Cosa postula la concessione della misura dell’affidamento in prova

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La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando può essere concesso l’affidamento in prova al servizio sociale.

Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di plurimi precedenti conformi, dopo essersi fatto presente che la concessione della misura dell’affidamento in prova postula il positivo accertamento delle condizioni per realizzare il reinserimento del sottoposto e, al contempo, prevenire l’eventuale commissione di nuovi reati e a tal fine vanno valutati una serie di indici predittivi tra i quali la giurisprudenza di legittimità colloca anche l’atteggiamento rispetto al reato commesso, siccome significativo di una scelta favorevole a un percorso di risocializzazione o, al contrario, di una attuale permeabilità a logiche di natura deviante o finanche delinquenziale, si afferma che, ai fini del giudizio prognostico favorevole, condizione per l’ammissione al beneficio richiesto, la natura e la gravità dei reati per i quali è stata irrogata la pena in espiazione, deve costituire, unitamente ai precedenti, alle pendenze e alle informazioni degli organi di Pubblica Sicurezza, il punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto la cui compiuta ed esauriente valutazione non può mai prescindere dalla condotta tenuta successivamente e dai comportamenti attuali, risultando questi essenziali ai fini della ponderazione dell’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva, fermo restando che, fra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica, possono essere annoverati l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l’attaccamento al contesto familiare e l’eventuale buona prospettiva di risocializzazione.

Indice:

Il fatto

Il Tribunale di Sorveglianza di Catania rigettava un’istanza di ammissione alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, ritenendo la misura inidonea, sia per la gravità dei fatti per i quali aveva riportato condanna, sia per il giudizio negativo sulla personalità del richiedente.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la predetta ordinanza proponeva ricorso per Cassazione l’interessato, a mezzo del difensore, che deduceva con unico motivo, vale a dire carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, in ordine al giudizio di pericolosità sociale del ricorrente, che, a suo avviso, era basato su elementi generici, se non inesistenti o incoerenti, come quelli contenuti nella nota informativa dei Carabinieri e che, sempre a suo dire, era il frutto di una lettura superficiale degli argomenti difensivi

Sull’argomento, vedasi: “L’affidamento in prova ai servizi sociali

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era ritenuto infondato e, in quanto tale, non stimato meritevole di accoglimento, per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito – dopo essersi fatto presente che, in linea generale, la concessione della misura dell’affidamento in prova postula il positivo accertamento delle condizioni per realizzare il reinserimento del sottoposto e, al contempo, prevenire l’eventuale commissione di nuovi reati e a tal fine vanno valutati una serie di indici predittivi tra i quali la giurisprudenza di legittimità colloca anche l’atteggiamento rispetto al reato commesso, siccome significativo di una scelta favorevole a un percorso di risocializzazione o, al contrario, di una attuale permeabilità a logiche di natura deviante o finanche delinquenziale – come sia stato in particolare chiarito che, ai fini del giudizio prognostico favorevole, condizione per l’ammissione al beneficio richiesto, la natura e la gravità dei reati per i quali è stata irrogata la pena in espiazione, deve costituire, unitamente ai precedenti (sez. 1, n. 1812 del 4/3/1999), alle pendenze e alle informazioni degli organi di Pubblica Sicurezza (sez. 1, n. 1970 dell’11/3/1997), il punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto, la cui compiuta ed esauriente valutazione non può mai prescindere dalla condotta tenuta successivamente e dai comportamenti attuali, risultando questi essenziali ai fini della ponderazione dell’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva (sez. 1, n. 6783 del 13/12/1996; sez. 1, n. 688 del 5/2/1998; sez. 1, n. 371 del 15/11/2001, dep. 8/1/2002, omissis, rv. 220473; sez. 1, n. 31809 del 9/7/2009; sez. 1, n. 31420 del 5/5/2015), rilevandosi al contempo che, fra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica, possono essere annoverati l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l’attaccamento al contesto familiare e l’eventuale buona prospettiva di risocializzazione (sez. 1, n. 44992 del 17/9/2018, S., rv. 273985).

