In cosa consiste il principio di specialità in materia di estradizione

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(Ricorso rigettato)

(Riferimenti normativi: C.p.p., artt. 699, 721)

Il fatto

Il Tribunale di Vicenza, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’incidente di esecuzione proposto avverso un ordine di esecuzione emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza per l’espiazione della pena di quattro anni di reclusione, irrogata al medesimo con sentenza del Tribunale di Vicenza ritenendo non sussistente la denunciata violazione del principio di specialità ex art. 721 c.p.p. e art. 7 del Trattato di estradizione tra l’Italia e il Brasile.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

 

Avverso questo provvedimento veniva proposto ricorso per Cassazione con cui si chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato denunciando la violazione della legge processuale, in relazione agli artt. 696 e 721 c.p.p., e art. 7 del Trattato di estradizione tra l’Italia e il Brasile, firmato il 17 ottobre 1989, risultando violato il principio di specialità poiché il ricorrente era stato estradato in Italia in relazione ad una sentenza emessa dalla Corte d’appello di Firenze mentre il fatto, per il quale era stato emesso l’ordine di carcerazione, era anteriore a quello giudicato con detta sentenza e non vi era stata l’estensione dell’estradizione concessa per tale titolo.

Orbene, a fronte di ciò, il ricorrente osservava come il provvedimento impugnato non avesse tenuto conto dell’autorevole precedente di legittimità (Sez. U, n. 8 del 28/02/2001) secondo il quale il principio di specialità costituisce una condizione di procedibilità dell’azione nonché della previsione dell’art. 14 della Convenzione Europea di estradizione che stabilisce un analogo principio.

Del resto, rilevava sempre l’impugnante, la Procura della Repubblica di Vicenza aveva provveduto, con proprio ordine, a revocare il provvedimento di carcerazione relativo alla sentenza del Tribunale di Vicenza perché emesso in violazione del principio di specialità.

 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

 

Il ricorso veniva reputato infondato per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito prima di tutto che il principio di specialità è, insieme al principio di doppia incriminazione, il secondo fondamentale pilastro del sistema estradizionale, sia attivo che passivo (artt. 699 e 721 c.p.p.) consistendo, in attuazione di una regola generale di diritto internazionale, nel vietare limitazioni della libertà personale dell’estradato per fatti anteriori e diversi da quelli per cui l’estradizione è stata concessa, al fine di impedire richieste “fraudolente” da parte degli Stati che, ottenuta la disponibilità del reo in relazione ad una ipotesi di reato, intendano trattenere l’estradato anche per fatti diversi anteriormente commessi, così violando gli “accordi” presi con lo Stato di rifugio.

Detto questo, dopo essere stato evidenziato che lo Stato richiedente può domandare la “estradizione suppletiva” al fine di estendere la già ottenuta estradizione a fatti anteriormente commessi ma per i quali non era stata formulata inizialmente la relativa domanda di estradizione (si veda, per es., art. 14 Convenzione Europea di estradizione), si faceva presente, a questo punto della disamina, come si fosse a lungo dibattuto sui limiti che il principio di specialità determina all’esercizio della giurisdizione da parte del giudice nazionale posto che, anche in ragione di non univoche formulazioni del previgente codice di rito (art. 661 c.p.p. del 1930) e di convenzioni internazionali (art. 14 Convenzione Europea di estradizione), si era, anche autorevolmente ritenuto (Sez. U., n. 12 del 19.5.1984, omissis, Rv. 164701) che il principio in discorso vieta la stessa sottoposizione a processo per fatti non compresi nella conceduta estradizione con conseguente improcedibilità dell’azione penale ciò nonostante promossa e nullità assoluta del giudizio eventualmente celebratosi (salvo che il processo fosse iniziato con regolare citazione in giudizio ed eventuale declaratoria di contumacia prima della stessa estradizione per altro fatto).

Il contrasto, non cessato nonostante le SU n. 12 del 1984, era stato nuovamente ricomposto ma con il totale sovvertimento della iniziale prospettiva in quanto era stato, dapprima, statuito che il principio di specialità non costituisce un limite della giurisdizione, riguardando soltanto la disponibilità fisica della persona del giudicabile o del condannato (Sez. U., n. 2 del 28.2.1989), e, da ultimo, che la clausola di specialità introduce una condizione di procedibilità dell’azione penale la cui mancanza non determina l’inesistenza della sentenza, che acquista il carattere dell’irrevocabilità con la conseguenza che al giudice dell’esecuzione, adito con incidente, è interdetto intervenire su di essa (Sez. U., n. 11971 del 29.11.2007).

