Ricettazione e riciclaggio: non sussiste il concorso

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La massima

«Non può affermarsi sussistere concorso di reati tra ricettazione e riciclaggio contestato in altro giudizio, costituendo quest’ultimo una figura di progressione criminosa del reato di cui all’art. 648 c.p., che in esso è assorbito, punendosi con il delitto di cui all’art. 648 bis c.p., più gravemente proprio la condotta di chi dopo avere ricevuto denaro od oggetti di provenienza illecita, compie operazioni dirette a sostituire, trasformare, occultare il profitto del precedente reato presupposto. Così che nell’ipotesi in cui vi sia ricezione prima ed utilizzazione poi di assegni di provenienza furtiva non può contestarsi in diversi procedimenti sia la ricettazione che il riciclaggio, assorbendo quest’ultima condotta anche quella di cui all’art. 648 c.p.»

Il caso

Con sentenza in data 29 maggio 2018 la Corte di appello di Messina dichiarava la nullità ex art. 604 c.p.p. della pronuncia 10 febbraio 2017 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto che aveva condannato Tizio alle pene di legge in quanto ritenuto responsabile dell’ipotesi di ricettazione di due assegni circolari. Riteneva la corte di appello la diversità tra fatto accertato in diverso procedimento e quello contestato nel presente giudizio e disponeva la trasmissione degli atti al giudice di primo grado.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato deducendo, con un unico motivo, violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), posto che nei distinti procedimenti, di cui la Corte di appello messinese aveva dato atto, si contestava sempre il medesimo fatto pur diversamente qualificato, così che doveva farsi applicazione della disciplina dettata dall’art. 649 c.p.p. anche nell’interpretazione fornita dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 200 del 2016 secondo cui il divieto di secondo giudizio non richiede un accertamento definitivo.

La decisione della Corte

La Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha ritenuto il ricorso fondato.

Quanto alla doglianza proposta in tema di pluralità di procedimenti nei confronti del medesimo soggetto per lo stesso fatto storico, il Collegio rileva che le Sezioni Unite hanno affermato che ai fini della preclusione connessa al principio ne bis in idem, l’identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Cass. Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005).

Successivi interventi giurisprudenziali hanno allargato la nozione di medesimo fatto anche alle ipotesi di reato diversamente qualificato. Si è così statuito che per medesimo fatto, ai fini dell’applicazione del principio del ne bis in idem di cui all’art. 649 c.p.p., deve intendersi identità degli elementi costitutivi del reato, con riferimento alla condotta, all’evento e al nesso causale, nonché alle circostanze di tempo e di luogo, considerati non solo nella loro dimensione storico-naturalistica ma anche in quella giuridica, potendo una medesima condotta violare contemporaneamente più disposizioni di legge (Cass. sez. 2, n. 18376 del 21/03/2013).

Inoltre, la stessa pronuncia delle Sezioni Unite in precedenza citata, sganciando il principio della preclusione processuale al secondo giudizio dal giudicato formale, ha pure affermato che non può essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talché nel procedimento eventualmente duplicato dev’essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata, dev’essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità (Cass. Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005).

Tale affermazione risulta confermata anche da numerose pronunce successive secondo le quali in caso di contestuale pendenza presso lo stesso ufficio (o presso uffici diversi della stessa sede giudiziaria), di più procedimenti penali per uno stesso fatto e nei confronti della stessa persona, una volta esercitata l’azione penale nell’ambito di uno di tali procedimenti, deve considerarsi indebita la reiterazione dell’esercizio del potere di promuovere l’azione, assumendo, in assenza di un’espressa disposizione normativa, diretto rilievo il principio di “consumazione” del potere medesimo, correlato a quello di “preclusione”, del quale costituisce espressione il divieto di bis in idem dopo la formazione del giudicato; ne consegue che, nell’ambito del secondo procedimento, va chiesta e disposta l’archiviazione ovvero, nel caso in cui l’azione penale sia già stata esercitata, ne va dichiarata l’improcedibilità con sentenza (Cass. sez. 4, n. 25640 del 21/05/2008).

L’applicazione dei suddetti principi al caso in esame comporta affermare che la Corte di appello di Messina non poteva dichiarare la nullità per fatto diverso e trasmettere gli atti al giudice di primo grado pur avendo dato atto della sussistenza di altro procedimento per lo stesso fatto storico, e cioè la ricezione e successiva negoziazione dei medesimi assegni circolari, pur se diversamente qualificato nei distinti procedimenti.

Viceversa la Corte di appello accertato che il procedimento separato ha ad oggetto contestazioni di riciclaggio dei medesimi assegni che assorbono la condotta di semplice ricettazione contestata nel presente procedimento, doveva dichiarare l’improcedibilità ex art. 649 c.p.p. Declaratoria che trova fondamento sia nella sussistenza di due distinti procedimenti in relazione alla medesima condotta sia nella accertata sussistenza di altro procedimento per lo stesso fatto diversamente qualificato che assorbe il reato oggetto del presente procedimento perchè meno grave.

Difatti non può affermarsi sussistere concorso di reati tra ricettazione, giudicata nel presente procedimento, e riciclaggio contestato nell’altro giudizio, costituendo quest’ultimo una figura di progressione criminosa del reato di cui all’art. 648 c.p., che in esso è assorbito, punendosi con il delitto di cui all’art. 648 bis c.p., più gravemente proprio la condotta di chi dopo avere ricevuto denaro od oggetti di provenienza illecita, compie operazioni dirette a sostituire, trasformare, occultare il profitto del precedente reato presupposto.

Così che nell’ipotesi in cui vi sia ricezione prima ed utilizzazione poi di assegni di provenienza furtiva non può contestarsi in diversi procedimenti sia la ricettazione che il riciclaggio, assorbendo quest’ultima condotta anche quella di cui all’art. 648 c.p.

L’applicazione del principio del divieto di secondo giudizio comporta pertanto affermare che, avuto riguardo all’identità del fatto naturalisticamente individuato, il divieto va applicato anche in assenza di giudicato formale pur se nel secondo giudizio il fatto sia diversamente contestato con una imputazione di reato che costituisca progressione criminosa del primo.

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio dovendosi pronunciare sentenza di non doversi procedere per ostacolo di precedente giudizio.

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Avv. Mazzei Martina

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