La sentenza di condanna per un determinato reato non è sufficiente a determinare la cosa giudicata

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SOMMARIO: Il fatto – I motivi addotti nel ricorso per Cassazione – La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione – Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione – Conclusioni

 

Il fatto

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato una istanza con cui era stato chiesto l’annullamento dell’ordine di esecuzione emesso a carico del medesimo a causa dell’assenza di definitività della sentenza resa dallo stesso Giudice per le indagini preliminari, essendo stato proposto avverso questa sentenza ricorso per Cassazione da parte dell’imputato ed essendo stata proposta impugnazione anche da parte del Pubblico ministero.

In particolare, a ragione del provvedimento, il giudice emittente aveva ritenuto come, ai fini dell’esecutività della decisione, non rilevasse che era stata proposta impugnazione in merito alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e che il Pubblico ministero aveva impugnato la medesima sentenza per l’omessa applicazione della confisca, ritenuta obbligatoria.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato era proposto ricorso per Cassazione con il quale veniva dedotta la violazione degli artt. 648, 650 e 588 cod. proc. pen. e la mancanza di motivazione sul punto decisivo inerente alla sopraggiunta irrevocabilità attribuita alla sentenza impugnata.

La difesa, premesso che al ricorrente era stata applicata, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di anni quattro, mesi quattro di reclusione per i delitti di cui agli artt. 416 cod. pen., 2, 8, 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e 2621 cod. civ., sottolineava come si fosse trattato di sentenza impugnata con ricorso per Cassazione proposto nell’interesse dell’imputato, come da certificato accluso, ma, ciò nonostante, era stato emesso l’ordine di esecuzione con contestuale provvedimento di sospensione, essendosi ignorata completamente la pendenza dell’impugnazione, laddove il combinato disposto degli artt. 588 e 650 cod. proc. pen. riconnette l’esecutività delle sentenze alla loro irrevocabilità, di guisa che, ove sia stato proposto ricorso per Cassazione, la sentenza irrevocabile dal giorno in cui è pronunciata l’ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso.

Il contrario avviso espresso dal giudice dell’esecuzione – nel senso che, risultando impugnate rispettivamente dalla difesa e dal Pubblico ministero le statuizioni relative alla pena accessoria e alla confisca, la sentenza era da ritenersi irrevocabile quanto alla statuizione relativa alla pena principale – veniva stigmatizzata in quanto stimata priva di base normativa dal momento che la clausola di salvezza contemplata nell’art. 650 cit. riguarda altre ipotesi, in particolare quelle relative alla previsione di esecutività di determinate statuizioni, ma non afferisce alla situazione in esame.

Quanto, poi, all’altra ipotesi di scissione tra irrevocabilità ed esecutività costituita dal giudicato progressivo, essa – sottolineava il ricorrente – inerisce alle ipotesi di annullamento parziale della sentenza da parte della Corte di Cassazione e riguarda i capi della sentenza non annullati, caso estraneo a quello in esame, mentre congruente viene ritenuto il richiamo alla giurisprudenza di legittimità che ha ribadito il principio secondo cui, nell’ipotesi di patteggiamento con applicazione di una misura di sicurezza o di una pena accessoria non oggetto di preventivo accordo dalle parti, risulta ammissibile il ricorso per cassazione.

Conclusivamente, non versandosi in uno dei casi eccezionali previsti dall’ordinamento di scissione fra irrevocabilità ed esecutività, il giudice dell’esecuzione, secondo la difesa, avrebbe dovuto annullare, in quanto illegittimamente emesso, l’ordine di esecuzione: e ciò non aveva fatto senza fornire una motivazione effettiva.

 

La posizione assunta dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

 

Il Procuratore generale, a sua volta, chiedeva l’annullamento senza rinvio il provvedimento, con restituzione degli atti al giudice a quo, in quanto, al di là della lettera dell’art. 648 cod. proc. pen., l’impugnazione proposta dall’imputato riguardava comunque il trattamento sanzionatorio, sebbene con riferimento alla pena accessoria, sicché non avrebbe potuto escludersi che all’esito si fosse rimessa in discussione la stessa pena principale, in relazione a profili rilevabili di ufficio, in tal senso essendo necessario garantire l’unitarietà dell’esecuzione.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

La Corte di Cassazione riteneva come l’impugnazione fosse fondata per le seguenti ragioni.

In particolare, veniva reputato il ragionamento seguito dal giudice dell’esecuzione – con riguardo all’assorbente questione relativa all’impugnazione proposta avverso l’applicazione della pena accessoria – non in linea con il corretto inquadramento dei concetti di irrevocabilità ed eseguibilità della sentenza, in ipotesi di impugnazione della stessa riguardante soltanto alcuni punti della decisione.

