A cosa si può riferire l’espressione “stessa condanna” contenuta nell’art. 656, c. 7, c.p.p.

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(Ricorso rigettato)

(Riferimento normativo: C.p.p., art. 656, c. 7)

Il fatto

Il Tribunale di Modena, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava un incidente di esecuzione volto a ottenere la declaratoria di illegittimità del provvedimento di cumulo pene e contestuale ordine di carcerazione emesso dal Pubblico ministero presso lo stesso Tribunale.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso detto provvedimento propone ricorso per cassazione l’istante, tramite il proprio difensore di fiducia, lamentando violazione dell’art. 670 c.p.p. e illegittimità dell’indicato provvedimento di cumulo e del contestuale ordine di carcerazione.

Rilevava a tal riguardo il difensore che, in relazione alla sentenza di condanna, veniva emesso ordine di esecuzione del Pubblico ministero presso il Tribunale di Modena per la carcerazione con contestuale sospensione del medesimo per un residuo pena di anni uno, mesi due e giorni venticinque di reclusione mentre il condannato, a sua volta, presentava nei termini di legge istanza di concessione di misura alternativa alla detenzione e gli atti venivano trasmessi al competente Tribunale di sorveglianza che non fissava tempestivamente udienza per la valutazione dei presupposti per la concessione di misura alternativa.

Successivamente, il ricorrente veniva condannato alla pena di anni quattro, mesi otto e giorni dieci di reclusione e il P.m., preposto all’esecuzione, riteneva di effettuare un cumulo delle pene revocando il proprio precedente provvedimento di sospensione di esecuzione.

Dal canto suo il G.i.p. del Tribunale di Modena riteneva correttamente emesso il provvedimento di cumulo richiamando una pronuncia di legittimità, ad avviso della difesa, inconferente che fa riferimento al superamento del limite di anni quattro di cui all’art. 656 c.p.p. che riguarda non la pena complessivamente inflitta, ma quella da eseguire, che, nel caso di specie, era inferiore agli anni quattro.

Oltre a ciò, veniva comunque ribadito il principio secondo cui il cumulo delle pene deve essere sciolto o non può essere effettuato qualora dallo stesso possono derivare effetti pregiudizievoli per il condannato dal momento che, nel caso di specie, per la difesa, era assolutamente pregiudizievole il cumulo delle pene che effettuato con le modalità seguite dal P.m. avrebbero comportato una maggiore durata di tempo della carcerazione.

Infine, sempre ad avviso del difensore, la circostanza che in quasi quattro anni non fosse stato fissato il procedimento di sorveglianza non poteva avere ripercussioni negative sul condannato che avrebbe visto ingiustificatamente compresso il diritto di ottenere una misura alternativa.

Il ricorrente insisteva quindi per l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva reputato infondato e pertanto, rigettato.

Si osservava a tal proposito come il provvedimento di rigetto dell’incidente di esecuzione in questione non integrasse alcuna violazione di norme processuali penali risultando, al contrario, per il Supremo Consesso, fare corretta applicazione, dandone adeguato conto, delle norme che si assumevano essere state violate costituendo principio consolidato quello secondo cui, ai fini dell’esecutività di una condanna a pena detentiva, il pubblico ministero è tenuto ad emettere immediatamente ordine di carcerazione e, quando esistano o sopravvengano più condanne per reati diversi, è tenuto altresì a determinare la pena complessiva.

Tal che se ne faceva conseguire che, anche nel caso di concorso di pene detentive brevi, ciascuna delle quali, singolarmente considerata, darebbe luogo a sospensione del provvedimento di carcerazione in vista della possibile applicazione di benefici penitenziari, non viene meno l’obbligo di provvedere al cumulo con l’ulteriore conseguenza che, unificata la pena, ove questa risulti superiore ai limiti di legge cui è subordinata la concessione delle misure alternative richiedibili, la sospensione dell’esecuzione prevista dall’art. 656 c.p.p., come modificato dalla L. n. 165 del 1998, non può essere più disposta (in tal senso, Sez. 1, n. 6322 del 17/11/1999; Sez. 1, n. 15748 del 12/04/2002; Sez. 1, n. 16569 del 21/03/2003; da ultimo, Sez. 1, n. 25483 del 11/04/20179.

