Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 8/2/2010 n. 2714

Redazione 08/02/10
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Svolgimento del processo
C.E. ha impugnato davanti alla Corte d’appello di Brescia la sentenza del Tribunale di Bergamo con la quale erano state respinte le domande che egli aveva proposto nei confronti di suo fratello Cu.Cl., attinenti alle eredità relitte dai loro genitori.

Il gravame è stato dichiarato inammissibile dal giudice di secondo grado, il quale ha ritenuto che: con l’appello C.E. aveva dedotto, tra l’altro, che il proprio unico procuratore era deceduto il (omissis), ma in seguito all’evento, ignorato dal Tribunale, il processo non era stato interrotto; ciò costituiva ragione di nullità della sentenza di primo grado, da far valere, come era avvenuto, in sede di impugnazione; l’appello era stato però proposto tardivamente, poichè la sentenza era stata notificata al soccombente personalmente il 6 giugno 2001; questa notificazione (che poteva e doveva essere effettuata con tale modalità, appunto a causa della morte del procuratore del destinatario) era idonea a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., termine che risultava quindi non essere stato rispettato.

C.E. ha proposto ricorso per cassazione, in base ad un motivo. ****** ha resistito con controricorso. Ambedue le parti hanno depositato memoria per l’udienza.

La seconda sezione civile di questa Corte, con ordinanza n. 5419 del 5 marzo 2009, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle sezioni unite, rilevando che, con il motivo addotto a sostegno del ricorso, non viene contestata l’esattezza dei principi affermati dalla Corte d’appello, ma se ne nega l’applicabilità nell’ipotesi in cui, come nella specie, manchi la prova della conoscenza, da parte del soccombente, della morte del proprio procuratore. In tal caso, secondo il ricorrente, la notificazione della sentenza alla parte personalmente non sarebbe idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, come deve desumersi da Corte Cost., 15 dicembre 1967 n. 139, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 305 c.p.c., "per la parte in cui fa decorrere dalla data di interruzione del processo il termine per la sua prosecuzione o la sua riassunzione, anche nei casi regolati dal precedente art. 301 di morte, radiazione o sospensione procuratore costituito".

Inoltre, in memoria il ricorrente ha sostenuto che la notificazione della sentenza, in quanto atto di impulso processuale, non avrebbe potuto comunque essere validamente effettuata, stante l’automaticità dell’effetto interruttivo derivante dalla morte del procuratore del destinatario; ha, altresì, invocato Corte cost. 3 marzo 1986, n. 41, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 328 c.p.c., "nella parte in cui non prevede tra i motivi di interruzione dei termini di cui all’art. 325 c.p.c., la morte, la radiazione e la sospensione dall’albo del procuratore costituito, sopravvenuta nel corso del termine stesso"; per il caso che non si aderisca alle sue tesi, ha chiesto che venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 326 c.p.c., nella parte in cui non prevede, tra i motivi di interruzione del termine breve di impugnazione, la morte, la radiazione e la sospensione dall’albo del procuratore costituito nel corso del giudizio di primo grado, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost..

Ciò premesso, la menzionata ordinanza della seconda sezione civile di questa Corte ha osservato che la giurisprudenza di legittimità, anche dopo le citate pronunce della Corte costituzionale, si è orientata nel senso che "la notifica personale della sentenza alla controparte già costituita a mezzo di procuratore costituisce l’unica forma possibile di notificazione in caso di decesso del detto procuratore ed è idonea, anche se effettuata in forma esecutiva, a far decorrere il termine breve per l’impugnazione” (Cass. 10 febbraio 1987, n. 1408; 22 dicembre 1987, n. 9571; 24 febbraio 1995, n. 2129; 17 giugno 1999, n. 6011; 26 febbraio 2001 n. 2746). Inoltre, con Cass. 1 giugno 1990, n. 5133, e 18 aprile 2003, n. 6300, sono state dichiarate manifestamente infondate eccezioni di legittimità costituzionale sollevate con riguardo alle norme che non prevedono l’interruzione del termine breve, nel caso di morte del procuratore avvenuta dopo la chiusura della discussione, nè di quello lungo, nell’ipotesi di decesso verificatosi nel corso del giudizio a quo; nei precedenti citati non è stata, tuttavia, espressamente affrontata l’ulteriore e più specifica questione posta ora dal ricorrente: se il principio dell’ininfluenza della morte del procuratore possa trovare applicazione anche ove il destinatario della notificazione non sia a conoscenza dell’evento.

