La sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420 bis c.p.p.

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Cassazione penale, sez. II, 8 luglio 2020 (ud. 8 luglio 2020, dep. 5 agosto 2020), n. 23575 (Presidente Verga, Relatore Verga)

 

(Annullamento senza rinvio)

 

(Riferimento normativo: C.p.p., art. 420-bis)

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

 

Si ricorreva per Cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello di Trento che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, aveva condannato l’imputato per violazione dell’art. 635, comma 2, n. 3 in relazione all’art. 625 c.p., comma 1, n. 7 (capo A), art. 624bis c.p., commi 1 e 3 (capo B) e art. 707 c.p. (capo C) dichiarava la nullità della condanna limitatamente al reato di cui all’art. 624 bis c.p. (capo B) per difetto di citazione a giudizio e per l’effetto rideterminava la pena con riguardo ai reati di danneggiamento e violazione dell’art. 707 c.p..

Deduceva il ricorrente: 1) nullità dell’esercizio dell’azione penale rilevando che il P.M., incurante dell’ordinanza del giudice di primo grado che in data 7.12.2015 in sede di prima udienza dibattimentale aveva rimesso il fascicolo al P.M. perché il reato di cui all’art. 624bis non era tra quelli procedibili con citazione diretta, aveva nuovamente esercitato l’azione penale negli stessi termini; 2) nullità della vocatio in ius anche per i capi A) e C) per invalidità della elezione di domicilio stante l’espresso rifiuto del difensore d’ufficio e stante la mancata conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana; 3) vizio di motivazione in ordine al giudizio di responsabilità; 4) vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p..

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

In ordine ai motivi addotti nel ricorso summenzionato, la Corte di Cassazione esaminava unicamente la seconda doglianza la quale veniva ritenuta fondata atteso che, nel caso di specie, si era proceduto in assenza dell’imputato ai sensi della L. 28 aprile 2014, n. 67 che ha introdotto il processo in assenza “volontaria” dell’imputato, stabilendo, all’art. 420 bis c.p.p., la possibilità di procedere in assenza dell’imputato solo quando lo stesso abbia avuto specifica conoscenza della fissazione del processo e per questo la norma richiede che l’imputato “abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza” ovvero risulti “con certezza” che sappia del procedimento oppure si sia “volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo” atteso che il processo in assenza non prevede alcuna forma di “conoscenza presunta” ma solo, a determinate condizioni, la “volontaria sottrazione” alla conoscenza.

La nuova disciplina, quindi, prevede che vi deve essere la necessaria effettiva conoscenza del processo perché si possa procedere e, inoltre, non valorizza la “colpa” in generale nella mancata acquisizione della notizia del processo ma introduce previsioni di alcune particolari situazioni tipiche in cui l’interessato ha avuto adeguata contezza delle accuse e, quindi, ha un onere di “tenersi informato“.

Per quanto rileva nella fattispecie in esame, gli Ermellini osservavano che, come affermato dalle SS.UU nella sentenza n. 28912 del 2019, va considerato, con riferimento ai casi tipizzati di “conoscenza“, che dichiarazione, elezione domicilio e nomina di un difensore di fiducia appaiono prima facie indicare un livello di conoscenza del procedimento anche nella fase iniziale da cui deriva una sorta di onere a carico della parte di “tenersi informato” e che la introduzione, con L. 23 giugno 2017, n. 103, del comma 4 bis dell’art. 162 c.p.p. (“l’elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio non ha effetto se l’autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l’assenso del difensore domiciliatario”) ha sostanzialmente inteso ridurre al minimo un tipico ambito di possibili elezioni di domicilio “disattente” così come allo stesso modo viene considerata la sottoposizione a misura cautelare sul presupposto che un simile onere si pone a carico di colui che è stato condotto, ancorché nella sola fase del subprocedimento cautelare, innanzi al giudice.

