I verbali di udienza non richiedono la presentazione di querela di falso

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Il fatto

La Corte di Appello di Catania, decidendo con le forme del giudizio abbreviato, confermava la condanna del ricorrente per quattro truffe aggravate dall’avere abusato delle condizioni di minorata difesa delle vittime.

Vedasi sull’argomento: Il processo verbale 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la decisione summenzionata il difensore dell’imputato proponeva ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi: 1) nullità della sentenza impugnata in quanto il decreto di citazione a giudizio in appello sarebbe stato notificato solo ad un solo avvocato e non anche all’altro che, come risultava da tre atti formati nel corso delle indagini preliminari e nell’ambito del procedimento incidentale per la cautela, attestavano che costui era difensore di fiducia; 2) e 3) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla conferma della condanna per la truffa descritta al capo b) di imputazione, deducendosi a tal proposito come la motivazione fosse manifestamente illogica e che la condotta contestata avrebbe dovuto essere inquadrata nella fattispecie prevista dall’art. 646 cod. pen.; inoltre non sarebbero state considerate le prove che indicavano che il ricorrete si era reso disponibile a consegnare i gioielli in cambio della restituzione di quanto pagato per il loro disimpegno; 4) mancato riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 5) cod. pen. dato che, ad avviso del ricorrente, la stessa non poteva essere ritenuta sulla base dell’emersione di uno stato di difficoltà o bisogno economico della vittima ma richiedeva l’abuso di condizioni soggettive di «inferiorità psichica»; 5) e 6) illegittimità circa la conferma della responsabilità in ordine alla truffa descritta al capo b) di imputazione; 7) illegittimità circa l’inquadramento giuridico assegnato alla condotta descritta nel capo b) che avrebbe dovuto essere ricondotta alla fattispecie dell’appropriazione indebita; 8) illegittimo riconoscimento della circostanza aggravante prevista dall’art. 61 n. 5) cod. pen. che, per la difesa, non avrebbe potuto essere riconosciuta solo sulla base dell’accertamento di uno stato di difficoltà o bisogno economico ma avrebbe invece richiesto la sussistenza in capo alla vittima di uno stato di inferiorità psichica; 9) tardività della querela in relazione al capo b) sicché, in caso di riqualifica della condotta nella fattispecie prevista dall’art. 646 cod. pen. o di ritenuta illegittimità dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 5) cod. pen., sarebbe mancata la condizione di procedibilità; 10) illegittimità della motivazione relativa alla conferma della responsabilità per la truffa descritta nel capo d) di imputazione; 11) e 12) illegittimità del riconoscimento dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 5) cod. pen. in relazione alla truffa descritta nel capo d) di imputazione, deducendosi al contempo l’eliminazione della circostanza avrebbe reso il reato improcedibile; 13) omessa motivazione in relazione al motivo di appello con il quale si invocava – in relazione alle truffe contestate ai capi a) e d) – il riconoscimento dell’attenuate del risarcimento del danno; 14) illegittimità del bilanciamento tra circostanze in quanto la motivazione sul punto sarebbe stata carente ed apodittica; 15) e 16) illegittimità del diniego della concessione della sospensione condizionale della pena mancando ogni risposta all’istanza avanzata con l’appello così come non sarebbe stata valutata la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale; 17) illegittimità della definizione del trattamento sanzionatorio con riguardo alla identificazione del reato più grave, alla determinazione della pena base ed alle ragioni che avevano giustificato la determinazione degli aumenti per la continuazione.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il primo motivo di ricorso era stimato fondato e, in quanto tale, assorbiva gli altri per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito innanzitutto che, secondo parte della giurisprudenza, il verbale d’udienza nel procedimento penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato trattandosi di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni il cui regime di efficacia è sancito dalla norma generale di cui all’art. 2700 cod. civ. (Sez. 1, Sentenza n. 1553 del 19/11/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 13117 del 27/01/2011; Sez. 3, Sentenza n. 9975 del 28/01/2003).

In particolare, secondo tale orientamento, il verbale d’udienza è un atto pubblico dotato di fede legale privilegiata ai sensi dell’art. 2700 cod. proc. civ. che può essere compromessa solo all’esito dello speciale procedimento previsto dagli artt. 221 e ss cod. proc. civ. mentre non è invece possibile in via incidentale, nell’ambito del procedimento penale, elidere la capacità probatoria privilegiata dell’atto pubblico.

Viceversa, secondo altra, ad avviso del Supremo Consesso nella decisione qui in commento, maggiormente persuasiva, interpretazione, i verbali di udienza non hanno valore probatorio privilegiato e, pertanto, le contestazioni del loro contenuto non richiedono la presentazione di querela di falso ma sono definite nell’ambito del processo penale, alla stregua di ogni altra questione, con i limiti di cui all’art. 2, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, Sentenza n. 1361 del 04/12/2018; Sez. 5, Sentenza n. 3215 del 22/05/1998; Sez. 5, n. 610 del 22/02/1993; Sez. 5, n. 123 del 10/01/1994).