Sul tema, per la Corte di legittimità, occorreva prestare adesione, ribadendone le coordinate, all’indirizzo, ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, con particolare riferimento alle puntualizzazioni espresse dalle Sezioni Unite, in merito alla necessità dell’avvenuta definizione della regiudicanda relativa al capo della sentenza ai fini della legittimazione alla corrispondente esecuzione.

Muovendo dal discrimine fra i concetti di capi e di punti della sentenza, si afferma che la cosa giudicata debba formarsi sul capo, non sul punto: la sentenza, quindi, raggiunge l’irrevocabilità solo quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell’imputato rispetto al reato attribuitogli.

I punti della sentenza, quindi, non sono suscettibili di acquistare autonoma autorità di giudicato, in relazione ad essi potendo soltanto formarsi la preclusione conseguente all’effetto devolutivo delle impugnazioni e al connesso principio della disponibilità del processo nella fase impugnatoria, in virtù del quale il giudice non può esaminare questioni relative ai punti a lui non devoluti con l’atto di impugnazione, salvo che venga in rilievo il potere-dovere di rilevarne alcuna di ufficio.

Il giudicato, però, si coordina soltanto con la definizione dell’intera regiudicanda inerente al capo di imputazione, e non con le singole componenti della medesima, pur se rispetto a tali componenti la decisione può emettere autonome statuizioni, comunque destinate conclusivamente a convergere nella pronuncia finale sull’imputazione stessa.

In tal senso, la Cassazione riteneva che, a fronte della sentenza di condanna per un determinato reato, i punti della decisione concernenti la responsabilità dell’imputato, l’accertamento delle circostanze, la determinazione della pena siano ricompresi nel medesimo capo della decisione, pur cui l’omessa impugnazione del punto inerente alla responsabilità determina la preclusione della susseguente cognizione sul medesimo, ma non è sufficiente a determinare la cosa giudicata per quel reato se, nel contempo, si sia registrata l’impugnazione inerente a un altro punto del capo, particolarmente al capo della pena.

Il giudicato, dunque, per la Corte di legittimità, si forma solo quando tutti i punti relativi al capo sono definiti dal giudice dell’impugnazione e le relative statuizioni non sono censurate con ulteriori mezzi, giacché soltanto quando sussista tale condizione si deve considerare consumato il potere decisorio del giudice dell’impugnazione, anche con riguardo alle questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo (v. la specifica analisi di Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, e Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006; v., di recente, nell’ambito di un’analisi più vasta, afferente alla sfera di applicabilità dell’art. 624 cod. proc. pen., la motivazione di Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020, dep. 2021).

Oltre a ciò, era rilevato che, anche con riferimento alla sentenza emessa ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen., non è escluso, d’altronde, che possano porsi questioni idonee a influire sull’esecutività del capo oggetto della decisione (per ogni dettaglio in merito all’impugnazione delle statuizioni inerenti a patteggiamento regolata dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., si rimandava a Sez. U, n. 21368 del 26/09/2019, e Sez. U, n. 21369 del 26/09/2019).

Con particolare riferimento al rilievo del punto inerente all’applicazione delle pene accessorie, veniva osservato come sia stato già ritenuto che anche tale punto, ove ancora controverso, precluda la formazione del giudicato sul corrispondente capo, essendosi precisato, in tema di ricorso per Cassazione, che l’annullamento del punto della decisione di merito concernente la pena accessoria irrogata per un determinato reato (nel caso di specie, quella prevista dall’art. 216, ultimo comma, r.d. 18 marzo 1942 n. 267, divenuta illegale a seguito della sentenza Corte cost., n. 222 del 2018) è tale da comportare la valida instaurazione del rapporto processuale in relazione al pertinente capo di imputazione, consentendo l’utile decorso del termine di prescrizione del reato fino alla sentenza di legittimità (Sez. 5, n. 26409 del 07/05/2019).

Nello stesso solco, è stato chiarito che, nel caso di ricorso per Cassazione articolato in più motivi avverso una sentenza avente ad oggetto un solo reato, la fondatezza del motivo concernente la pena accessoria – da ritenere a tutti gli effetti punto della decisione – comporta la valida instaurazione del rapporto processuale in relazione al capo di imputazione cui si riferisce e, così, determina l’effetto della rilevazione dell’eventuale estinzione del reato per prescrizione (Sez. 6, n. 58095 del 30/11/2017).

Il Collegio riteneva quindi condivisibili le ragioni poste alla base degli arresti ora richiamati in ordine al mancato conseguimento della cosa giudicata da parte del capo in relazione al quale l’impugnazione si sia concentrata – come era avvenuto nella fattispecie in esame – nella contestazione della legittimità della pena accessoria applicata a seguito dell’accertamento del corrispondente reato.

Di conseguenza, si concludeva nel senso di rilevare come il giudice dell’esecuzione avesse errato nel non tenere conto del rilievo giuridico svolto dall’impugnazione da parte dell’imputato della statuizione relativa all’applicazione nei suoi confronti della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, conseguente alla fattispecie delittuosa ascritta, ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen., allo scopo di valutare la legittimità dell’ordine di esecuzione, naturalmente con riferimento al titolo costituito dalla sentenza del 30 ottobre 2020, applicativa di quella pena.

