La Cassazione chiarisce in che modo è applicabile l’art. 231, c. 2, c.p.: vediamo come

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Cassazione penale, sez. I, 9 luglio 2020 (ud. 9 luglio 2020, dep. 11 agosto 2020), n. 23857 (Presidente Boni, Relatore Renoldi)

 

(Annullamento con rinvio)

 

(Riferimento normativo: C.p., art. 231, c. 2)

 

Il fatto

 

Il Magistrato di sorveglianza di Roma disponeva nei confronti di taluno l’aggravamento in casa di lavoro, per la durata di un anno, della misura di sicurezza della libertà vigilata, applicatagli con ordinanza dello stesso Magistrato.

Detto aggravamento, in particolare, conseguiva all’aumentata pericolosità del sottoposto desunta: 1) dal suo arresto in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma per una rapina aggravata in danno di una donna: ordinanza confermata dal Tribunale del riesame; 2) dal rinvenimento di 0.6 grammi di cocaina presso il suo domicilio in occasione di una perquisizione domiciliare; 3) dalla omessa presentazione all’Autorità di P.S. nonché da un controllo avvenuto in compagnia della fidanzata pregiudicata: fatti per cui era stato diffidato.

Avverso il predetto provvedimento era stato proposto appello fondato sulla eccessiva severità dell’ordinanza del Magistrato di sorveglianza; la difesa aveva successivamente fatto presente che, per i fatti di rapina, era intervenuta nei confronti del prevenuto sentenza di assoluzione del 9/10/2019.

Con ordinanza, il Tribunale di sorveglianza di Roma aveva rigettato l’appello proposto avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza di Roma appena menzionato poco prima.

Nel dettaglio, dopo avere ricordato i gravi precedenti (plurime rapine perpetrate nel 2007 in concorso, con uso di armi, ai danni di privati, di farmacie e di un supermercato, detenzione e spaccio di stupefacenti commessi durante la detenzione nella Casa di reclusione di Roma-Rebibbia e detenzione e spaccio di stupefacenti ed estorsione commessi durante la detenzione nella Casa circondariale di Velletri) e i deludenti esiti del trattamento intramurario (con il rifiuto di sottoporsi a un programma riabilitativo comunitario per affrontare l’irrisolta problematica tossicomanica, all’origine delle sue condotte criminali), il Collegio romano aveva sottolineanto come il rinvenimento di cocaina nell’abitazione del sottoposto alla misura di sicurezza, pur non integrante una fattispecie criminosa, denotasse l’attualità del legame con ambienti dello spaccio e il fatto che il soggetto continuava a fare uso di stupefacenti anche in libertà vigilata, circostanza tanto più grave alla luce della sua storia criminale; pertanto, alla luce della violazione delle prescrizioni imposte e di una condotta affatto sintomatica di un processo di risocializzazione, era stato disposto l’aggravamento.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

 

Avverso il predetto provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore del prevenuto deducendo, con un unico motivo di impugnazione, la inosservanza o erronea applicazione degli artt. 202, 211, 228, n.-2, 231, n. 2 cod. pen. e 680 cod. proc. pen. nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

In particolare, il ricorso denunciava, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., come il rigetto dell’appello avesse fatto riferimento a fatti pregressi, già valutati dal Magistrato di sorveglianza di Pescara nel provvedimento di applicazione della misura, senza valorizzare alcun elemento rientrante nella previsione dell’art. 231 cod. pen. tanto più che, nella specie, non gli sarebbe stata neanche richiesta la cauzione.

Inoltre, osservava sempre la difesa, il pericolo di reiterazione dei reati non avrebbe potuto essere fondato sulla commissione di nuovi reati essendo stato il ricorrente assolto, per non aver commesso il fatto, dall’accusa di rapina.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

Il ricorso veniva ritenuto fondato per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito prima di tutto che l’art. 231 cod. pen. stabilisce, al primo comma, che quando la persona in stato di libertà vigilata trasgredisce agli obblighi imposti, il giudice può aggiungere a tale misura la cauzione di buona condotta mentre, al secondo comma, è stabilito che, nondimeno, nei soli casi di particolare gravità della trasgressione ovvero al ripetersi della medesima, o, ancora, qualora il trasgressore non presti la cauzione, il giudice può sostituire alla libertà vigilata l’assegnazione a una colonia agricola o a una casa di lavoro.

Orbene, a fronte di quanto disposto in questo precetto normativo, gli Ermellini osservavano altresì che, se, dunque, la eventuale sostituzione della libertà vigilata con una misura detentiva non deve essere necessariamente preceduta dall’applicazione della cauzione di buona condotta potendo il giudice procedervi direttamente (Sez. 1, n. 27423 del 9/6/2005), ciò nonostante l’applicazione della colonia agricola o della casa di lavoro è, comunque, subordinata a un triplice ordine di condizioni, che possono ricorrere anche alternativamente; in particolare, la trasgressione delle prescrizioni deve essere connotata o dalla reiterazione delle condotte inosservanti oppure deve trattarsi di una violazione talmente grave da rendere necessario ricorrere a una misura di natura restrittiva, che evidentemente sia ritenuta come l’unico argine in grado di contenere il rischio di nuove condotte penalmente rilevanti.

