Il consenso informato deve essere reso in maniera esplicita, ma la sua prova può essere fornita anche mediante presunzioni

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Il fatto

Una signora aveva effettuato, nel 2004, un intervento chirurgico per la rimozione di un’ ernia discale, all’ esito del quale era insorta una sintomatologia dolorosa e si era aggravato il deficit agli arti inferiori di cui la signora già soffriva, nonché un successivo intervento il mese successivo, all’ esito del quale subiva una infezione da aspergillo. In considerazione di tale quadro clinico, la signora si sottoponeva pochi giorni dopo a due interventi di urgenza all’ esito dei quali tale quadro clinico peggiorava e veniva diagnosticata alla signora la comparsa di una forma di paraplegia. Dopo circa un anno di ricovero, successivo a detti interventi, e un ultimo intervento finalizzato a stabilizzare le patologie della paziente, quest’ ultima moriva.

I diretti congiunti della signora agivano dinanzi al tribunale di Milano nei confronti dell’ ospedale presso cui erano stati effettuati gli interventi nonché nei confronti del medico, per ottenere il risarcimento dei danni subiti, sia in proprio sia quali eredi della paziente deceduta, a causa della morte di quest’ ultima: da un lato, per l’errore professionale consistito nella non corretta individuazione della tempistica degli interventi, della non adeguatezza del trattamento farmacologico dell’ infezione e delle misure di prevenzione; dall’ altro lato, per non aver correttamente informato la paziente circa le conseguenze possibili degli interventi.

Dopo che il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda risarcitoria in punti di violazione della disciplina in tema di consenso informato, la Corte di Appello di Milano, in accoglimento dell’ appello del medico e della struttura sanitaria, riformava la sentenza di primo grado e respingeva integralmente la richiesta risarcitoria avanzata dagli attori.

Questi ultimi proponevano, quindi, ricorso in cassazione per tutta una serie di motivi, fra i quali – per quanto interessa in questa sede – quello relativo alla asserita mancata prestazione di un consenso informato da parte della paziente.

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La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione di seconde cure, fornendo una dettagliata ricostruzione dei principi in materia di consenso informato vigenti nel nostro ordinamento.

Preliminarmente i giudici supremi hanno evidenziato che l’ acquisizione del consenso informato costituisce una prestazione a carico del medico che risulta separata e distinta rispetto alla prestazione sanitaria richiesta dal paziente. Pertanto, ai fini risarcitori, occorre analizzare e verificare l’ adempimento di entrambi gli obblighi gravanti sul sanitario; potendo, infatti, configurarsi una responsabilità autonoma anche solo in caso di violazione dell’ obbligo di acquisire un valido consenso informato del paziente alla effettuazione della prestazione sanitaria.

Secondo i giudici di Cassazione, l’ esecuzione di un trattamento sanitario senza che il paziente abbia prestato un valido consenso informato costituisce sempre un illecito, anche nel caso in cui il trattamento sia effettuato nell’ interesse del paziente.

In altri termini, soltanto il consenso rende legittimo il trattamento.

Restano salvi i casi di trattamenti obbligatori per legge oppure i casi in cui sussista uno stato di necessità, in cui il trattamento può essere effettuato anche senza consenso del paziente.

Dal punto di vista del contenuto dell’ obbligo gravante sul medico, i giudici supremi ricordano che il sanitario deve informare il paziente anche circa le prevedibili conseguenze che potrebbero derivare dal trattamento sanitario. In particolare, l’ informazione deve riguardare: i rischi circa possibili esiti negativi del trattamento, circa un possibile aggravamento delle condizioni di salute del paziente, circa il possibile non cambiamento di dette condizioni (quindi neanche in senso migliorativo) e quindi della inutilità del trattamento cui si chiede al paziente di acconsentire.

La Corte Suprema ha, poi, ricordato che dette informazioni devono essere fornite al paziente (e conseguentemente il suo consenso va acquisito) anche nel caso in cui le possibilità che dal trattamento sanitario derivino conseguenze negative siano estremamente basse e nel caso in cui, invece, al contrario, tali possibilità siano talmente alte da rendere quasi certo il verificarsi delle conseguenze negative.

