La Corte di Cassazione chiarisce in che modo ricorre il delitto di cui all’art. 348 c.p., con particolar riguardo alla professione di avvocato

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: Cod. pen. art. 348)

Il fatto

Si contestava al ricorrente il reato previsto dall’art. 348 cod. pen. poiché l’imputato aveva depositato presso la cancelleria del Tribunale di Crema due richieste di revoca degli arresti domiciliari esercitando di fatto la professione di avvocato senza essere iscritto all’albo.

La Corte di appello di Brescia, decidendo in seguito all’annullamento con rinvio della Cassazione, confermava l’accertamento di responsabilità effettuato dal Tribunale e lo condannava alla pena di euro 200,00. 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva violazione di legge e vizio di motivazione stante il fatto che la Corte di appello non avrebbe tenuto in considerazione le indicazioni contenute nella sentenza di annullamento e non avrebbe valutato il fatto che il ricorrente si era limitato a fare da tramite tra le persone ristrette e l’autorità giudiziaria, senza volere esercitare abusivamente la professione forense, ma solo aiutare i deleganti che non erano in grado di predisporle in proprio.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva considerato inammissibile alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava prima di tutto come non vi fosse alcuna violazione dell’art. 627 cod. proc. pen. posto che la Cassazione, nella sentenza rescindente, aveva presupposto l’esistenza della firma delle persone ristrette sulla istanza di sostituzione (pag. 2 della sentenza di annullamento) ed aveva invitato la Corte di merito ad integrare rilevate carenze motivazionali, sia in ordine all’esistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, sia in ordine alla possibilità di presentare atti giudiziaria servendosi di incaricati.

Si rilevava oltre a ciò che la Corte di appello di Brescia, tenendo in considerazione le indicazioni fornite dalla sentenza di annullamento, aveva rilevato come le istanze fossero state redatte dal C. a proprio nome, in qualità di patrocinatore delle persone ristrette, firmandole egli stesso, mentre le firme delle persone sottoposte agli arresti domicíliari comparivano solo nell’atto di delega (pag. 5 della sentenza impugnata) e tali emergenze, secondo l’apprezzamento della Corte di merito, erano incompatibili con l’esclusione dell’elemento soggettivo del reato contestato ed indicavano in modo inequivoco che il C. aveva svolto illecitamente un atto riservato agli iscritti all’albo degli avvocati  trattandosi di una motivazione priva di vizi logici che non si sottraeva agli oneri imposti dall’art. 627 cod. proc. pen..

Ciò posto, per quanto riguardava l’estensione oggettiva della fattispecie, il Supremo Consesso ribadiva come integri il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 cod. pen.) il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011) rilevandosi al contempo che era stato affermato, sempre in sede nomofilattica, da un lato, che il delitto previsto dall’art. 348 cod. pen., avendo natura istantanea, non esige un’attività continuativa od organizzata ma si perfeziona con il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione abusivamente esercitata (Sez. 6, n. 11493 del 21/10/2013; Sez. 6, n. 30068 del 02/07/2012; Sez. 6, n. 42790 del 10/10/2007), dall’altro, che integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 cod. pen.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa allorché l’attività venga svolta con modalità tali, per continuatività, onerosità ed organizzazione, da creare l’oggettiva apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (Sez. 6, n. 33464 del 10/05/2018).

Inoltre, per quanto attiene la professione di avvocato – una volta rilevato che l’art. 2, c. 5, legge 31 dicembre 2012, n. 247, recante la «Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense», stabilisce che sono attività esclusive dell’avvocato, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali mentre il successivo comma 6 aggiunge poi che, «fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, e’ di competenza degli avvocati» – si faceva presente che, con riferimento alla professione protetta dell’avvocato sia da considerarsi attività tipica lo svolgimento di qualunque atto idoneo ad incidere sulla progressione del procedimento e del processo svolto in piena rappresentanza degli interessati a nulla rilevando che l’atto poteva essere redatto personalmente dagli stessi mentre esulano dagli atti tipici solo le attività di consulenza, che possono divenire rilevanti solo se svolte in modo continuativo (Sez. 6, n. 17921 del 11/03/2003; contra Sez. 6, n. 32952 del 25/05/2017).

Tal che se ne faceva conseguire come l’attività contestata, ovvero la presentazione di una istanza di sostituzione della misura cautelare, sottoscritta unicamente dal ricorrente come rappresentante legale delle persone ristrette, si risolvi in una attività “tipica” di assistenza legale svolta in piena rappresentanza degli interessati non firmatari dell’atto trattandosi dunque di una condotta che integra il reato in contestazione anche se svolta in modo isolato e non abituale.

Da ciò, come visto prima, ne derivava l’inammissibilità del ricorso proposto in quanto la motivazione della sentenza impugnata si presentava priva di vizi logici e coerente con le indicate linee ermeneutiche sicché si sottraeva ad ogni censura.

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Conclusioni

La sentenza in commento è assai interessante in quanto, da un lato, chiarisce come possa ricorrere il delitto previsto dall’art. 348 cod. pen., dall’altro, specifica come ciò possa avvenire con particolar riguardo alla professione di avvocato.

Sotto il primo aspetto, difatti, gli ermellini, anche avvalendosi di pregressi orientamenti nomofilattici elaborati in subiecta materia, hanno formulato i seguenti principi di diritto: a) integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 cod. pen.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato; b) il delitto previsto dall’art. 348 cod. pen., avendo natura istantanea, non esige un’attività continuativa od organizzata ma si perfeziona con il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione abusivamente esercitata; c) integra il reato di esercizio abusivo di una professione (art. 348 cod. pen.), il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa allorché l’attività venga svolta con modalità tali, per continuatività, onerosità ed organizzazione, da creare l’oggettiva apparenza di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato.

Anche per quel che riguarda il secondo aspetto, il Supremo Consesso ha postulato in questa decisione che, con riferimento alla professione protetta dell’avvocato, è da considerarsi attività tipica lo svolgimento di qualunque atto idoneo ad incidere sulla progressione del procedimento e del processo svolto in piena rappresentanza degli interessati a nulla rilevando che l’atto poteva essere redatto personalmente dagli stessi mentre esulano dagli atti tipici solo le attività di consulenza, che possono divenire rilevanti solo se svolte in modo continuativo e, tra queste attività “abusive”, può essere annoverata la presentazione di una istanza di sostituzione della misura cautelare, sottoscritta unicamente dal ricorrente come rappresentante legale delle persone ristrette dato che essa si risolve in una attività “tipica” di assistenza legale svolta in piena rappresentanza degli interessati non firmatari dell’atto trattandosi dunque di una condotta che integra il reato in contestazione anche se svolta in modo isolato e non abituale.

La sentenza in questione, dunque, proprio perché fornisce tali chiarimenti, sia sul delitto di cui all’art. 348 c.p. tout court, sia nello specifico caso in cui sia svolta l’attività di avvocato in modo abusivo, non può non essere presa nella dovuta considerazione ove sia contestato questo illecito penale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa pronuncia, pertanto, non può che essere positivo.

 

 

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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