Nel dettaglio, secondo questo approdo ermeneutico, è stato affermato che, nel codice di rito attuale, non è prevista alcuna pregiudiziale civile né, come nel previgente alcun “incidente di falso” (subprocedimento che, comunque, si svolgeva nell’ambito dello stesso processo penale), ma soprattutto ha evidenziato che l’art. 193 cod. proc. pen. esclude l’applicabilità al processo penale della disciplina che regola la valutazione delle prove nel processo civile.

Pertanto, alla stregua di quanto appena enunciato, non può che ribadirsi, per la Suprema Corte, che l’attendibilità di un atto “del” processo va decisa dallo stesso giudice procedente «senza alcuna specifica procedura, sulla scorta di una seria offerta di prova della parte interessata» (così: Sez. 6, Sentenza n. 1361 del 04/12/2018) fermo restando che le rare interrelazioni tra processo civile e penale sono invece disciplinate dall’art. 3 cod. proc. pen. che le limita – prevedendo la sospensione del processo – a quelle di stato di famiglia e cittadinanza mentre non vi è alcuna previsione di questioni pregiudiziali di falsità di atti la cui trattazione consenta la sospensione del processo penale, rilevandosi al contempo che confortano tale interpretazione «l’art. 241 cod. proc. pen. che, in tema di “documenti falsi”, lascia chiaramente intendere come l’accertamento di falsità di atti cui consegue la trasmissione al pubblico ministero spetti al giudice che procede, nonché l’art. 537 cod. proc. pen. che prevede che il giudice che pronunci condanna dia le disposizioni correttive rispetto agli atti falsi»; ne consegue che «la previsione di atti pubblici con fede privilegiata e la necessità di un giudizio civile autonomo per accertarne la falsità riguarda soltanto la prova civile (con estensione alla prova nei processi amministrativi e tributario» (Sez. 6, Sentenza n. 1361 del 04/12/2018).

Il Supremo Consesso, quindi, riaffermava nella pronuncia in esame il principio di diritto secondo il quale la eventuale falsità di un atto del processo, e, segnatamente del verbale di udienza non deve essere stabilita dal giudice civile ma deve essere accertata dal giudice penale che la verificherà sulla base delle ordinarie regole probatorie senza necessità di ricorrere al procedimento per “querela di falso”; in altre parole, la “falsità” del verbale deve cioè essere dimostrata sulla base di prove raccolte con le regole applicabili al rito penale delle quali sia apprezzata la univoca capacità dimostrativa attraverso un percorso argomentativo, razionale, rigoroso e privo di vizi logici.

Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, gli Ermellini osservavano come la Corte territoriale avesse ritenuto legittima la notifica del decreto di citazione a giudizio in appello ad uno solo dei legali affermando che il cancelliere, nell’indicare l’altro come difensore di fiducia, fosse incorso in un “errore” di compilazione dovuto sia alla mole degli adempimenti di udienza, che alla frequente disponibilità offerta da quest’ultimo per l’espletamento delle difese di ufficio.

Invece, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, una motivazione di tal fatta si appalesava come manifestamente illogica in quanto, sempre a loro avviso, essa svalutava la capacità dimostrativa dei verbali di udienza sulla base di elementi estraprocessuali (frequente disponibilità di uno dei legali a prestare il proprio servizio come difensore di ufficio e sovraffaticamento del cancelliere) non attestati da alcuna prova e, dunque, non verificabili.

La notifica del decreto di citazione a giudizio in appello era, pertanto, per la Corte di legittimità, nulla dato che non risultava essere stata effettuata al secondo difensore di fiducia, così come erano nulli anche gli atti conseguenti.

La sentenza impugnata era pertanto annullata senza rinvio e gli atti erano tramessi alla Corte di Appello di Catania per nuovo giudizio.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, seppur non uniforme, è ivi affermato che, nel processo penale, fermo restando che i verbali di udienza non richiedono la presentazione di querela di falso, la eventuale falsità di un atto del processo, e, segnatamente del verbale di udienza, non deve essere stabilita dal giudice civile ma deve essere accertata dal giudice penale che la verificherà sulla base delle ordinarie regole probatorie senza necessità di ricorrere al procedimento per “querela di falso” in guisa tale che la “falsità” del verbale deve essere dimostrata sulla base di prove raccolte con le regole applicabili al rito penale.

Ciò posto, pur lo scrivente condividendo tale orientamento nomofilattico in quanto frutto di un’attenta lettura del vigente quadro normativo a cui fare riferimento in relazione a tale tematica giudiricia, in presenza di un diverso orientamento ermeneutico con cui, al contrario, si sostiene che il verbale d’udienza nel procedimento penale fa piena prova fino a querela di falso di quanto in esso attestato, si ritiene come sia auspicabile che su tale questione intervengano le Sezioni Unite.

Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, per le ragioni appena espresse, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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