a cui l’art. 220 disp. att. rimanda, che nel caso in esame sono le disposizioni fissate dal citato art. 350 c.p.p..

Le reiterate dichiarazioni di inammissibilità dei ricorsi per Cassazione per la violazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p. , dovute alla genericità delle impugnazioni, nelle quali non sono indicate le disposizioni del codice di rito ritenute violate in conseguenza dell’emersione di indizi di reità, testimoniano, in definitiva, la necessità di leggere l’art. 220 disp. att. c.p.p. come norma di rinvio alle disposizioni del codice di rito, costituendo, isolatamente contemplata, tout court una norma di raccordo tra istruttoria amministrativa e indagine penale.

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Note

[1], dovute alla genericità delle impugnazioni, nelle quali non sono indicate le disposizioni del codice di rito ritenute violate in conseguenza dell’emersione di indizi di reità,  testimoniano, in definitiva, la necessità di leggere l’art. 220 disp. att. c.p.p. come norma di rinvio alle disposizioni del codice di rito, costituendo, isolatamente contemplata, tout court una norma di raccordo tra istruttoria amministrativa e indagine penale.

[1]             Cass., Sez. III, n. 50657/2018; Cass., Sez. III, n. 38858/2016; Cass., Sez. III, n. 31004/2016.

Sentenza collegata

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Dott. Gucciardo Livio

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