In che modo la presentazione da parte del datore di lavoro degli appositi modelli DM 10 può escludere la sussistenza del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

Il fatto

La Corte di appello di Firenze confermava la sentenza del Tribunale di Arezzo con la quale l’imputato era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 81 cpv. c.p. e L. n. 638 del 1983, art. 2, comma 1 bis – perché, nella qualità di legale rappresentante di una ditta ometteva di versare all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti per un importo complessivo di Euro 35.284,38 ed era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 300,00 di multa.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge in relazione alla L. n. 638 del 1983, art. 2, comma 1 bis, lamentando che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto che i modelli DM10 trasmessi all’ente previdenziale facessero prova della corresponsione delle relative retribuzioni; 2) vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità lamentando che non erano state tenute nel debito conto, a fini di una pronuncia assolutoria, le circostanze che il mancato versamento era dovuto ad una obiettiva carenza di mezzi economici e che, trattandosi di cooperativa di lavoro, non vi era un soggetto imprenditore che potesse aver lucrato per il mancato versamento all’Inps dei contributi.

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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il primo motivo di ricorso veniva stimato manifestamente infondato atteso che, per un verso, secondo la giurisprudenza della Cassazione, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite 23 giugno 2003 n. 27641, il reato di cui al D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 1-bis, conv. con modificazioni nella L. 11 novembre 1983, n. 638 e successive modifiche, non è configurabile senza il materiale esborso, anche solo in nero (Sez. 3, n. 29037 del 20/02/2013; Sez. 3, n. 6934 del 23/11/2017), della retribuzione il quale, costituendo un presupposto necessario della fattispecie criminosa, deve essere provato dall’accusa sia mediante il ricorso a prove documentali che testimoniali ovvero attraverso il ricorso alla prova indiziaria (Sez. 3, n. 38271 del 25/09/2007; Sez. 3, n. 32848 del 08/07/2005), per altro verso, costituisce principio consolidato che, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, la presentazione da parte del datore di lavoro degli appositi modelli DM 10 – attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e l’ammontare degli obblighi contributivi – è valutabile, in assenza di elementi di segno contrario, come prova della effettiva corresponsione degli emolumenti ai lavoratori (Sez. 3, n. 21619 del 14/04/2015; Sez. 3, n. 37330 del 15/07/2014) mentre è onere del pubblico ministero quello di dimostrare che l’avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti sia stato assolto con la produzione del modello DM 10 con la conseguenza che grava sull’imputato il compito di provare, in difformità dalla situazione rappresentata nelle denunce retributive inoltrate, l’assenza del materiale esborso delle somme (Sez. 3, n. 7772 del 05/12/2013).

Difatti, ad avviso del Supremo Consesso, gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10) hanno natura ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e fanno piena prova (art. 2709 c.c.) a carico dell’imprenditore e quindi la loro presentazione equivale all’attestazione di aver corrisposto, fino a prova contraria, le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il versamento dei contributi (Sez. 3, n. 37145 del 10/04/2013; Sez. 3, n. 46451 del 07/10/2009; Sez. 3, n. 26064 del 14/02/2007; Sez. 3, n. 32848 del 08/07/2005).

Orbene, nel caso di specie, i giudici di piazza Cavour rilevavano come tale situazione si era venuta a verificare  dandosi atto di ciò in sentenza (valutandosi generica la prova orale e non pertinente quella documentale, offerte dalla difesa) con motivazione congrua ed esente da vizi logici ed in linea con il suesposto principio di diritto.

Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente che tale consolidato principio trova applicazione anche nel caso di elaborazione telematica dei modelli DM 10 da parte dell’INPS rilevandosi a tal proposito che la L. n. 326 del 2003 ha previsto l’obbligatorietà della presentazione telematica delle denunce contributive mensili; i titolari e legali rappresentanti delle aziende o soggetti delegati (consulenti del lavoro, avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali iscritti negli appositi albi) devono essere autorizzati dall’Istituto mediante l’assegnazione di un codice PIN che consente anche di consultare i dati di propria pertinenza presenti negli archivi Inps: la situazione anagrafica, l’inquadramento, le coperture contributive, la visualizzazione di tutti i DM10/2 già presenti sugli archivi centrali dell’Istituto fermo restando che le denunce mensili relative ai lavoratori dipendenti dovevano essere inoltrate all’INPS tramite due diversi moduli, denominati, rispettivamente, DM10/2 ed EMENS.

