Inapplicabilità dell’esclusione al socio moroso di s.r.l. per debito da sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale

Valeria Verì 08/06/20
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Principio di diritto

La Cassazione con la sentenza in commento ha sancito il presente principio di diritto:

“Nel caso di mora del socio nell’esecuzione dei versamenti, dovuti alla società a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea nel corso della vita della società, il socio non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società; pertanto, ferma la permanenza del socio in società per la quota già posseduta, l’assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall’aumento non onorato, fatto salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l’indivisibilità della quota”.

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Il fatto

La vicenda vede contrapporsi il socio di una s.r.l. alla società medesima, la quale, in applicazione dell’art. 2466 cod. civ., aveva disposto l’esclusione del primo per morosità. In particolare, l’assemblea dei soci aveva deliberato, ai sensi dell’art. 2481 bis cod. civ., un aumento oneroso del capitale sociale, offerto in sottoscrizione ai soci in proporzione alle partecipazioni da ciascuno possedute. Il socio ricorrente, privo di debiti pregressi con la società, aveva sottoscritto per intero la quota di capitale a lui offerta, versando immediatamente il 25% di essa. Tuttavia, alla scadenza del termine fissato dall’organo amministrativo per il versamento dei decimi mancanti, il socio risultava essere inadempiente. Conseguentemente, l’amministratore della società aveva disposto, in mancanza di compratori, l’esclusione del socio e l’assemblea aveva deliberato la riduzione del capitale sociale, il tutto ai sensi dell’art. 2466 cod. civ., comma 3.

Il socio così escluso agiva in giudizio nei confronti della società chiedendo, tra i diversi motivi di doglianza, l’accertamento dell’illegittimità della propria esclusione nonché il risarcimento del danno per il rifiuto, opposto dalla società, all’esercizio del diritto di ispezione dei documenti sociali.

La domanda veniva rigettata in primo e secondo grado sulla base dell’applicabilità all’intera partecipazione dell’art. 2466 cod. civ., in quanto la disposizione opera non solo nell’ipotesi di mora nei versamenti in sede di costituzione della società, ma anche nel caso di mora derivante dalla sottoscrizione di un aumento del capitale sociale. Inoltre, la procedura dell’art. 2466 cod. civ. non impedisce al socio moroso di s.r.l. di esercitare il suo diritto di controllo sulla gestione sociale, tuttavia non era stato allegato, prima ancora che provato, nessun danno dal socio.

L’attore proponeva quindi ricorso per Cassazione, eccependo su due fronti la violazione dell’art. 2466 cod. civ.. Il ricorrente sosteneva, da un lato, l’inapplicabilità della normativa in tema di socio moroso al debito da sottoscrizione di un aumento del capitale sociale e, dall’altro, l’impossibilità di escludere il socio moroso per debito derivante dall’aumento del capitale motivando sul carattere divisibile della quota, da cui deriverebbe per l’organo amministrativo il dovere di procedere alla c.d. vendita in danno ovvero all’annullamento della partecipazione solamente per la parte proporzionale non liberata, senza aggredire la quota già detenuta sin dalla costituzione della società. La società resisteva con controricorso deducendo la violazione degli artt. 2466 e 2476 comma 2 cod. civ., per avere la sentenza d’appello ritenuto la sussistenza del diritto di controllo in capo al socio moroso.

La decisione

La Corte di Cassazione dichiara infondato il primo motivo del ricorso, ribadendo che la normativa in tema di socio moroso, racchiusa nell’art. 2466 cod. civ., non si limita a disciplinare l’inadempimento del debito derivante da sottoscrizione del capitale sociale in sede di costituzione, avendo essa applicazione diretta, non già analogica od estensiva, anche all’ipotesi del debito derivante da un aumento oneroso del capitale sociale. Quanto detto è giustificato dalla ratio racchiusa nella stessa disposizione, chiaramente rivolta alla tutela del capitale sociale. Il fine sotteso alla norma non ha ragione di essere limitato al solo momento della costituzione della società e dell’inadempimento all’obbligo dei conferimenti iniziali, ma deve essere perseguito per tutta la vita della società.