Ebbene, in relazione a tale quadro ermeneutico, gli Ermellini rilevavano come tale ultima posizione apparisse essere quella consacrata nel nuovo c.p.p. che, agli artt. 699 e 721 che limita la clausola di specialità alla restrizione della libertà personale tanto che, sotto il vigore del nuovo codice di rito, l’interpretazione già da ultimo sostenuta dalle Sezioni Unite era stata riaffermata dal medesimo consesso (Sez. U., n. 6682 del 4.2.1992) e poi sempre seguita dalle sezioni semplici (Sez. 6, n. 56816 del 15.12.2016; Sez. 5, n. 10478 del 23.06.2000; Sez. 1, n. 4511 del 20.6.2000).

Precisato ciò, i giudici di piazza Cavour osservavano inoltre come la clausola di specialità conosca un ulteriore limite al proprio operare in ragione della condotta dell’estradato dal momento che, in assonanza con le principali convenzioni internazionali in materia (art. 14, Convenzione Europea di estradizione), è previsto (artt. 699 e 721 c.p.p.) che la permanenza dell’estradato nel Paese richiedente, decorso un certo termine (45 giorni) dall’esecuzione della condanna o comunque dalla scarcerazione per il fatto per cui era stato estradato, determina la assoggettabilità a restrizioni della sua libertà personale per fatti anteriormente commessi rilevando al contempo che il fondamento dell’istituto potrebbe individuarsi nella rinuncia implicita a valersi della clausola di specialità, pur in presenza della concreta possibilità di allontanarsi dal Paese ospitante (Sez. 2, n. 1364 del 14/05/1973; si era, inoltre, chiarito che non ricorre la condizione di fatto derogatoria del principio di specialità nel caso in cui l’estradato non lasci il territorio dello Stato entro 45 giorni dalla scarcerazione per ritenuta cessazione delle esigenze cautelari ovvero per decorrenza dei termini massimi di carcerazione preventiva, giacché in tale ipotesi non può dirsi che la liberazione abbia avuto carattere definitivo e che la permanenza nel territorio dello Stato sia stata frutto di una libera scelta: Sez. 1, n. 22747 del 13/05/2009; Sez. 5, n. 6825 del 23/01/2007), senza però trascurare il fatto che sembrerebbe pure venire meno, per il decorso del termine naturale, l’obbligo internazionale di rispettare la condizione cui era originariamente sottoposta la estradizione.

Ciò posto, veniva oltre tutto chiarito che il principio di specialità trova applicazione anche nella fase esecutiva in relazione ai fatti già giudicati (Sez. 5, n. 16129 del 30/01/2002) e anche in tema di mandato di arresto europeo impedendo che il condannato possa essere sottoposto a limitazione della libertà in forza di provvedimento che sia relativo a fatti anteriori e diversi da quelli per i quali il mandato è stato emesso (Sez. 1, 53695 del 16/11/2016; Sez. 1, n. 4457 del 17/01/2017) fermo restando che la clausola di specialità non impedisce l’adozione di una misura cautelare personale in relazione a reati diversi da quelli per i quali la consegna è stata effettuata e commessi anteriormente ad essa restando ovviamente impossibile dare esecuzione al provvedimento (Sez. 1, n. 8349 del 26/11/2013 dep. 2014).

Con specifico riguardo alla fase esecutiva, osservava sempre la Suprema Corte in questa pronuncia, si era però chiarito che “il principio di specialità di cui all’art. 721 c.p.p. e all’art. 14 della Convenzione Europea di estradizione non impedisce che il P.M. emetta un nuovo ordine di esecuzione di condanne, diverse da quelle per le quali l’estradizione sia stata concessa, una volta che l’estradato, pur avendone la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione ovvero, pur avendolo lasciato, vi abbia fatto volontariamente ritorno” (Sez. 1, n. 4691 del 20/12/2005 dep. 2006).

Orbene, così delimitati i limiti del principio di specialità, si riteneva di doversi concludere per l’infondatezza del ricorso.