In particolare, la EMENS è la denuncia di tutti i dati retributivi riferiti al singolo lavoratore che riguardano il rapporto assicurativo con l’Ente previdenziale mentre il modello DM10/2 contiene i dati contributivi in forma aggregata ossia in riferimento al complesso dei lavoratori presenti in azienda, distinti per categorie ma da maggio 2009 si è passati gradualmente ad un nuovo sistema che prevede la trasmissione di un’unica dichiarazione, l’UNIEMENS, che raccoglie le informazioni retributive e contributive relative ad ogni lavoratore, a livello individuale, a partire dal quale l’INPS ricostruisce un DM10 virtuale e tenuto conto che, in questo unico documento telematico, confluiscono i due separati flussi costituiti dai modelli DM10/2 (tramite cui venivano comunicati i dati contributivi in forma aggregata cioè con riferimento al complesso dei lavoratori presenti in azienda, distinto per categorie ed espresso in forma numerica) ed EMENS.

Orbene, a fronte di quanto appena esposto, veniva inoltre osservato come sia stato, condivisibilmente, affermato dalla Cassazione che i modelli DM 10, formati secondo il sistema informatico UNIEMENS, possono essere valutati come piena prova della effettiva corresponsione delle retribuzioni trattandosi di dichiarazioni che, seppure generate dal sistema informatico dell’INPS, sono formate esclusivamente sulla base dei dati risultanti dalle denunce individuali e dalla denuncia aziendale fornite dallo stesso contribuente; in particolare, UNIEMENS è soltanto un flusso di dati che va a creare il contenuto del modello DM 10, per così dire di nuova generazione, che, ancorché generato dal sistema informatico dell’INPS, ha le stesse caratteristiche ed informazioni del DM 10 “cartaceo” mentre la modifica delle modalità di redazione del modello medesimo, ossia il passaggio dal “cartaceo” inviato all’INPS al “telematico” generato dal sistema dell’Istituto, non ha importato alcuna modifica sotto il profilo della necessaria provenienza dei “flussi informativi” dall’azienda interessata (Sez. 3, n. 42715 del 28/06/2016).

Detto questo, il secondo motivo di ricorso veniva reputato manifestamente infondato dato che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti (D.L. n. 463 del 1983, art. 2, conv. in L. n. 638 del 1983) è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti sicché non rileva, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti o abbia deciso di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti (Sez. 3, n. 38269 del 25/09/2007; Sez. 3, n. 13100 del 19/01/2011; Sez.3, n. 3705 del 19/12/2013; Sez. 3, n. 43811 del 10/04/2017).

Ebbene, in relazione a tale approdo ermeneutico, gli Ermellini evidenziavano come nel caso di specie la Corte territoriale, facendo buon governo del principio di diritto suesposto, avesse evidenziato, con argomentazioni congrue e logiche, che la situazione di difficoltà economica in cui versava l’imputato al momento dei fatti, espressamente considerata nei termini fattuali rappresentati con i motivi di appello, non escludeva la rilevanza penale della condotta emergendo la consapevolezza della scelta di omettere i versamenti dovuti ed esulando la finalità di lucro dalla fattispecie criminosa fermo restando che, rispetto a tale percorso argomentativo, secondo la Suprema Corte, il ricorrente non si era confrontato criticamente.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui spiega in che modo la presentazione da parte del datore di lavoro degli appositi modelli DM 10 può escludere la sussistenza del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali.

Difatti, in tale pronuncia, citandosi giurisprudenza conforme, è postulato che, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, la presentazione da parte del datore di lavoro degli appositi modelli DM 10 – attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e l’ammontare degli obblighi contributivi – è valutabile, in assenza di elementi di segno contrario, come prova della effettiva corresponsione degli emolumenti ai lavoratori fermo restando che è onere del pubblico ministero quello di dimostrare che l’avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti sia stato assolto con la produzione del modello DM 10 con la conseguenza che grava sull’imputato il compito di provare, in difformità dalla situazione rappresentata nelle denunce retributive inoltrate, l’assenza del materiale esborso delle somme.

Questa sentenza, quindi, può essere presa nella dovuta considerazione al fine di elaborare una valida strategia difensiva da intraprendere ove l’assistito sia accusato di un reato di tal genere.

Ad ogni modo, al di la di ciò, il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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