Il sollecito del promissario acquirente per la stipula del contratto definitivo impedisce la prescrizione

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Il caso

La pronuncia in commento origina dal contenzioso sorto tra le parti di un contratto preliminare avente ad oggetto l’acquisto di un immobile. Dopo la stipulazione del preliminare e il pagamento dell’intero prezzo, la cessione non si era, infatti, formalizzata in atto pubblico nonostante il sollecito del promissario acquirente che aveva agito per ottenere sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c.

Il promissario alienante, costituitosi in giudizio, aveva eccepito la prescrizione del diritto azionato.

Il Tribunale rigettava la domanda attorea – decisione confermata poi anche in appello – ritenendo che gli atti di interruzione della prescrizione sono quelli tipizzati negli artt. 2943 e 2944 c.c., in mancanza dei quali nessuna efficacia interruttiva poteva essere riconosciuta alle ripetute dichiarazioni del proprietario del bene di essere disponibile alla stipula del contratto definitivo.

Il promissario acquirente ricorreva, quindi, per Cassazione deducendo a sostegno 6 motivi.

I motivi di ricorso

Per quanto di interesse con il quinto motivo il ricorrente censura, in relazione all’art. 360 co. 1 nn. 3 e 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 100, 101, 115, 116, 156, 159, 245, 228, 230, 231 e 232 c.p.c., per avere la corte d’appello ritenuto, allo stesso modo del giudice di prime cure, irrilevanti ai fini dell’efficacia interruttiva della prescrizione, le ripetute dichiarazioni del proprietario del bene di essere disponibile alla stipula del contratto definitivo o al suo disinteresse alle vicende condominiali e, in ragione di ciò, ritenuto irrilevante la prova testimoniale richiesta sul dette circostanze.

La decisione della corte

La Corte di Cassazione ha accolto il quinto motivo di ricorso e cassato la sentenza con rinvio alla Corte d’appello in diversa composizione.

La seconda sezione precisa, in primo luogo, che l’eccezione di interruzione della prescrizione, in quanto eccezione in senso lato, può essere rilevata d’ufficio dal giudice in qualunque stato e grado del processo sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti in atti, onde, a tal fine, per decidere sulla questione di prescrizione introdotta dalla parte convenuta, il giudice deve tener conto del fatto, anche dedotto in giudizio prima della suddetta eccezione, idoneo a produrre l’interruzione, qualora l’attore abbia affermato il proprio diritto ritualmente e rettamente provandone la sussistenza e la persistenza (cfr. Cass. 9053/2007; 13966/2007; Sez. Un. 15661/2005).

Sulla scorta di queste considerazioni la Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha statuito che, nel caso di specie, il giudice d’appello non ha correttamente valutato l’allegata circostanza della ripetuta disponibilità manifestata dal convenuto a stipulare il contratto definitivo. Si tratta, cioè, di un comportamento che appare oggettivamente idoneo ad interrompere il decorso della prescrizione e che, al contrario, non risulta correttamente sussunto dalla corte territoriale nell’ambito dei principi di diritto che disciplinano la materia della prescrizione, in particolare, nell’art. 2937 co. 3 c.c., che prevede la rinuncia alla prescrizione risultante da un fatto incompatibile con la volontà di avvalersene.

L’eccezione di rinuncia alla prescrizione configura, peraltro, un’eccezione in senso lato e può essere presa in esame d’ufficio dal giudice purché i fatti sui quali si fonda anche se non allegati dalle parti, siano stati ritualmente acquisiti al processo (cfr. Cass. 963/1996; 7411/2003; 4804/2007; 24113/2015).

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Avv. Mazzei Martina

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