Si sottolineava a tal riguardo innanzitutto che non è controverso che, allorquando il condannato è stato estradato in Italia,a causa della estradizione concessa dall’autorità del Brasile per l’espiazione della pena irrogata con sentenza della Corte d’appello di Firenze, il Pubblico ministero aveva proceduto a revocare l’ordine di carcerazione per il titolo oggetto del presente giudizio (sentenza del Tribunale di Vicenza confermata con sentenza della Corte d’appello di Venezia) e che, una volta espiata detta pena, l’odierno ricorrente si era allontanato dallo Stato entro 45 giorni dalla scarcerazione.

Una volta decorso il ridetto termine ovvero accertato l’allontanamento del prevenuto dal territorio dello Stato, il Pubblico ministero aveva a sua volta emesso l’ordine di carcerazione in esame.

Ebbene, in relazione al succedersi di tali eventi, la Suprema Corte, una volta fatto presente che la L. 23 aprile 1991, n. 144, art. 7 (portante ratifica del Trattato di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica federativa del Brasile), al pari dell’art. 14 della Convenzione Europea di estradizione e dell’art. 721 c.p.p., espressamente prevede “che la persona estradata non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena, nè assoggettata ad altre misure restrittive della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l’estradizione è stata concessa, salvo che:… b) la persona estradata, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio della Parte alla quale è stata consegnata trascorsi 45 giorni dalla sua definitiva liberazione ovvero, avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno”, concludeva nel senso che il principio di specialità non impedisce al Pubblico ministero, quando sia decorso il termine di 45 giorni dalla definitiva liberazione del condannato ovvero dall’effettivo allontanamento dal territorio dello Stato, di emettere l’ordine di esecuzione per una pena detentiva irrogata per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l’estradizione è stata concessa.

Alla luce di tale principio di diritto, dunque, il ricorso veniva rigettato perché il condannato non poteva dolersi dell’ordine di carcerazione emesso a suo carico per un fatto anteriore a quello per il quale venne estradato in Italia perché la disposizione convenzionale applicabile (Trattato di estradizione con il Brasile) e i principi generali dell’ordinamento (art. 721 c.p.p.) espressamente prevedono, oltre alla estensione dell’estradizione, anche la possibilità di eseguire il nuovo titolo quando il ricercato, definitivamente liberato per il titolo estradizionale, si sia effettivamente allontanato dall’Italia o si sia trattenuto decorsi 45 giorni ovvero abbia volontariamente fatto ritorno nello Stato.

 

Conclusioni

 

La decisione in oggetto è assai interessante in quanto essa è preso nella dovuta considerazione il principio di specialità in materia di estradizione.

Difatti, in tale pronuncia, avvalendosi di precedenti conformi, una volta fatto presente che il principio di specialità è, insieme al principio di doppia incriminazione, il secondo fondamentale pilastro del sistema estradizionale, sia attivo che passivo (artt. 699 e 721 c.p.p.) consistendo, in attuazione di una regola generale di diritto internazionale, nel vietare limitazioni della libertà personale dell’estradato per fatti anteriori e diversi da quelli per cui l’estradizione è stata concessa, al fine di impedire richieste “fraudolente” da parte degli Stati che, ottenuta la disponibilità del reo in relazione ad una ipotesi di reato, intendano trattenere l’estradato anche per fatti diversi anteriormente commessi, così violando gli “accordi” presi con lo Stato di rifugio, viene affermato che: 1) il principio di specialità trova applicazione anche nella fase esecutiva in relazione ai fatti già giudicati e anche in tema di mandato di arresto europeo impedendo che il condannato possa essere sottoposto a limitazione della libertà in forza di provvedimento che sia relativo a fatti anteriori e diversi da quelli per i quali il mandato è stato emesso fermo restando che la clausola di specialità non impedisce l’adozione di una misura cautelare personale in relazione a reati diversi da quelli per i quali la consegna è stata effettuata e commessi anteriormente ad essa restando ovviamente impossibile dare esecuzione al provvedimento; 2) il principio di specialità di cui all’art. 721 c.p.p. e all’art. 14 della Convenzione Europea di estradizione non impedisce che il P.M. emetta un nuovo ordine di esecuzione di condanne, diverse da quelle per le quali l’estradizione sia stata concessa, una volta che l’estradato, pur avendone la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione ovvero, pur avendolo lasciato, vi abbia fatto volontariamente ritorno così come non è impedito alla pubblica accusa emettere un ordine di esecuzione emesso per una pena detentiva irrogata per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l’estradizione è stata concessa.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tali tematiche procedurali, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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