La Suprema Corte accoglie il secondo motivo di ricorso affermando che il meccanismo gravoso di esclusione del socio e conseguente riduzione del capitale sociale con ritenzione delle somme versate, di cui all’ art. 2466 cod. civ., non può applicarsi al caso in cui il socio è divenuto moroso in forza dell’inadempimento del versamento da sottoscrizione di un aumento del capitale sociale e, dunque, nelle ipotesi in cui il socio fosse privo di debiti derivanti da una precedente sottoscrizione. In detta fattispecie, la società deve procedere alla sola riduzione del capitale sociale per la parte corrispondente al conferimento dovuto in forza della sottoscrizione dell’aumento. Dunque, la società non avrebbe dovuto escludere il socio, ma deliberare esclusivamente una riduzione del capitale sociale, in parte nominale, con riguardo alla quota non liberata, ed in parte reale, con riguardo al versamento parziale operato dal socio.

I giudici di legittimità fondano la loro decisione sulla base del carattere divisibile della quota di partecipazione in società a responsabilità limitata.

È vero, infatti, che la quota di s.r.l. è unica, non essendo costituita da frazioni standardizzate di capitale sociale come le azioni, tuttavia ciò non osta ad affermare la sua divisibilità, già presupposta dal legislatore nelle norme in tema di s.r.l., segnatamente dagli artt. 2466 comma 2 e 2473 comma 4 cod. civ., e dalla pacifica ammissibilità dell’alienabilità parziale della quota. In aggiunta, la procedura di annullamento della quota con corrispondente abbattimento del capitale solo per la frazione corrispondente alla partecipazione sociale sottoscritta in occasione dell’aumento del capitale risponde ai principi di buona fede e correttezza, i quali necessariamente informano anche i rapporti societari.

Premesso quanto sopra, ove l’atto costitutivo della società sancisca l’indivisibilità della quota, dovrà necessariamente procedersi all’esclusione del socio ed annullamento dell’intera partecipazione.

Infine, i giudici di legittimità rigettano il controricorso della società, in quanto infondato. Il socio moroso fino al completamento del procedimento di vendita coattiva o di esclusione non cessa di essere socio. Invero, l’art. 2466 comma 4 cod. civ., sancisce la sospensione del diritto di voto, ma il socio non perde l’esercizio degli altri diritti amministrativi, tra cui il diritto di informazione e di ispezione, di cui all’art. 2476 cod. civ., comma 2, posto a presidio della trasparenza dell’andamento societario.

 

Il commento

  1. Del socio moroso

L’art. 2466 cod. civ. disciplina l’ipotesi del socio moroso nelle s.r.l., ossia il socio in debito con la società per aver sottoscritto ma non integralmente versato la quota a lui offerta entro i termini stabiliti dall’organo amministrativo.

In sede di costituzione o di aumento del capitale sociale, il socio che sottoscrive la quota a lui offerta, promettendo un conferimento in denaro, non è obbligato a versare contestualmente il 100% del conferimento medesimo, essendo data lui la possibilità di corrisponderne una parte pari almeno al 25% e, se previsto un sovrapprezzo, deve essere versato per intero solo quest’ultimo (art. 2464 comma 2 cod. civ.). È fatta salva la possibilità di sostituire il versamento in denaro con la stipula di una polizza assicurativa o di una fideiussione bancaria di importo almeno corrispondente al conferimento.[1]  Al contrario, l’art. 2464 comma 5 cod. civ., dispone che le quote corrispondenti ai conferimenti dei beni in natura o dei crediti devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione. Per integrale liberazione si intende il necessario immediato trasferimento della titolarità del diritto oggetto di conferimento al momento stesso della sottoscrizione. Nel novero dei conferimenti dei beni in natura vi rientrano, altresì, le prestazioni di opere o servizi, la cui integrale liberazione la si fa discendere dalla prestazione di una polizza assicurativa o fideiussione bancaria a favore della società ancorché le utilità vengano acquisite dalla società progressivamente nel corso dell’attività sociale, dunque a carco del socio rimangono delle obbligazioni da adempiere.