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, gli Ermellini notavano come l’ordinanza impugnata avesse compiuto un’attenta ponderazione dei predetti indici predittivi, valutando la tipologia di reati commessi dall’istante, la loro particolare gravità, la pendenza di ulteriore procedimento penale, una denuncia sporta dalla madre per fatti di ingiurie, minacce e lesioni, la detenzione di tre fucili da caccia regolarmente denunciati, le problematiche psichiatriche che avevano indotto alla sua sottoposizione a TSO, in guisa tale che, ad avviso della Suprema Corte, da tali elementi, con corretto procedimento inferenziale, era stato dedotto il giudizio di pericolosità sociale del condannato, l’indole particolarmente violenta caratterizzata da incapacità di contenere da sé le spinte criminose e l’impossibilità di una prognosi favorevole circa la futura astensione dalla commissione di altri reati.

Tal che alla luce di tale scrutinio giurisdizionale, per la Corte di legittimità, il giudizio così espresso si era basato sui dati conoscitivi disponibili, correttamente apprezzati e si manteneva nei limiti di una fisiologica opinabilità di valutazione in assenza dei lamentati aspetti di carenza o manifesta illogicità motivazionale denunciati in ricorso che in realtà sollecitava una differente valutazione di merito, pacificamente preclusa alla potestà decisoria del giudice di legittimità.

Infine, non era reputato suscettibile di censura nemmeno il minore rilievo assegnato dal Tribunale di Sorveglianza al percorso trattamentale seguito in carcere rispetto alla valutazione di perdurante pericolosità del detenuto posto che, secondo la Suprema Corte, le conclusioni della relazioni di sintesi non esplicavano effetti vincolanti per il giudizio di competenza del giudice che era tenuto a prendere in esame le riferite informazioni sulla personalità e lo stile di vita dell’interessato, «parametrandone la rilevanza ai fini della decisione alle istanze rieducative e ai profili di pericolosità dell’interessato, secondo la gradualità che governa l’ammissione ai benefici penitenziari» (Sez. 1, n. 23343 del 23/03/2017; in termini anche Sez. 1, n. 53761 del 22/09/2014), fermo restando che era, invece, obbligato a recepire le valutazioni ed i giudizi di opportunità espressi dal personale penitenziario che, in quanto contenuti in atto amministrativo, non vincolano la libertà cognitiva del giudice, soggetto soltanto alla legge per precetto costituzionale.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quando può essere concesso l’affidamento in prova al servizio sociale.

Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di plurimi precedenti conformi, dopo essersi fatto presente che la concessione della misura dell’affidamento in prova postula il positivo accertamento delle condizioni per realizzare il reinserimento del sottoposto e, al contempo, prevenire l’eventuale commissione di nuovi reati e a tal fine vanno valutati una serie di indici predittivi tra i quali la giurisprudenza di legittimità colloca anche l’atteggiamento rispetto al reato commesso, siccome significativo di una scelta favorevole a un percorso di risocializzazione o, al contrario, di una attuale permeabilità a logiche di natura deviante o finanche delinquenziale, si afferma che, ai fini del giudizio prognostico favorevole, condizione per l’ammissione al beneficio richiesto, la natura e la gravità dei reati per i quali è stata irrogata la pena in espiazione, deve costituire, unitamente ai precedenti, alle pendenze e alle informazioni degli organi di Pubblica Sicurezza, il punto di partenza dell’analisi della personalità del soggetto la cui compiuta ed esauriente valutazione non può mai prescindere dalla condotta tenuta successivamente e dai comportamenti attuali, risultando questi essenziali ai fini della ponderazione dell’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del pericolo di recidiva, fermo restando che, fra gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica, possono essere annoverati l’assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, la congruità della condanna, l’attaccamento al contesto familiare e l’eventuale buona prospettiva di risocializzazione.

Tale provvedimento, quindi, può essere preso nella dovuta considerazione al fine di valutare quali argomentazioni addurre per potere fare ottenere al proprio assistito l’accesso a questa misura alternativa alla detenzione.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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