L’ordinanza citata ha, dunque, ritenuto che la questione sia di particolare importanza, in ragione sia della sua novità, sia della sua incidenza, con implicazioni anche di legittimità costituzionale, su istituti basilari della procedura civile, come il diritto alla difesa tecnica e la formazione del giudicato.

Il Primo Presidente ha, dunque, assegnato la causa alle sezioni unite. Ambedue le parti hanno depositato memorie per l’udienza.

Motivi della decisione
1 – IL QUESITO ED I TERMINI DEL DIBATTITO. Premesso che, nell’ipotesi in cui il difensore della parte deceda dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni ma prima dell’udienza di discussione della causa, l’unico modo, per la controparte, per far decorrere il termine breve per l’impugnazione consiste nella notifica della sentenza alla parte personalmente, il quesito sottoposto alle sezioni unite consiste nello stabilire se, in questo caso, assuma rilievo la mancata conoscenza, da parte del destinatario della notificazione della sentenza, della morte del suo stesso difensore e, dunque, dell’evento interruttivo prodottosi a suo danno. Occorre subito chiarire che nel dibattito, così come introdotto, s’impone la contrapposizione di interessi di pari rilievo costituzionale. Da un lato v’è l’esigenza della parte che ha ricevuto la personale notificazione della sentenza, in conseguenza della morte del suo difensore, di munirsi, in un termine quantitativamente ridotto (trenta o sessanta giorni) di una nuova difesa tecnica che, nell’arco di quello stesso tempo, predisponga l’eventuale atto di impugnazione. Dall’altro, l’esigenza della controparte (che, per far decorrere il termine breve d’impugnazione, non ha altro mezzo che notificare la sentenza personalmente) di ottenere la rapida formazione del giudicato o, in alternativa, la rapida instaurazione del procedimento d’impugnazione.

Rilevano, dunque, gli artt. 24 e 111 Cost., quanto all’inviolabilità della difesa in giudizio, alla garanzia del contraddittorio ed alla ragionevole durata del processo.

La dottrina ha da sempre posto in evidenza l’insufficienza strutturale della disciplina processuale delle cause interruttive del processo, soprattutto per quanto riguarda la fase di trasmigrazione tra i diversi gradi di giudizio. Insufficienza alla quale ha posto rimedio sia la giurisprudenza costituzionale, sia quella di legittimità.

Nel caso in trattazione (morte del difensore dell’attore dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni ma prima dell’udienza di discussione, senza la dichiarazione d’interruzione del procedimento) non si dubita (nè da parte del ricorrente, nè da parte del collegio remittente) che la notifica personale della sentenza alla controparte già costituita a mezzo di procuratore costituisca l’unica forma possibile di notificazione idonea, anche se effettuata in forma esecutiva, a far decorrere il termine breve per l’impugnazione. Il principio costituisce ormai patrimonio consolidato della giurisprudenza di legittimità (susseguente agli interventi in materia della Corte costituzionale), sul quale non occorre neppure svolgere apposita trattazione (cfr. Cass. 26 febbraio 2001, n. 2746; 17 giugno 1999, n. 6011; 24 febbraio 1995, n. 2129; 22 dicembre 1987, n. 9571).