Dette premesse sono necessarie al fine di comprendere il funzionamento dell’art. 2466 cod. civ. in tema di socio moroso, in quanto, in via di principio, il meccanismo di recupero delle somme inadempiute ivi disciplinato non può trovare applicazione nelle ipotesi di integrale liberazione del conferimento. In particolare, nelle circostanze di inadempimento della prestazione d’opera o servizi, la società si troverà ad escutere la garanzia prestata, se efficace.[2]

Il legislatore, mediante l’introduzione del comma 5 dell’art. 2466 cod. civ., ha esteso l’operatività della disciplina del socio moroso anche alle ipotesi di sopravvenuta scadenza o inefficacia delle polizze o garanzie fideiussorie prestate ai sensi dell’art. 2464 cod. civ., salvo che il socio le sostituisca con il versamento in denaro dell’importo corrispondente. Il richiamo generico all’art. 2464 cod. civ. è fonte di incertezze, in quanto è dubbio se si faccia esclusivo riferimento al conferimento pecuniario sostituito dalla polizza assicurativa o fideiussione bancaria (art. 2464 comma 2 cod. civ.), ovvero includa anche le ipotesi di prestazione di opere o servizi (art. 2464 comma 6 cod. civ.). La dominante dottrina e la più recente giurisprudenza[3] sono orientate in quest’ultimo senso, non solo sulla base della genericità del richiamo all’art. 2464 cod. civ., ma soprattutto sul convincimento che si priverebbe la società, senza fondato motivo, di un adeguato strumento di tutela nel caso di impossibilità di azionare la garanzia. [4]

Non potrebbe aversi applicazione dell’art. 2466 cod. civ. nelle ipotesi di società a responsabilità limitata unipersonale, in quanto l’art. 2464 comma 4 cod. civ. sancisce che nel caso di costituzione di una s.r.l. con atto unilaterale i conferimenti in denaro devono essere versati per il loro intero ammontare.

Passando alla trattazione della procedura per il recupero dei c.d. decimi mancanti, l’art. 2466 cod. civ. prescrive che gli amministratori preliminarmente diffidino il socio ad eseguire il conferimento nel termine di trenta giorni. Decorso il termine inutilmente, per l’organo amministrativo si prefigura la possibilità di percorrere due strade tra loro alternative. La prima consiste nell’avviare il normale procedimento contenzioso al fine di ottenere l’esecuzione dei conferimenti dovuti. La seconda prevede la vendita della quota a rischio e pericolo del socio. Ove gli amministratori decidano per quest’ultima via, essi dovranno, in primis, offrire la quota agli altri soci, in proporzione alla partecipazione da ciascuno posseduta, per il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato[5]; in seconda battuta, ove manchino offerte di acquisto da parte dei soci, dovrà procedersi alla vendita all’incanto, purché ciò sia consentito dall’atto costitutivo[6].

Il comma 3 dell’art. 2466 cod. civ. stabilisce che se la vendita in danno non ha esito positivo per mancanza di compratori, alla società non resta che escludere il socio, trattenendo a titolo di ristoro le somme da quest’ultimo versate. Di conseguenza, si rende necessario altresì ridurre il capitale sociale in misura corrispondente.

Proprio sul comma 3 della normativa in commento si crea la frattura interpretativa sull’applicabilità della sanzione dell’esclusione anche all’ipotesi di mora derivante da aumento del capitale sociale su cui è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di Cassazione.

 

2. Vendita in danno ed esclusione del socio moroso

La prima questione interpretativa da dirimere concerne l’ambito di applicazione dell’art. 2466 cod. civ..

Secondo l’orientamento prevalente, oggi nuovamente confermato dalla Corte di Cassazione, nonostante la norma sia sistematicamente collocata in prossimità della disciplina della costituzione della società, la sua operatività non può essere limitata a quest’ultima, essendo applicabile direttamente per identità di ratio anche alle ipotesi di aumento del capitale sociale. Il legislatore, difatti, con l’art. 2466 cod. civ. ha voluto creare un presidio al c.d. principio di effettività del capitale sociale e detto obiettivo non ha ragione di essere limitato al solo momento costitutivo della società, ma deve essere perseguito per tutta la sua durata.