In sintesi viene richiesta un’attività della “giurisdizione” mentre, al di fuori di questi casi, è richiesta o la notifica personale dell’avviso della “udienza“, quindi soltanto la vacatio in iudicium, o la certezza di conoscenza del “procedimento“.

Ciò posto, una volta fatto presente che, come già esposto in precedenza, il processo in assenza non prevede alcuna forma di “conoscenza presunta” ma solo, a determinate condizioni, la “volontaria sottrazione” alla conoscenza e tale volontaria sottrazione alla conoscenza è oggetto di una presunzione relativa in caso di inottemperanza all’onere di informazione che deriva dalle situazioni tipizzate dall’art. 420-bis c.p.p., con possibilità per l’assente di fornire prova contraria tenuto conto altresì del fatto che, secondo il più recente orientamento delle Sezioni Unite, la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420 bis c.p.p., dovendo il giudice verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso (Sez. Un. 28 novembre 2019, principio espresso con riferimento ad una fattispecie rientrante nella disciplina previgente alla introduzione del comma 4-bis dell’art. 162 c.p.p.).

Orbene, a fronte di tale approdo ermeneutico, veniva al contempo fatto presente come vi siano orientamenti conformi a quanto già stabilito da questa sezione in altra precedente pronuncia secondo la quale, in tema di processo celebrato in assenza dell’imputato, la conoscenza dell’esistenza del procedimento penale a carico dello stesso non può essere desunta dalla mera elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata, nell’immediatezza dell’accertamento del reato, in sede di redazione del verbale di identificazione d’iniziativa della polizia giudiziaria (Sez. 2, n. 9441 del 24/01/2017) evidenziandosi al contempo come in motivazione fossero stati richiamati altri precedenti di legittimità dove era affermato che: a) “la effettiva conoscenza del procedimento non può farsi coincidere con la conoscenza di un atto posto in essere a iniziativa della polizia giudiziaria anteriormente alla sua formale instaurazione, che si realizza solo con l’iscrizione del nome della persona sottoposta a indagini nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. Fattispecie nelle quali l’imputato, in occasione della redazione, in sua presenza, da parte della polizia giudiziaria dei verbali di identificazione e di sequestro del corpo del reato, nominava ed eleggeva domicilio presso un difensore, ove, da quel momento, venivano notificati tutti gli atti processuali, dei quali, però, non aveva conoscenza, avendo da subito interrotto ogni rapporto con il legale. (Cass. n. 44123/2007; n. 39818/2010; n. 4987/2011; n. 12630/2015)”; b) “tale interpretazione, pur formatosi in costanza di normativa ante Novella, non può non trovare applicazione anche con riferimento alle nuove disposizioni, emanate proprio per fronteggiare le criticità segnalate nei confronti del c.d. “processo contumaciale” al fine di evitare con l’introduzione di strumenti preventivi processi a carico di contumaci inconsapevoli”.

Ciò detto, veniva rilevato come, nel caso in esame, il ricorrente avesse eletto domicilio in sede di identificazione da parte della polizia giudiziaria presso il difensore d’ufficio che da subito rifiutava detta elezione presso il quale erano stati notificati tutti gli atti processuali dei quali, però, l’imputato non aveva avuto conoscenza essendo stati da subito interrotti i rapporti con il legale.

Nel momento in cui si era proceduto in assenza dell’imputato, per la Corte di legittimità, non vi era pertanto la prova dell’effettiva conoscenza del procedimento da parte del ricorrente e, quindi, la sentenza impugnata e la sentenza di primo grado dovevano essere annullate senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Trento con diverso giudice per l’ulteriore corso considerato che per i reati in esame l’esercizio dell’azione penale è a citazione diretta.

 

Conclusioni

 

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui si afferma, sulla scorta di quanto affermato recentemente dalle Sezioni Unite, che la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420 bis c.p.p., dovendo il giudice verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso.

Dunque, tale pronuncia deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare se la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420-bis c.p.p. sia stata correttamente emessa o meno.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica procedurale, dunque, di conseguenza, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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