A fronte di ciò, i giudici di legittimità ordinaria osservavano come la fattispecie giudicata con la pronuncia in ultimo menzionata risultasse essere simile a quella in esame eccependo in entrambi i casi i difensori che i loro assistiti avrebbero dovuto comunque beneficiare della sospensione dell’esecuzione dato che, come emerge dalla stessa illustrazione delle vicende esecutive contenuta nel ricorso ed ancor prima nell’incidente di esecuzione, il ricorrente aveva già fruito una prima volta della sospensione dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 5, per effetto del decreto del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Modena a seguito del quale egli aveva adito il locale Tribunale di sorveglianza al fine di ottenere la possibilità di eseguire la pena detentiva inflittagli con la sentenza del Tribunale di Modena mediante ammissione a una misura alternativa alla detenzione e ciò conseguiva il fatto di come il condannato fosse impossibilitato a fruire per la seconda volta dello stesso beneficio in relazione all’espiazione della stessa pena detentiva, oggi confluita nel provvedimento di unificazione in oggetto.

Come evidenziato dalla pronuncia di legittimità di cui si è detto, gli Ermellini osservavano come su tale questione e sul confronto con l’unico precedente di legittimità in senso contrario fosse intervenuta la sentenza della Sezione prima, n. 17045 del 19/03/2015 con le analitiche e condivise argomentazioni riportate, nella pronuncia qui in commento, nei seguenti termini: “Questa Corte in conformità al disposto dell’art. 656 c.p.p., comma 7, ha affermato che, secondo la testuale formulazione della norma, il provvedimento di sospensione dell’esecuzione da parte del P.M. procedente per la stessa condanna non può essere adottato più di una volta e qualora l’istanza di ammissione ai benefici penitenziari non sia tempestivamente presentata, o venga dichiarata inammissibile o respinta dal Tribunale di Sorveglianza, il P.M. deve revocare immediatamente il decreto di sospensione dell’esecuzione e procedere all’esecuzione della pena. In particolare, si è sostenuto con orientamento pienamente condivisibile che “La sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 7, funzionalmente preordinata al possibile conseguimento di una misura alternativa alla detenzione, qualora già disposta in relazione ad alcuna delle condanne oggetto del provvedimento di unificazione di pene concorrenti, non può essere reiterata in relazione al successivo provvedimento che inglobi il precedente nell’ipotesi in cui la domanda di misura alternativa sia stata rigettata, a nulla rilevando che la pena complessiva risultante dal cumulo rientri nei limiti in cui la sospensione stessa è imposta”.

Orbene, a fronte di tale passaggio argomentativo, si evidenziava come, a giustificazione di tale assunto, fosse stato precisato che, con l’espressione “stessa condanna“, contenuta nell’art. 656 c.p.p., comma 7, il legislatore ha inteso riferirsi anche ad una soltanto delle condanne comprese nel cumulo, che, comportando la contemporanea esecuzione di tutti i titoli esecutivi come se fossero riferibili ad un’unica pronuncia, preclude di porre separatamente in esecuzione le singole condanne al fine di consentire che, autonomamente considerate, se ne possa sospendere l’esecuzione (Cass. sez. 1, n. 29087 del 11/07/2006; sez. 1, n. 25329 del 01/04/2003; sez. 6, n. 24245 del 03/04/2003; sez. 1, n. 17885 del 19/03/2002; sez. 1, n. 27755 del 30/05/2003,; sez. 1, n. 6356 del 15/12/1998) rilevandosi al contempo come fosse reperibile soltanto un precedente dissonante rispetto alla linea interpretativa appena citata (Cass. sez. 1, n. 271 del 2/7/2003) nel quale si era sostenuto che la locuzione “stessa condanna” andasse riferita letteralmente a quella la cui esecuzione si chiede di sospendere e che il cumulo può essere sciolto quando il suo mantenimento comporti pregiudizi per il condannato.