Consolidata l’applicabilità della normativa anche alle ipotesi di debito derivante da un aumento a pagamento del capitale sociale, la dottrina è divisa sulle soluzioni da applicarsi nel caso di socio “parzialmente moroso”, ossia adempiente sino al momento della sottoscrizione del nuovo aumento del capitale sociale.

In primo luogo, ci si chiede se l’organo amministrativo possa procedere alla vendita coattiva a rischio e pericolo del socio solo relativamente alla parte di quota inadempiuta.

In secondo luogo, ove la vendita in danno produca esito negativo per assenza di compratori, è dubbio se l’esclusione del socio finisca per tradursi in una sanzione eccessivamente gravosa e, conseguentemente, se debba procedersi alla sola riduzione del capitale sociale limitatamente all’ammontare della quota sottoscritta e inadempiuta, posto che la finalità della norma non è punire il socio ma consentire il recupero a capitale delle somme non versate.[7]

La risposta agli interrogativi di cui sopra ruota attorno alla conciliabilità o meno di due profili essenziali della quota di s.r.l., che hanno acceso il dibattito dottrinario: la divisibilità e l’unitarietà della partecipazione sociale.

L’unitarietà opera su un piano soggettivo[8], essa cioè identifica la posizione giuridica del socio nel rapporto con la società.[9] Alcuni diritti derivanti dalla partecipazioni sociale sono attribuiti al socio indipendentemente dalla misura quantitativa dell’investimento.[10] Nelle società per azioni l’azionista è titolare di una partecipazione composta da più azioni dello stesso valore nominale, ciascuna delle quali è autonoma, distinta e infrazionabile; al contrario, nella società a responsabilità limitata il socio è titolare di una sola quota non scomponibile in titoli autonomi.[11] La quota può avere diverso ammontare a seconda della percentuale di capitale sottoscritto, ogni evento successorio che la interessi determina un incremento o decremento dell’originaria unica quota.

La divisibilità attiene invece ad un piano oggettivo, identificabile nella possibilità di impiego parziale della quota nelle vicende successorie. Il dubbio circa la sussistenza di quest’ultimo carattere sorge dalla mancata riproposizione nella nuova formulazione codicistica di una disposizione della stessa portata dell’art. 2482 cod. civ. ante riforma[12]. Quest’ultimo, rubricato “divisibilità della quota”, fugava da ogni dubbio circa l’ammessa divisibilità della partecipazione di s.r.l. in caso di successione mortis causa e inter vivos, salvo diversa disposizione statutaria.[13]

Nonostante la mancata riproposizione di una disposizione siffatta, si è consolidata la dottrina[14] che sostiene la mancanza di contraddizioni nell’ammettere che la quota sia unitaria e al tempo stesso divisibile, senza una necessaria previsione statutaria in tal senso, specialmente in considerazione del fatto che anche il legislatore sembra riconoscerla in talune circostanze. Basti pensare all’art. 2466 cod. civ., che la presume nel caso della vendita agli altri soci in proporzione alle quote da essi possedute; od ancora nell’ipotesi in cui a seguito del recesso del socio, la quota sia acquistata dagli altri soci ex art 2473 comma 4 cod. civ.. Inoltre, l’indivisibilità della quota finirebbe per impedirne l’alienazione parziale, oggi pacificamente ammessa, e detto impedimento sarebbe in evidente contrasto con lo spirito della riforma del diritto societario del 2003, volta ad ampliare e non già restringere i margini della autonomia privata.[15]

Tornando dunque all’interrogativo proposto in tema di vendita coattiva parziale della quota del socio moroso, alla tesi contraria ricostruita da parte della dottrina[16] che fa leva sul principio di unicità e infrazionabilità della quota di s.r.l., si oppone la lettura prevalente[17], secondo la quale il socio deve poter conservare la posizione acquisita sino al momento dell’adesione all’offerta di sottoscrizione dell’aumento a pagamento, motivando proprio sul carattere divisibile della quota sociale ancorché unitaria.