Altrettanto fuori discussione (lo pone in evidenza la sentenza impugnata) è che la morte dell’unico procuratore, a mezzo del quale la parte è costituita in giudizio, determina automaticamente l’interruzione del processo, anche se il giudice e le altre parti non ne hanno avuto conoscenza; interruzione che preclude ogni ulteriore attività processuale, la quale, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza.

Nullità che può essere fatta valere secondo il principio di cui all’art. 161 c.p.c., per il quale i motivi di nullità della sentenza si convertono in motivi di gravame (nella specie, l’impugnazione è stata sperimentata ma, come s’è visto, è stata dichiarata inammissibile per tardività dal giudice dell’appello).

Tutto ciò premesso, la perplessità del collegio remittente ed il quesito del ricorrente concernono piuttosto la possibile applicazione di questo principio (ininfluenza, dunque, della morte del procuratore nella specifica vicenda in esame) anche nel caso in cui il destinatario della notificazione non sia a conoscenza dell’evento morte, ossia di quell’evento che ha comportato l’interruzione, benchè non dichiarata, del processo.

In particolare, il ricorrente cita a sostegno della propria tesi (che, in estrema sintesi (lamenta la violazione del diritto costituzionale alla difesa tecnica) due precedenti, in tema, del giudice delle leggi: Corte cost. n. 139 del 1967 e n. 41 del 1986. 2. – GLI INTERVENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE IN MATERIA. Corte cost. 15 dicembre 1967, n. 139 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 305 c.p.c., per la parte in cui fa decorrere il termine per la prosecuzione o la riassunzione del processo non dalla notizia che dell’evento interruttivo (qualunque evento interruttivo) abbia avuto la parte, ma dalla data in cui questo evento si è verificato.

In questa pronuncia la Corte fornisce una definizione ampia del diritto di difesa tecnica, evidenziandone tutti gli elementi che ne devono comporre il contenuto ineludibile. Se ne ricava che l’art. 301 c.p.c., è una disposizione processuale a tutela del diritto di difesa, coerente con il dettato dell’art. 24 Cost.. In particolare la norma mira a limitare le conseguenze negative della sopravvenuta assenza di continuità nell’assistenza tecnica, che invece non viene meno quando gli eventi interruttivi riguardino la parte e non il difensore. La difesa deve essere garantita in ogni stato e grado del processo, ma non la si protegge in tale estensione quando la disposizione di tutela, utile per un grado, è causa di pregiudizio se applicata al grado successivo. Le misure di garanzia del diritto di difesa devono essere valutate in modo "integrale", non limitandone l’esame alle singole fasi processuali od ai singoli gradi. La discrezionalità legislativa nella formulazione dei termini processuali non è in discussione ma occorre valutare se la norma ponga il soggetto in grado di utilizzare nella sua interezza lo spatium deliberandi predeterminato.

In altri termini, la censura di costituzionalità – ritiene il giudice delle leggi – non riguarda l’adeguatezza del termine ma la legittimità del criterio adottato per identificare il dies a quo, non potendo essere compatibile con la piena esplicazione del diritto alla difesa il decorso di un termine, quale quello stabilito per la prosecuzione o riassunzione del giudizio ex art. 305 c.p.c., senza che la parte conosca il fatto cui la legge subordina o condiziona il concreto esercizio del diritto di difesa.

E’ indubbio che, come pongono in evidenza sia il ricorrente sia l’ordinanza di rimessione, i principi desumibili dalla sentenza costituzionale in commento, benchè resi in una fattispecie affatto diversa da quella ora in esame, debbano costituire un punto centrale di riflessione per la soluzione del quesito oggi posto alle sezioni unite. Ne emerge, infatti, il canone generale secondo cui la causa interruttiva debba essere conosciuta dalla parte a cui svantaggio opera, potendosi trasformare, in caso d’ignoranza incolpevole, da misura di garanzia del diritto di difesa a conseguenza negativa produttiva di effetti (come il giudicato) potenzialmente irreversibili. Per altro verso, se ne ricava l’incompatibilità costituzionale della formazione "involontaria" (per una delle parti) del giudicato senza aver messo in condizione la parte che ne risulti danneggiata di porre in essere le contromisure difensive idonee a scongiurarne la verificazione.