Orbene, pur a fronte di tale precedente difforme, la Suprema Corte, in siffatta pronuncia, osservava come fosse però agevole replicare che, una volta operato il cumulo materiale, operazione resa obbligatoria dall’art. 663 c.p.p., per il P.M., nonché per il giudice dell’esecuzione, e da compiersi nel rispetto delle norme sul concorso di pene contenute negli artt. 71 c.p. e segg., per effetto del rinvio ad esse operato dal successivo art. 80, le pene detentive temporanee, inflitte con le distinte sentenze, “si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico” (art. 76 c.p.) e, pertanto, il condannato è soggetto ad esecuzione contemporaneamente per tutte le condanne confluite nell’unico titolo esecutivo costituito dal provvedimento di unificazione di pene concorrenti e, quindi, non può ottenere la scissione del rapporto esecutivo per le singole pronunce al fine di conseguire, previa loro considerazione isolata, la sospensione dell’esecuzione ed il mantenimento in libertà per una condanna per la quale i limiti di pena consentano l’accesso ai benefici penitenziari o non sia intervenuto precedente provvedimento di sospensione ed essere al contempo detenuto per altre, comprese nello stesso cumulo atteso che la sospensione dell’ordine di carcerazione ex art. 656 c.p.p. è funzionale al conseguimento di una misura alternativa alla detenzione e quindi ad impedire l’immediato ingresso in carcere a quanti possano accedere a tale misura nelle more dell’assunzione della relativa decisione sicché tali benefici non possono operare soltanto in relazione ad una delle pene concorrenti, ma sulla pena unica per tutti i titoli contemporaneamente esecutivi nei confronti della stessa person, secondo quanto deducibile “a contrariis” dalla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 51-bis, che, in caso di avvenuta ammissione, prevede, se sopravvengano nuovi titoli esecutivi, l’estensione o la cessazione del beneficio “tenuto conto del cumulo delle pene” allo scopo di imporre la verifica della persistenza dei requisiti di ammissibilità”.

In altri termini, una volta operato il cumulo materiale le pene detentive temporanee, inflitte con le distinte sentenze, “si considerano come pena unica per ogni effetto giuridico” (art. 76 c.p.) e, pertanto, il condannato è soggetto ad esecuzione di tutte le condanne confluite nell’unico titolo esecutivo, costituito dal provvedimento di unificazione di pene concorrenti che non possono essere scisse nella prospettiva della sospensione e della misura alternativa.

Rispetto a questo paradigma normativo, ad avviso della Suprema Corte, appariva essere evidente l’infondatezza del ricorso risultando assolutamente generico e non autosufficiente il riferimento in esso contenuto – a fronte della seconda condanna alla pena di anni quattro, mesi otto e giorni dieci di reclusione – al mancato superamento attraverso l’unificazione delle pene del limite edittale dei quattro anni di reclusione e ininfluente il particolare, evidenziato dal ricorrente, del ritardo della fissazione dell’udienza da parte del Tribunale di sorveglianza di Bologna in ordine alla richiesta di misura alternativa alla detenzione, pervenuta dopo il primo decreto di sospensione.

 

Conclusioni

 

La decisione in questione è interessante, non solo nella parte in cui si afferma che, anche nel caso di concorso di pene detentive brevi, ciascuna delle quali, singolarmente considerata, darebbe luogo a sospensione del provvedimento di carcerazione in vista della possibile applicazione di benefici penitenziari, non viene meno l’obbligo di provvedere al cumulo con l’ulteriore conseguenza che, unificata la pena, ove questa risulti superiore ai limiti di legge cui è subordinata la concessione delle misure alternative richiedibili, la sospensione dell’esecuzione prevista dall’art. 656 c.p.p., come modificato dalla L. n. 165 del 1998, non può essere più disposta, ma anche nella parte in cui, citandosi giurisprudenza maggioritaria, sebbene non uniforme, è postulato che, con l’espressione “stessa condanna“, contenuta nell’art. 656 c.p.p., comma 7, il legislatore ha inteso riferirsi anche ad una soltanto delle condanne comprese nel cumulo, che, comportando la contemporanea esecuzione di tutti i titoli esecutivi come se fossero riferibili ad un’unica pronuncia, preclude di porre separatamente in esecuzione le singole condanne al fine di consentire che, autonomamente considerate, se ne possa sospendere l’esecuzione.

Orbene, a fronte di tali approdi ermeneutici, che contribuiscono a fare chiarezza in ordine a tali tematiche procedurali, il giudizio, in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, non può che essere positivo fermo restando però che, in relazione al secondo indirizzo nomofilattico esaminato in tale pronuncia, ossia il significato da potersi attribuire al l’espressione “stessa condanna“, contenuta nell’art. 656, c. 7, c.p.p., non essendovi giurisprudenza uniforme sul punto, pur a fronte delle condivisibili argomentazioni addotte nel provvedimento qui in commento per ritenere non condivisibile il precedente difforme, sarebbe opportuno, ad avviso di chi scrive, che su tale questione intervenissero le Sezioni Unite.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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