In aggiunta, si era tentato di spostare il dibattito sull’ammissibilità o meno della vendita parziale anche sul piano economico, che tuttavia è risultato essere poco soddisfacente.[18] Invero, è possibile sostenere che se la ratio della norma è quella di consentire la reintegrazione del capitale sociale, la vendita di solo parte della partecipazione garantirebbe maggiori probabilità di trovare compratori disponibili all’acquisto;[19] allo stesso modo si potrebbe obiettare che la vendita dell’intero può soddisfare interessi che la parte di quota non integrerebbe.[20]

Seppure la dottrina prevalente si è mostrata, dunque, favorevole all’ammissibilità della vendita coattiva parziale, non ha sempre sostenuto con uguale vigore l’inapplicabilità dell’esclusione del socio parzialmente moroso nelle ipotesi in cui la vendita in danno sia infruttuosa.[21] I maggiori dubbi sorgono sulla base di una argomentazione letterale: il legislatore utilizzando il concetto di “esclusione” evoca il necessario coinvolgimento dell’intera quota.

Detto nodo interpretativo è stato oggi sciolto dai giudici di legittimità con la sentenza in commento. Nelle ipotesi di mora derivanti da sottoscrizione di un aumento a pagamento del capitale sociale, la società non potrà escludere il socio e dovrà limitarsi alla sola riduzione del capitale in proporzione alla quota sottoscritta dell’aumento, salvo che l’atto costitutivo della società non contenga una clausola che sancisca l’indivisibilità della quota. Invero, anche la motivazione che sorregge la conclusione proposta dalla Cassazione è basata sul carattere ontologicamente divisibile della quota di partecipazione in s.r.l., non contrastante con il suo profilo di unicità, da intendersi quest’ultima come infrazionabilità della partecipazione in titoli.

 

3. Esercizio dei diritti sociali

L’art. 2466 comma 4 cod. civ. dispone che il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci. L’utilizzo da parte del legislatore del verbo “partecipare” ha diviso la dottrina sulla portata da attribuire alla norma. Ci si chiede se la sospensione del diritto di voto comporti o meno l’inibizione di tutti gli altri diritti amministrativi e, in particolare, del diritto di intervento in assemblea.

Il legislatore ante riforma del 2003 era chiaro nel voler interdire il solo diritto di voto,[22] lasciando la possibilità al socio moroso di esercitare il resto dei diritti amministrativi e, dunque, anche di partecipare ai lavori assembleari. La modifica della formulazione normativa con la riforma del 2003 ha destato il sospetto che il legislatore volesse allargare le maglie della sanzione della privazione del diritto di voto ad altri diritti amministrativi, in particolare quello di intervento nella delibera assembleare.

Aderendo ad una lettura più restrittiva, che fa leva sulla necessaria correlazione tra diritto di intervento in assemblea e diritto di voto, il legislatore sembrerebbe aver preso una esplicita posizione sul punto nel voler interdire il socio dall’esercizio del diritto di voto e di intervento.[23] A questa ricostruzione si obietta che la diversa formulazione normativa che guarda alla “partecipazione alle decisioni” e non “all’assemblea” potrebbe voler tenere conto della possibilità nelle s.r.l. di adottare decisioni con metodo extra-assembleare.[24] Dunque, l’impossibilità di “partecipare alle decisioni dei soci” configurerebbe una disposizione onnicomprensiva utilizzata per indicare la sospensione del diritto di voto per le decisione assembleari e per quelle prese mediante consultazione scritta o consenso espresso per iscritto[25], lasciando immutati gli altri diritti amministrativi. In aggiunta, si rileva che se è vero che il diritto di intervento e il diritto di voto sono strettamente collegati, non è altrettanto vero che la sospensione del diritto di voto porta al necessario venir meno del diritto di intervento, poiché quest’ultimo sebbene prodromico al primo è dotato di una propria autonomia.

Invero, il diritto di intervento in assemblea costituisce uno strumento di controllo della vita sociale per il socio, consentendogli di conoscere lo svolgimento e le risultanze dei lavori assembleari.[26]

Ad acuire la difficoltà interpretativa vi è la mancanza nella disciplina delle s.r.l., a differenza di quanto accade in tema di s.p.a., di una disposizione che faccia luce su come computare il voto sospeso ai fini della formazione del quorum costitutivo e deliberativo. In tema di società per azioni, infatti, l’art. 2368 comma 3 cod. civ. dispone espressamente che le azioni con voto sospeso devono essere calcolate ai fini della corretta costituzione dell’assemblea.