Autorevolissima dottrina processuale accolse subito con favore l’intervento della Corte costituzionale, senza però mancare di porre in evidenza che esso aveva scongiurato la "estinzione misteriosa" del processo, restando tuttavia da evitare il correlato rischio di una "interruzione perpetua". Propose, dunque, di porre, a carico della parte pregiudicata dall’estinzione, l’onere di provare l’ignoranza dell’interruzione automatica o, comunque, la sua tardiva conoscenza.

Fatto sta che, a fondamento della problematica, è stato sempre posto in evidenza il bipolarismo degli interessi in gioco: da un lato, l’esigenza di rendere effettivo il contenuto del diritto di difesa (nel suo profilo di difesa tecnica, quando la parte è tenuta a stare in giudizio a mezzo di un difensore); dall’altro, l’esigenza altrettanto rilevante di assicurare la stabilizzazione dei rapporti attraverso la formazione del giudicato.

Il rilievo della conoscenza dei fatti che incidono sulla sfera dei diritti e delle facoltà processuali delle parti, si riscontra anche in altre pronunce della Corte costituzionale. Nella sentenza n. 34 del 1970, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 297 c.p.c., nella parte in cui dispone la decorrenza del termine utile per la richiesta di fissazione della nuova udienza dalla cessazione della causa di sospensione del procedimento invece che dalla conoscenza che ne abbiano le parti del processo sospeso.

Con la sentenza n. 159 del 1971 il principio contenuto nella sentenza n. 139 del 1967 viene esteso anche ai fatti interruttivi, indicati nell’art. 299 c.p.c., che colpiscono la parte e che possono non essere conosciuti dagli eredi o dalle controparti. Anche in questa ipotesi, ritiene la Corte, il termine per la prosecuzione o la riassunzione del giudizio deve decorrere dalla conoscenza del fatto interruttivo e dal suo venire in essere.

L’opera di adeguamento sistematico della disciplina processuale dell’interruzione del procedimento ha investito anche l’art. 328 c.p.c., nella parte in cui non prevede l’interruzione del termine breve per impugnare pure nel caso in cui il fatto interruttivo, sopravvenuto nella pendenza del termine in questione, riguardi il procuratore costituito nel precedente grado. A questa specifica lacuna ha posto rimedio la sentenza n. 41 del 1986 (che, siccome riguardante anch’essa più da vicino il tema oggi in trattazione, risulta pure menzionata dall’ordinanza di rimessione) dalla quale si può estrarre il principio secondo cui il diritto alla difesa tecnica non è tutelabile solo all’interno delle singole fasi processuali ma si estende, sotto il profilo specifico della continuità dell’assistenza tecnica anche nelle fasi di quiescenza, o più esattamente, di passaggio da un grado all’altro del giudizio, in quanto scandite da adempimenti assoggettati a preclusioni ed esposte al rischio, non più soltanto endoprocessuale, del giudicato. La mancanza della condizione della rappresentanza processuale non fa venire meno la garanzia costituzionale della difesa tecnica anche in questa delicata scansione del giudizio, come può rilevarsi dagli artt. 285 e 330 c.p.c., che pongono a carico del procuratore costituito nel precedente grado precisi obblighi di ricezione degli atti più incisivi sulle scelte processuali future e d’informazione tempestiva.