Tal che se ne faceva discendere che, in entrambi i casi, la misura detentiva deve essere applicata in presenza di una conclamata inutilità della libertà vigilata la quale, nel corso dell’esecuzione, si sia rivelata inidonea a realizzare lo scopo del dispositivo di contenimento secondo quanto attestato dal fatto che il sottoposto abbia ripetutamente dimostrato di non volerne osservare le prescrizioni o abbia realizzato una trasgressione “particolarmente grave” che denoti una accresciuta pericolosità, non altrimenti gestibile e quindi è richiesta la presenza di presupposti, quelli per l’applicazione della misura detentiva, che non a caso l’art. 231 cod. pen delinea in termini rigorosi, considerata la diretta incidenza sulla libertà personale e il possibile effetto di duplicazione dell’intervento sanzionatorio, dopo l’esecuzione della pena.

Precisato ciò, i giudici di piazza Cavour mettevano in risalto il fatto come, nel caso di specie, il Tribunale di sorveglianza avesse preso atto del progressivo venire meno delle circostanze che erano state valorizzate dal primo Giudice per ritenere sussistenti i presupposti dell’aggravamento atteso che gli addebiti più gravi, relativi alla commissione di due episodi di rapina nel senso che si erano, nel proseguo del procedimento, rivelati infondati (il primo già nella fase cautelare e il secondo nel giudizio di merito) e tale apprezzamento finale conduceva il Collegio a ritenere infondato l’appello che a sua volta aveva, sostanzialmente, attribuito rilevanza al dato del rinvenimento di sostanza stupefacente in occasione di una perquisizione domiciliare.

Pur tuttavia, in relazione a tale approdo argomentativo, la Suprema Corte riteneva che, dal complesso della motivazione, a suo avviso, non era dato comprendere se tale episodio fosse stato valorizzato in rapporto a una pluralità di violazioni o se esso fosse stato qualificato nei termini di una violazione “particolarmente grave” dato che se è vero che nel riassumere le vicende iniziali del procedimento il Tribunale aveva posto in luce il fatto che il Magistrato di sorveglianza aveva riscontrato due episodi di mancata presentazione alla polizia giudiziaria e un terzo di frequentazione di un soggetto pregiudicato (in realtà identificabile con la fidanzata del libero vigilato), nondimeno, nel giudizio di appello con cui il Collegio aveva ritenuto di confermare la valutazione di primo grado in ordine alla accresciuta pericolosità del soggetto, l’ordinanza aveva fatto menzione del solo episodio del rinvenimento dello stupefacente e ciò che parrebbe avallare, per il Supremo Consesso, l’ipotesi che esso avesse assunto una valenza esclusiva nella valutazione di accresciuta pericolosità sociale del ricorrente.

Oltre a ciò, veniva fatto presente che, ove, peraltro, si fosse acceduto a una siffatta ricostruzione, si sarebbe dovuto concludere che la motivazione offerta per giustificare il disposto aggravamento fosse stata comunque manifestamente illogica dato che la gravità dell’episodio era stata argomentata con la attualità di collegamento con gli ambienti dello spaccio desunta dal rinvenimento della droga nella disponibilità del ricorrente nonché con il pericolo che l’assunzione di stupefacenti possa determinare una ricaduta nel reato in ragione della risalente problematica di dipendenza dalle droghe la quale avrebbe avuto un ruolo determinante rispetto ai suoi trascorsi criminosi.

Per di più, veniva ritenuto come tale giudizio di merito, sindacabile in sede di legittimità nei limiti della manifesta illogicità, apparisse essere correlato a massime di esperienza di incerta consistenza empirica visto che se è ovvio che per procacciarsi la droga il ricorrente aveva avuto un rapporto con terze persone, non per questo, per la Corte, era possibile inferire da tale circostanza un collegamento con contesti di particolare caratura criminale mentre la ricaduta nel consumo di sostanze non poteva essere interpretata, se non attraverso un giudizio del tutto astratto, come necessariamente indicativa di una futura ricaduta anche nel reato mancando, nel provvedimento, una lettura complessiva delle attuali vicende personali del ricorrente e del contesto socio-ambientale di riferimento che consentisse di ancorare una siffatta prognosi criminale ad elementi di pregnante valenza predittiva.

Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, il ricorso veniva accolto sicché l’ordinanza impugnata veniva annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di sorveglianza di Roma.

 

Conclusioni

 

La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa viene chiarito in che modo è applicabile l’art. 231, c. 2, c.p. che, come è noto, stabilisce che, avuto “riguardo alla particolare gravità della trasgressione o al ripetersi della medesima, ovvero qualora il trasgressore non presti la cauzione, il giudice può sostituire alla libertà vigilata l’assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro, ovvero, se si tratta di un minore, il ricovero in un riformatorio giudiziario”.

Difatti, in tale pronuncia, è affermato – dopo essere stato postulato che l’applicazione della colonia agricola o della casa di lavoro è, comunque, subordinata a un triplice ordine di condizioni, che possono ricorrere anche alternativamente e che la trasgressione delle prescrizioni deve essere connotata o dalla reiterazione delle condotte inosservanti oppure deve trattarsi di una violazione talmente grave da rendere necessario ricorrere a una misura di natura restrittiva, che evidentemente sia ritenuta come l’unico argine in grado di contenere il rischio di nuove condotte penalmente rilevanti – che la misura detentiva deve essere applicata in presenza di una conclamata inutilità della libertà vigilata la quale, nel corso dell’esecuzione, si sia rivelata inidonea a realizzare lo scopo del dispositivo di contenimento secondo quanto attestato dal fatto che il sottoposto abbia ripetutamente dimostrato di non volerne osservare le prescrizioni o abbia realizzato una trasgressione “particolarmente grave” che denoti una accresciuta pericolosità, non altrimenti gestibile.

Siffatta sentenza, dunque, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare se l’art. 231, c. 2, c.p. sia applicabile o meno.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale provvedimento, proprio perché chiarisce come può essere applicata questa norma del codice penale, di conseguenza, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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