L’opinione prevalente[27] è orientata nel ritenere applicabile anche in tema di s.r.l. il principio esposto dall’art. 2368 comma 3 cod. civ. quale disposizione avente portata di carattere generale.[28]

Detta lettura è stata oggi confortata dai giudici di legittimità con la sentenza in commento, nella cui argomentazione si precisa che solamente il diritto di voto resta sospeso, quale misura sanzionatoria con funzione sollecitativa dell’adempimento. Il socio moroso conserverà, fino al completamento della procedura di vendita in danno o di esclusione, tutti i diritti amministrativi, tra cui il diritto di intervento in assemblea, dovendo essere il socio moroso imputato nel quorum costitutivo ma non in quello deliberativo, e il diritto di ispezione dei documenti sociali. Invero, la garanzia dell’esercizio dei diritti amministrativi è tanto più necessaria nel momento del conflitto con gli altri soci o con la gestione societaria.

 

4. Conclusioni

La Corte di Cassazione con la presente sentenza ha chiarito due punti da sempre discussi in dottrina circa l’ambito di applicazione dell’art. 2466 cod. civ..

Il primo nodo interpretativo affrontato riguarda l’impossibilità di applicare la sanzione dell’esclusione al socio moroso per inadempimento della quota sottoscritta in forza di aumento del capitale sociale. L’esclusione si tradurrebbe in una sanzione eccessivamente gravosa per il socio, nonché risulterebbe contraria al principio di divisibilità della quota e ai principi di correttezza e buona fede che necessariamente informano anche i rapporti societari. In detti casi l’assemblea dei soci dovrà limitarsi a ridurre il capitale sociale per la quota sottoscritta e non versata, dando vita ad una riduzione mista, ossia in parte reale (per i decimi versati) e in parte nominale (per i decimi non versati). Quanto detto solo ove l’atto costitutivo non disponga l’indivisibilità della quota.

In secondo luogo, la situazione di morosità in cui versa il socio, sia essa derivante da sottoscrizione di quota in sede di costituzione o da aumento oneroso, impedisce al socio medesimo di esprimere il proprio voto nelle decisioni e deliberazioni assembleari, ma non sospende gli altri diritti amministrativi: la situazione di morosità non inibisce il diritto di controllo sugli affari sociali di cui sono espressione il diritto di intervento in assemblea e il diritto di ispezione dei documenti sociali.

 

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Note

[1] Ai sensi dell’art. 2464 comma 4 cod. civ. la polizza assicurativa e la fideiussione bancaria devono essere conformi al modello determinato con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Tuttavia la mancata emissione del suddetto provvedimento induce la dottrina ad affermare l’inapplicabilità della disposizione fintanto che non verrà predisposto il modello legale. In tal senso Orientamenti del Comitato triveneto dei notai in materia di atti societari, Massima I.A.11.

[2] Orientamenti del Comitato triveneto dei notai in materia di atti societari, Massima I.A.5.: “ […] In caso di inadempimento dell’obbligazione conferita non sono attuabili i rimedi di cui all’art. 2466 c.c., in quanto l’esecuzione del conferimento di opera o servizi avviene con l’assunzione della corrispondente obbligazione e non con l’adempimento di quest’ultima. In tale ipotesi sono dunque attivabili esclusivamente i normali rimedi civilistici previsti per l’inadempimento delle obbligazioni.”; si veda inoltre Consiglio notarile di Milano, Massima n. 9: “[..] La polizza assicurativa e la fideiussione bancaria, pertanto, devono garantire, per l’intero valore assegnato al conferimento e per l’intero periodo per il quale è stato assunto l’obbligo dal socio, l’adempimento del socio conferente. Esse devono quindi prevedere la facoltà di escussione da parte della società in caso di inadempimento o di impossibilità sopravvenuta, parziale o totale, per causa non imputabile alla società conferitaria. Resta poi ferma la necessità di individuare, caso per caso, la nozione stessa di inadempimento della prestazione, anche in relazione alla natura dell’obbligazione, potendo questa essere sia di mezzi che di risultato.”. Per una completa disamina circa l’applicabilità o meno dell’art. 2466 cod. civ. si veda altresì Studio CNN 212-2008/I, M. Citrolo, La disciplina statutaria dell’esclusione del socio nella società a responsabilità limitata, in Studi e materiali CNN, 4, 2009.