Se, per un verso, s’è detto che i menzionati arresti del giudice costituzionale affrontano in pieno la problematica della quale qui si discute e forniscono un quadro esauriente e suggestivo del diritto della parte alla difesa tecnica, per altro verso occorre pur dire che le fattispecie nelle quali è intervenuta la Corte costituzionale sono ben diverse da quella qui in trattazione. Differenza di non scarso rilievo che ci fa riflettere circa l’impossibilità di traslare in maniera pressochè automatica quei principi al nostro caso. infatti, nella fattispecie esaminata da Corte cost. n. 139 del 1967 (ma tanto vale anche per gli altri menzionati arresti) la parte che rischia l’estinzione non è destinataria di alcun atto avente rilievo processuale dal momento in cui opera l’interruzione automatica del processo fino alla perenzione del termine; ossia, per lei l’estinzione può essere effettivamente misteriosa, visto che non le proviene alcuno stimolo (men che mai dalla controparte) che le possa dare cognizione del fattore interruttivo. Nel caso che ci riguarda, invece, la parte ha ricevuto la notifica personale della sentenza, ossia un atto formale proveniente dalla controparte, contenente quanto meno l’informazione relativa all’intervenuta pronuncia sfavorevole. Una forma di conoscenza del mutamento della condizione preesistente si è verificata, pur se l’atto non contiene la specificazione dell’intervenuto evento interruttivo ed anche se non può pretendersi dalla parte la conoscenza dei complessivi effetti dell’intervenuta notifica della sentenza alla parte stessa invece che al suo difensore.

Lo stesso discorso può farsi quanto alla sentenza costituzionale n. 41 del 1986, la quale, come s’è visto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 328 c.p.c., laddove non prevedeva tra i motivi di interruzione del termine breve per l’impugnazione (art. 325 c.p.c.) la morte, la radiazione e la sospensione dall’albo del procuratore costituito sopravvenute nel corso del termine stesso. In questo caso l’evento interruttivo sopravviene rispetto all’inizio del termine per impugnare ed il venir meno della rappresentanza processuale fa mancare la garanzia costituzionale della difesa tecnica anche in questa delicata scansione del giudizio, come può rilevarsi dagli artt. 285 e 330 c.p.c., che pongono a carico del procuratore costituito nel precedente grado precisi obblighi di ricezione degli atti più incisivi sulle scelte processuali future e d’informazione tempestiva. Nel nostro caso, invece, l’evento interruttivo s’è verificato (benchè non dichiarato) nel corso del giudizio di primo grado ed il termine breve d’impugnazione comincia a decorrere proprio quando, legittimamente e senza alcuna alternativa, la sentenza viene notificata alla parte personalmente. Caso nel quale, dunque, non può parlarsi di interruzione d’un termine che, al momento del verificarsi dell’evento interruttivo, non è neppure cominciato a decorrere.

3 – LA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITA’.

La giurisprudenza di legittimità ha intensamente contribuito (sebbene non sempre univocamente) ad integrale in via interpretativa e sistematica quella che si è detto essere in materia l’insufficienza strutturale dell’impianto normativo, soprattutto per quanto riguarda i momenti di trasmigrazione del giudizio da un grado all’altro del processo.

Non è mancata, dunque, l’attenzione verso il diritto della parte alla difesa tecnica, sulla stregua della giurisprudenza costituzionale inaugurata da Corte cost. n. 139 del 1967. E’ a quest’ultima pronunzia che ha fatto esplicito riferimento Cass. sez. un. 27 novembre 1998, n. 12060, quando, nel comporre un precedente contrasto di giurisprudenza, ha trattato l’ipotesi in cui la morte del procuratore, per mezzo del quale la parte si sia costituita nel precedente grado di giudizio ed al quale sia stato notificato l’atto di impugnazione, intervenga dopo tale notificazione e prima del decorso dei termini per la costituzione in giudizio e la proposizione dell’impugnazione incidentale. Ha stabilito, dunque, che in questo caso si verifica (diversamente da quanto aveva prima ritenuto una pur nutrita giurisprudenza) l’interruzione del processo, atteso che, a seguito del decesso, non è più possibile l’adempimento del dovere di informazione che grava sul procuratore; dovere che non viene meno nel momento stesso della notificazione dell’atto di impugnazione.