 

Conclusioni

 

La decisione desta un certo interesse specialmente nella parte in cui si afferma che, a fronte della sentenza di condanna per un determinato reato, i punti della decisione concernenti la responsabilità dell’imputato, l’accertamento delle circostanze, la determinazione della pena siano ricompresi nel medesimo capo della decisione, pur cui l’omessa impugnazione del punto inerente alla responsabilità determina la preclusione della susseguente cognizione sul medesimo, ma non è sufficiente a determinare la cosa giudicata per quel reato se, nel contempo, si sia registrata l’impugnazione inerente a un altro punto del capo, particolarmente al capo della pena.

Orbene, ad avviso di chi scrive, tale importante precisazione compiuta dalla Suprema Corte non può che essere posta in stretta correlazione, da un lato, con l’art. 624, co. 1, cod. proc. pen. nella parte in cui è ivi stabilito che, se “l’annullamento non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata”, dall’altro, con quell’orientamento nomofilattico, così come cristallizzato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 3423 del 20/10/2020, secondo cui, in caso di annullamento parziale della sentenza di condanna, ai sensi dell’art. 624 c.p.p., è eseguibile la pena principale irrogata in relazione ad un capo (o a più capi), non in connessione essenziale con quelli attinti dall’annullamento, per il quale abbiano acquistato autorità di cosa giudicata i punti relativi all’affermazione di responsabilità, anche in relazione alle circostanze del reato, ed alla determinazione della pena principale, individuata alla stregua delle sentenze pronunciate in sede di cognizione ed immodificabile nel giudizio di rinvio.

Dunque, se è vero che, come indicato nella pronuncia qui in commento, l’omessa impugnazione della sentenza sui punti della decisione concernenti la responsabilità dell’imputato, l’accertamento delle circostanze, la determinazione della pena ricompresi nel medesimo capo della decisione non è sufficiente a determinare la cosa giudicata per quel reato se, nel contempo, si sia registrata l’impugnazione inerente a un altro punto del capo, particolarmente al capo della pena, è altrettanto vero però che, alla stregua dell’arresto giurisprudenziale appena citato, ciò si verifica solo se la pena principale, irrogata in relazione ad un capo (o a più capi), non sia in connessione essenziale con quelli attinti dall’annullamento dato che, ove tale connessione non ci sia, acquistano autorità di cosa giudicata i punti relativi all’affermazione di responsabilità, anche in relazione alle circostanze del reato, ed alla determinazione della pena principale, individuata alla stregua delle sentenze pronunciate in sede di cognizione ed immodificabile nel giudizio di rinvio.

Dunque, tale verifica in ordine alla sussistenza di siffatta connessione essenziale rappresenta sicuramente, anche tenuto conto di quanto sancito dall’art. 624, co. 1, cod. proc. pen., una condicio sine qua non affinchè l’affermazione giuridica contenuta nella pronuncia qui in commento, poc’anzi riportata in queste stesse conclusioni, possa ritenersi validamente operante.

Ciò posto, va altresì osservato che, sebbene in questa sentenza, si richiami quell’orientamento ermeneutico secondo cui la fondatezza del motivo concernente la pena accessoria – da ritenere a tutti gli effetti punto della decisione – comporta la valida instaurazione del rapporto processuale in relazione al capo di imputazione cui si riferisce e, così, determina l’effetto della rilevazione dell’eventuale estinzione del reato per prescrizione (Sez. 6, n. 58095 del 30/11/2017), tale approdo interpretativo deve essere comunque parametrato in relazione a quell’altro indirizzo nomofilattico secondo cui l’“annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione per motivi che non riguardano l’affermazione di responsabilità dell’imputato determina il passaggio in giudicato della sentenza sul punto e conseguentemente comporta che nel successivo giudizio di rinvio non decorrono ulteriormente i termini di prescrizione” (Cass. pen., sez. V, 19/09/2019, n. 51098).

Orbene, anche alla luce della recente previsione di legge, inserita nel “nuovo” art. 161-bis, co. 2, cod. pen. che, come è noto, stabilisce che, nel “caso di annullamento che comporti la regressione del procedimento al primo grado o a una fase anteriore, la prescrizione riprende il suo corso dalla data della pronunzia definitiva di annullamento”, sarebbe auspicabile che la Cassazione chiarisca, nel caso di annullamento con rinvio, se e da quando ri-decorrono i termini della prescrizione, stante le evidenti ricadute applicative che un siffatto “chiarimento” potrebbe avere proprio in relazione a quanto sancito da siffatta disposizione legislativa.

Ad ogni modo, sarebbe auspicabile che, per entrambe le questioni giuridiche accennate in questo commento, intervengano (in parte, nuovamente) le Sezioni Unite.

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