Per quanto attiene alle modalità con cui deve essere resa al paziente tale informazione, gli Ermellini evidenziano come il sanitario debba utilizzare un linguaggio adatto al livello culturale del paziente e che sia a quest’ ultimo comprensibile in considerazione del suo stato personale e delle sue conoscenze.

Ciò in modo che il paziente possa prendere in maniera consapevole la propria decisione se consentire o meno al trattamento.

Per quanto attiene al soggetto su cui grava l’obbligo di fornire il consenso informato, secondo gli Ermellini sono tenuti a tale adempimento sia il medico che la struttura sanitaria.

Per quanto concerne, invece, le forme in cui può essere espresso dal paziente il suo consenso informato, la Corte di Cassazione precisa che lo stesso non può mai essere tacito e pertanto deve essere sempre reso in maniera espressa dal paziente, anche se ciò può avvenire sia per iscritto che oralmente. Con riferimento alla prestazione del consenso in forma orale, infatti, non può ritenersi esclusa la sua idoneità in generale, ma è necessario esaminare come, nel caso concreto, si è sviluppato il rapporto informativo medico-paziente: se si riesce a dimostrare che il medico, oralmente, ha compiutamente fornito al paziente le informazioni di cui sopra e secondo le suddette modalità e che il paziente, sempre oralmente, abbia acconsentito al trattamento, può ritenersi acquisito un valido consenso.

Invece, secondo gli Ermellini, la prova della manifestazione espressa del consenso da parte del paziente può essere fornita dal medico o dalla struttura sanitaria anche attraverso delle presunzioni. Quindi si può dimostrare di aver reso le informazioni e acquisito il consenso oralmente anche utilizzando dei fatti noti (per esempio attraverso documenti o testimonianze) da cui inferire che il medico abbia avuto con il paziente dei colloqui in cui ha fornito le informazioni e acquisito il suo consenso.

A tale ultimo proposito (dell’onere della prova), i giudici evidenziano come i soggetti su cui ricade l’ onere probatorio circa la acquisizione di un consenso informato siano il medico e la struttura sanitaria. In altri termini, il paziente deve soltanto allegare di non aver ricevuto un valido consenso informato prima della effettuazione del trattamento sanitario e, a fronte di tale allegazione, ricade sulla struttura sanitaria e sul medico l’onere di dimostrare di aver fornito al paziente le informazioni circa il trattamento e aver acquisito il suo consenso, secondo i caratteri e le modalità di cui si è detto sopra.

Dopo aver effettuato la completa analisi dei principi in tema di consenso informato, la Corte di Cassazione è passata ad applicare gli stessi al caso concreto per verificare se il Collegio di seconde cure ne avesse fatto corretto uso.

Ebbene, gli Ermellini hanno ritenuto che è stato provato nel giudizio di merito che, un mese e mezzo prima della prima operazione, il medico si era recato presso lo studio del cognato della paziente (che era anche egli medico dello stesso ospedale) e alla presenza dell’attrice avevano ampiamente discusso del trattamento che sarebbe stato eseguito e esaminato la documentazione acquisita dal medico, nonché che anche pochi giorni prima della operazione tutti detti soggetti si erano nuovamente incontrati e avevano discusso sulle patologie attuali della paziente, sui possibili rischi e specificatamente sulle possibili infezioni derivanti dall’intervento.

Inoltre, risulta documentalmente provato che la paziente abbia sottoscritto un modulo di consenso informato all’interno del quale era espressamente scritto che fra le possibili conseguenze dell’ intervento vi erano deficit motorio agli arti inferiori e infezioni post operatorie.

In ragione di ciò, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il modulo sottoscritto dalla paziente è il risultato di un percorso informativo che si era sviluppato in incontri e discussioni precedenti alla sua sottoscrizione. Pertanto può ritenersi assolto dai convenuti l’obbligo di acquisire dal paziente un consenso informato all’intervento chirurgico di cui è causa, nel rispetto dei principi sopra esposti.

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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