La pronunzia incentra le proprie argomentazioni sul contenuto e l’ampiezza del diritto di difesa così come enucleabile dall’art. 24 Cost., osservando che l’esigenza del diritto alla difesa, in ogni stato e grado del procedimento, e di un’effettiva assistenza tecnica e professionale è tanto più necessaria in considerazione dei caratteri di particolare delicatezza propri del decorso del termine per costituirsi. La continuità deve costituire un tratto ineludibile del diritto in questione, rappresentando il nucleo unificatore di tutta la più generale disciplina sia degli artt. 299, 300 e 301 c.p.c., sia, al di là delle critiche e dei distinguo, anche degli artt. 328 e 330 c.p.c.. La scelta estensiva viene giustificata proprio in considerazione della priorità dei valori costituzionali garantiti dall’art. 24 Cost., i quali conducono a ritenere che nelle fasi dinamiche del processo, caratterizzate da cogenti termini di decadenza, deve essere attribuita efficacia interruttiva ad ogni evento, di natura involontaria, in grado di alterare l’effettività dell’esplicarsi delle possibilità dell’esercizio del diritto di difesa della singola parte. L’attenzione dedicata alla pronuncia risiede proprio sul rilievo ermeneutico che la Corte attribuisce al diritto di difesa nel legare sistematicamente la disciplina frammentaria degli eventi interruttivi disciplinati nel codice di procedura civile.

Occorre, però, anche in questo caso porre in rilievo che la pronunzia in commento tratta del diverso caso in cui la notifica dell’impugnazione è avvenuta nei confronti del procuratore per mezzo del quale la parte s’era costituita nel precedente grado di giudizio e la cui morte s’è verificata dopo la notificazione stessa e prima del decorso dei termini per costituirsi nel giudizio di gravame e per proporre impugnazione incidentale. Di qui la necessità di una difesa tecnica che abbia il carattere della continuità informativa ed assistenziale, della quale la parte non può essere privata in un così delicato momento processuale. Laddove, invece, nel nostro caso – lo si ribadisce – il primo grado del giudizio è stato definito a mezzo di una sentenza notificata personalmente alla parte, così da offrire l’innesco di una eventuale, ulteriore fase concernente il gravame.

Per il resto, nella vastissima giurisprudenza di legittimità sviluppatasi in materia viene in evidenza un tessuto sistematico teso a rafforzare la preminenza del giudicato rispetto alla lesione del principio del contraddittorio.

In particolare, la Corte di cassazione ha affrontato il problema dell’incidenza della morte del procuratore sulla fase d’impugnazione, sia con riferimento all’evento interruttivo che si verifichi dopo la pubblicazione della sentenza (o dopo la chiusura della discussione), sia con riferimento all’evento interruttivo che si verifichi nel corso del giudizio di primo grado ma non venga formalmente dichiarato fino alla conclusione, con la pubblicazione della sentenza di tale giudizio (come è avvenuto nel nostro caso). Nell’ultima ipotesi, è consolidato l’orientamento secondo il quale l’evento rientrante tra quelli indicati nell’art. 301 c.p.c., determina l’interruzione automatica del procedimento e la conseguente nullità della sentenza E’ utile evidenziare come la Corte abbia ritenuto non assimilabile al contumace involontario la situazione della parte privata nel corso del procedimento di primo grado della rappresentanza processuale (Cass. n. 11264 del 2002) ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’inapplicabilità, in via analogica, del regime giuridico più favorevole riservato al contumace involontario dall’art. 327 c.p.c., comma 2, in correlazione al diritto alla continuità dell’assistenza tecnica, perchè il contumace involontario, a differenza della parte già costituita con il difensore, non ha mai avuto notizia del processo (Cass. n. 10112 del 2009).

Questo orientamento si configura ancora più rigorosamente legato alla preminenza del giudicato ove lo si ponga in correlazione con il concorrente e coerente principio della validità ed efficacia della notificazione della sentenza eseguita personalmente nei confronti della parte che sia rimasta priva della difesa tecnica a causa del prodursi di uno degli eventi indicati nell’art. 301 c.p.c..

