Risarcimento del danno cd. Differenziale

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Risarcimento del danno cd. Differenziale : il quantum contenuto nella domanda di rivalsa promossa dall’assicuratore sociale va integralmente conteggiato quale eccezione di  compensatio lucri cum damno in altro procedimento promosso dal danneggiato

Cassazione Civile, Sez. III, 24473 / 2020

In materia di computo del risarcimento del danno cd. differenziale  – ossia il danno ottenuto dalla differenza tra quanto versato dall’INAIL a titolo di indennizzo per infortunio sul lavoro e/o malattia professionale e quanto è possibile richiedere al datore di lavoro –  hanno rilievo probatorio anche le risultanze contenute in un atto giudiziario afferente ad altro e diverso giudizio.

In particolare l’eccezione di compensatio lucri cum damno è un’eccezione in senso lato, con cui non vi è l’adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma un mera difesa in ordine all’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato ed è, come tale, oltre che rilevabile d’ufficio dal giudice, anche proponibile per la prima volta in appello.

Nel vigente ordinamento processuale, improntato al principio del libero convincimento del giudice e in assenza di una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, questi può porre a fondamento della decisione anche prove atipiche, non espressamente previste dal codice di rito, della cui utilizzazione fornisca adeguata motivazione e che siano idonee ad offrire elementi di giudizio sufficienti e non smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze del processo.

Tra tali prove rientrano certamente anche le prove e le dichiarazioni raccolte in altro giudizio tra le stesse o tra altre parti che, ove ritualmente introdotte nel giudizio, andranno certamente valutate nel contraddittorio delle parti e sottoposte a raffronto critico con le altre risultanze ritualmente acquisiste nel processo.

Ciò è quanto ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione III nell’ordinanza n. 24473 depositata il 04.11.2020 (testo il calce).

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La vicenda

Nella fattispecie in esame il titolare di una ditta individuale, caduto rovinosamente  da un’impalcatura mentre eseguiva lavori di posizionamento di pannelli solari sul tetto di un’abitazione privata, evocava in giudizio il proprietario dell’abitazione stessa nonché il titolare della ditta preposta al montaggio del ponteggio al fine di ottenere il risarcimento del danno cd. differenziale.

In particolare, il danneggiato, dopo aver ottenuto dall’INAIL il riconoscimento di una rendita, chiedeva il risarcimento del danno residuale ai predetti due soggetti che asseriva responsabili per l’accaduto foriero di esiti altamente invalidanti.

Il giudice di prime cure, dopo aver riconosciuto il concorso del fatto colposo del danneggiato, condannava in solido i convenuti, ancorchè con percentuali di responsabilità differenti, al risarcimento del danno residuale, con detrazione del valore capitalizzato della rendita INAIL così come comunicata dallo stesso istituto.

Successivamente alla pubblicazione della sentenza di primo grado e prima della scadenza del termine per la relativa impugnazione, la proprietaria dell’immobile – convenuta in primo grado e condannata al danno residuale – riceveva la notifica da parte dell’INAIL della domanda di rivalsa per l’esercizio del diritto di surrogazione dell’assicuratore sociale nei confronti dei responsabili civili e finalizzata, quindi, ad ottenere la restituzione delle somme tutte corrisposte al danneggiato.

In realtà, però, la somma che l’INAIL chiedeva con la rivalsa era di entità ben maggiore (cfr. circa € 75.000,00) rispetto alla somma che il giudice di prime cure aveva detratto nel computo del danno cd. differenziale poi liquidato nell’esaurito giudizio.

I condannati in primo grado, pertanto, proponevano appello avverso la sentenza di primo grado, censurandola sia sotto il profilo della personalizzazione del danno, sia appunto per il calcolo dell’importo della rendita INAIL portato in detrazione.

La Corte d’appello territoriale, però, confermava integralmente la decisione del primo giudice, pronuncia impugnata dai medesimo condannati rispettivamente con ricorso e controricorso in cassazione.

La decisione della cassazione

I ricorrenti lamentavano, avanti i Giudici di legittimità, che la Corte d’appello avrebbe dovuto procedere, in applicazione degli artt. 1223 e 1916 cod. civ., alla detrazione integrale della rendita INAIL –  così come quantificata nella domanda di rivalsa promossa dallo stesso assicuratore sociale – dal risarcimento riconosciuto al danneggiato.

La Suprema Corte ha ritenuto il motivo fondato e, come tale, meritevole di accoglimento e, per l’effetto, cassando la sentenza ha rinviato al giudice a quo in diversa composizione.

I Giudici di legittimità, in particolare, hanno ritenuto che l’affermazione contenuta nella sentenza d’appello – secondo cui << tale dato (ossia quello del valore capitalizzato della rendita INAIL da detrarre dalla somma liquidata a titolo di risarcimento , n.d.r.) non può essere superato neppure in questa sede a fronte di risultanze di un atto giudiziale afferente ad altro e diverso giudizio >>, in mancanza di alcuna ulteriore spiegazione, appare incomprensibile ed espone la sentenza, per tale parte, a rilievo di nullità per mancanza di motivazione, ai sensi dell’art. 132, comma 2, n.4, c.p.c. (Sez. U. n.8053 del 07/04/2014): rilievo che appare consentito dal tenore sostanziale delle censure, indipendentemente dalla ininfluente diversa indicazione, nell’intestazione, del tipo di vizio denunciato (v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n.17931).

E ancora i Giudici di legittimità hanno evidenziato come non sia dato comprendere se tanto il giudice d’appello afferma perchè : a) ritenga le risultanze dell’atto << afferente ad altro e diverso giudizio >> di valore probatorio recessivo rispetto alla documentazione acquisita nel giudizio de quo (ma in tal caso di tale valutazione non offre alcuna, sia pure accennata, ragione giustificativa); b) ritenga invece, a priori, non consentito l’esame e l’attribuzione di alcun rilevo probatorio ad atti o documenti provenienti da diverso giudizio.

In entrambe le valutazioni, in ogni caso, la Corte d’appello è incorsa in errore poiché in applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, istituto privo di espressa previsione legislativa ma condiviso oramai da dottrina e giurisprudenza, al fine di evitare indebite locupletazioni a vantaggio del soggetto danneggiato, il giudice può porre a fondamento della decisione anche prove atipiche, tra le quali rientrano certamente anche le prove e le dichiarazioni raccolte in un altro giudizio tra le stesse parti o tra parti diverse.

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Dal Bosco Domenico

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