[3] La giurisprudenza di merito più recente evidenzia come l’integrale liberazione di un conferimento d’opera è ottenuta dal binomio prestazione-polizza o prestazione-fideiussione, indi la polizza o la fideiussione non costituiscono un elemento accessorio del conferimento, ma parte del conferimento stesso, tale per cui il venir meno delle garanzie rende il socio moroso, così Tribunale di Roma – Sezione XVI Civile – ordinanza del 22 gennaio 2019, n. 65717.

[4] V. Pappa Monteforte, L’esclusione del socio nella “nuova” s.r.l., in Notariato, 2003, 6, pp. 648 ss; R. Rosapepe, sub art. 2464 cc. in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, Giappichelli Editore, 2003, vol. 3, pp. 29-30; P. Carbone, Il conferimento di prestazione d’opera o di servizi nella società a responsabilità limitata, in Notariato, 2004, 6, pp. 637 ss.; contra F. Tassinari, I conferimenti e la tutela dell’integrità del capitale sociale, in Caccavale- Magliulo- Maltoni- Tassinari, La riforma delle Società a responsabilità limitata, in Società, 2004, p. 111., secondo cui è inapplicabile il meccanismo dell’art. 2466 cod. civ. al socio d’opera avendo egli liberato integralmente il conferimento al momento della sottoscrizione.

[5] La norma fa riferimento all’ultimo bilancio “approvato” non già a quello di esercizio, da ciò si desume che la valutazione può essere effettuata sulla base di un bilancio infrannuale appositamente redatto. Si veda sul punto G. Cian, A. Trabucchi, Commentario breve al codice civile, sub. art. 2466, Milano, CEDAM, 2018, p. 2467.

[6] Da ciò ne discende che nel silenzio dell’atto costitutivo, non si potrà fare ricorso a questa forma di autotutela contrattuale, salvo il consenso di tutti i soci. Così A. Ferrucci C. Ferrentino, Società di capitali, società cooperative e mutue assicuratrici, vol. II, Milano, Giuffrè Editore, 2012, p. 1411.

[7] G. M. D’Aiello, Questioni “aperte” in tema di vendita coattiva della quota del socio moroso di s.r.l., in Banca, Borsa e Titoli di credito, 2012, 6, pt. 2, p. 753.

[8] G. Gitti, Le garanzie del conferimento nelle s.r.l. e la procedura di vendita in danno parziale, in Rivista dei dottori commercialisti, 2019, 3, p. 513.

[9] G. F. Campobasso, Diritto Commerciale, II, Diritto delle Società, Milano, Utet, 2013, p. 575.

[10] Zanarone, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, in Rivista delle Società, 2003, 1, p. 78: “in altre parole, i diritti sociali, mentre nella s.p.a. ineriscono tendenzialmente all’azione più che alla persona, sì che il socio ne annovera in quantità e specie rapportate al numero e alla categoria delle azioni possedute, fanno capo nella s.r.l. tendenzialmente alla persona anziché alla quota, con la conseguenza che il socio è titolare di essi indipendentemente dall’entità della propria partecipazione […]”.

[11] Art. 2468 cod. civ. comma 1: “Le partecipazioni dei soci non possono essere rppresentate da azioni né costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari”.

[12] Art. 2482 cod. civ. ante riforma del diritto societario: “[1] Salva contraria disposizione dell’atto costitutivo, le quote sono divisibili nel caso di successione a causa di morte o di alienazione, purché siano osservate le disposizioni del secondo e terzo comma dell’art. 2474. [2] Se una quota sociale diventa proprietà comune di più persone, si applica l’art. 2347.”.

[13] G. M. D’Aiello, op. cit., p. 749.

[14] G. F. Campobasso, op. cit., 576; F. Galgano, Il nuovo diritto societario, in Trattato Galgano, 2003, 479; R. Rosapepe, Appunti su alcuni aspetti della nuova disciplina della partecipazione sociale nella s.r.l., in Giurisprudenza commentata, 2003, I, 484; L. Genghini, P. Simonetti, Le società di capitali e le cooperative, CEDAM, Milano, 2015, pp. 1015-1016.

[15] F. Platania, Sequestro conservativo e divisibilità della quota di s.r.l.- il commento, in Le Società, 5 / 2018, p. 580.

[16] A. Valzer, La mancata esecuzione dei conferimenti, in S.R.L., Commentario dedicato a Giuseppe B. Portale, a cura di A.A. Dolmetta, G. Presti, Milano, Giuffrè editore, 2011, p. 228; già ante riforma v. G. Ferri, Le società, in Trattato Vassalli, Torino, 1987, p. 435, il quale sosteneva che adottando la vendita in danno pro parte si arriverebbe all’assurda conclusione “che gli amministratori dovrebbero provocare l’offerta per l’acquisto anche da parte del socio moroso”.

[17] F. Galgano, il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, CEDAM, 2003, p. 479;

[18] Studio del CNN n. 5396/I, A. Paolini, Questioni in tema di vendita in danno della quota del socio moroso di s.r.l., in Studi e materiali – Quaderni semestrali del Consiglio Nazionale del Notariato, 2006, p. 240 ss. “Le valutazioni di natura economica sono certamente opportune, nell’interpretazione di norme giuridiche volte a disciplinare realtà imprenditoriali; ma esse possono divenire dirimenti nella scelta dell’interpretazione più attendibile solo allorché risultino univoche. Nel caso in esame, la composizione della compagine sociale, la misura della partecipazione del socio, la negoziabilità della partecipazione, rappresentano variabili in grado di alterare profondamente l’esito dell’operazione ermeneutica, conducendo a soluzioni diverse in relazione alle loro caratteristiche concrete.”

[19] M. Perrino, Le tecniche di esclusione del socio dalla società, Milano, Giuffrè, 1997, p. 286; Masturzi, Sub Art. 2466, in Sandulli e Santoro (a cura di), op. cit., 44;

[20] G. Ferri, op. cit., p. 435.

[21] G. P. Alleca, L’intangibilità della posizione del socio in s.r.l., in Rivista delle Società, fasc. VI, 2017, pp. 1110-1111.

[22] Art. 2477 comma 4 cod. civ. ante riforma: “il socio in mora nei versamenti non può esercitare il diritto di voto”.

[23] F. Tassinari, op. cit., 110

[24] Art. 2479 comma 3 cod. civ.: “L’atto costitutivo può prevedere che le decisioni dei soci siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base del consenso espresso per iscritto”.

[25] L. Genghini, op. cit., p. 993.

[26] A. Fusi, Diritto di intervento in assemblea del socio privo del diritto di voto, in Le Società, 2001, 11, pp. 1367 ss.

[27] Tribunale Bari sez. IV, 15/07/2013, in Vita Notarile, 2013, 3, 1295; Orientamenti del Comitato triveneto dei notai in materia di atti societari, Massima I.A.24.:” La disposizione di cui al comma 4 dell’art. 2466 c.c., in forza della quale il socio moroso non può partecipare alle decisioni dei soci, deve essere interpretata, nel caso di decisione assembleare, nel senso che detto socio ha comunque il diritto di intervento in assemblea e, se intervenuto, di essere computato tra i presenti. Nelle decisioni assembleari, dunque, la partecipazione del socio moroso deve essere computata per il calcolo del quorum costitutivo, mentre non deve essere computata per il calcolo delle maggioranze e della quota di capitale richiesta per l’approvazione della deliberazione.”. Si veda sul punto anche la seguente Massima I.A.25 la quale precisa che nelle ipotesi di socio moroso per sottoscrizione di un aumento del capitale sociale, la sospensione è da intendersi per l’intera partecipazione.

[28] CNN Quesito n. 50-2007/I, di A. Paolini, Quorum costitutivo e deliberativo di s.r.l. e computo delle partecipazioni dei soci morosi.

Sentenza collegata

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Valeria Verì

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