La contiguità dei due principi – quello della preminenza del giudicato sulla nullità di tutti gli atti processuali successivi all’automatico prodursi dell’interruzione del procedimento e quello della validità ed efficacia della notifica della sentenza alla parte personalmente al fine della decorrenza del termine breve – accomuna sia le pronunce che hanno ad oggetto una delle fattispecie interruttive descritte nell’art. 301 c.p.c., intervenuta durante il corso del procedimento, sia quelle riguardanti una fattispecie interruttiva relativa all’intervallo procedimentale tra i due gradi di giudizio.

Inoltre, a rafforzare la preminenza del giudicato sulla lesione del principio del contraddittorio si pongono anche le pronunce che richiedono al contumace involontario la prova rigorosa della mancata conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione, assumendo prevalentemente un’interpretazione restrittiva dell’ambito di applicazione della sanatoria prevista nell’art. 327 c.p.c., comma 2.

Peraltro, la Corte di cassazione oltre ad aver assunto un ruolo di primario rilievo nella rimessione alla Corte costituzionale delle più evidenti compressioni del diritto di difesa, scaturenti dalle norme processuali relative all’interruzione, ha in diverse occasioni, con ampie argomentazioni, escluso il rilievo costituzionale di alcune lamentate lacune normative sottoposte al suo esame. Tali pronunce, segnalate anche nell’ordinanza interlocutoria (Cass. n. 5133 del 1990 e 6300 del 2003), riguardano proprio l’applicabilità dell’interruzione del termine, breve o lungo, d’impugnazione, al fatto interruttivo che ha colpito il procuratore costituito nel precedente grado.

Nell’ultima pronuncia citata la Corte affronta direttamente la questione di legittimità costituzionale degli artt. 161 e 327 c.p.c., nella parte in cui escludono l’incidenza della morte del procuratore avvenuta nel procedimento di primo grado sul successivo termine (lungo) per impugnare e ne esclude la censurabilità per tre ragioni: in primo luogo esclude, coerentemente con gli orientamenti successivi, l’assimilabilità al contumace involontario che non ha mai avuto conoscenza non della causa interruttiva ma dell’intero processo; in secondo luogo ritiene che la disciplina processuale del rilievo dei fatti interruttivi nella pendenza del termine breve o lungo per impugnare (art. 328 c.p.c., interpolato quanto al termine breve da Corte cost. n. 41 del 1986) evidenzino l’ininfluenza rispetto allo specifico regime delle impugnazioni, dei fatti interruttivi occorsi prima; in terzo luogo si sottolinea che il favor legislativo per la formazione del giudicato è una scelta discrezionale non censurabile ed il suo superamento richiederebbe una sentenza additiva non ammissibile secondo i limiti stabiliti dalla Corte costituzionale.

In sintesi, nelle pronunce esaminate, contrariamente a quanto accade per il contumace involontario, il cui regime giuridico di favore s’incentra sulla dimostrazione della mancata conoscenza del processo (art. 327 c.p.c., comma 2), è irrilevante la conoscenza effettiva o legale della parte rispetto al fatto interruttivo occorso al procuratore costituito. L’importanza della conoscenza legale della causa interruttiva, affermata da Corte cost. n. 139 del 1967, è limitata al termine per la prosecuzione o riassunzione del processo, mentre nessuna funzione riveste con riferimento ai termini per impugnare, rispetto ai quali il sistema di garanzie contenuto nell’art. 328 c.p.c., integrato dalla possibilità di provvedere alla notifica della sentenza alla parte personalmente viene ritenuto adeguato o comunque non emendabile mediante l’intervento della Corte costituzionale, in quanto espressione del potere discrezionale legislativo di prediligere la formazione del giudicato rispetto alla tutela dell’effettività e completezza del contraddittorio nella fase di passaggio tra un grado e l’altro del processo. