L’amministratore può proporre una domanda di rivendica per usucapione di un’area adiacente al fabbricato solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati

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riferimenti normativi: artt. 1158; 1159 c.c.

precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. II, Sentenza del 03/04/2003 n. 5147

La vicenda

L’amministratore proponeva domanda di rivendica per usucapione di un’area adiacente al caseggiato. In particolare richiedeva che fosse accertato l’acquisto per usucapione abbreviata, ai sensi dell’art. 1159 c.c. del cortile sopra detto o, in via subordinata, l’acquisto per usucapione ordinaria, ai sensi dell’art. 1158 c.c. del predetto immobile. Del resto, il condominio notava che il regolamento condominiale, assunto con delibera assembleare molti anni prima, qualificava il cortile come bene comune, con la conseguenza che fin da subito i condomini avevano posseduto l’area con la convinzione di agire come comproprietari in piena buona fede. I proprietari del cortile eccepivano il difetto di legittimazione attiva del condominio per mancanza di una delibera assunta all’unanimità che autorizzasse l’amministratore ad agire nei loro confronti a tutela dei diritti reali dei singoli condomini. Il Tribunale dichiarava il difetto di legittimazione attiva del condominio; rigettava la domanda di accertamento dell’usucapione abbreviata; tuttavia accertava e dichiarava che i condomini attori erano proprietari, per quote ideali, in virtù di acquisto fattone per usucapione, del cortile; al contrario la Corte d’Appello, invece, in parziale riforma della sentenza appellata, respingeva la domanda di usucapione ordinaria. La Corte distrettuale, tra l’altro, evidenziava l’insussistenza della legittimazione dell’amministratore, in mancanza di una espressa totalitaria autorizzazione ad agire da parte dei condomini.

La questione

L’amministratore può proporre una domanda di rivendica per usucapione di un’area adiacente al fabbricato senza essere autorizzato dai condomini o con delibera autorizzativa assunta a maggioranza della collettività condominiale?

La soluzione

La Cassazione ha dato ragione ai proprietari del cortile.

Secondo i giudici supremi, la proposizione di una domanda diretta non alla difesa della proprietà comune ma a rivendicare l’appartenenza al condominio di un’area adiacente al fabbricato condominiale (che si ritiene acquistata per usucapione) implica non solo l’accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati: di conseguenza, per gli stessi giudici supremi, esorbita dai poteri deliberativi dell’assemblea e dai poteri di rappresentanza dell’amministratore, il quale può esercitare la relativa azione solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino.

Le riflessioni conclusive

L’amministratore non è legittimato, senza l’autorizzazione dell’assemblea, ad esperire azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti concernenti le parti comuni dell’edificio.

Infatti, l’azione petitoria contro un terzo, che vanta diritti sulle cose comuni, produce effetti definitivi sulla condizione giuridica di queste, per cui non può rientrare nella categoria degli atti conservativi.

Alla luce di quanto sopra si può affermare che l’azione di rivendicazione richiede un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino (Cass. civ., sez.II, 8/01/2015, n.40).

Allo stesso modo, ai sensi degli art. 1130 c.c. e 1131 c.c., 1° comma, l’esperimento da parte dell’amministrazione del condominio di edificio di “actio confessoria servitutis“, nei confronti del singolo condomino o del terzo, richiede l’autorizzazione dell’assemblea o il mandato espresso dei singoli partecipanti, vertendosi in tema di azione reale con finalità non meramente conservativa, la quale esula dai limiti delle normali attribuzioni dell’amministratore (Cass. civ., Sez. II, 25/06/1994, n. 6119); alle stesse conclusioni si deve arrivare per la domanda diretta ad ottenere la costituzione di una servitù di transito a carico di terzi, perché comporta l’estensione del diritto dominicale di ciascun condomino.

In ogni caso – come nel caso sopra esaminato – anche la domanda di rivendica, proposta dall’amministratore per usucapione di un’area finitima al fabbricato, è del tutto estranea al meccanismo deliberativo dell’assemblea condominiale e può essere avanzata in giudizio, pertanto, solo in virtù di un mandato speciale rilasciato da ciascuno dei condomini interessati. Del resto, merita di essere ricordato che anche il contratto stipulato dall’amministratore, qualora implichi l’obbligo di sostenere le spese relative ad un bene non rientrante tra le parti comuni dell’edificio condominiale, assume efficacia vincolante nei confronti dei condomini solo in virtù di uno speciale mandato rilasciato da ciascuno di essi o della ratifica del pari proveniente da ognuno (si pensi, ad esempio, al contratto avente ad oggetto l’assunzione di oneri di manutenzione di un cancello elettrico utilizzato dai condomini per il transito su di un’area di proprietà esclusiva di un terzo); si tratta infatti di un’altra ipotesi estranea all’ambito di operatività dei poteri rappresentativi di cui agli artt. 1130 e 1131 c.c. per cui è necessaria la sussistenza, in capo all’amministratore predetto, di un potere di rappresentanza convenzionale.

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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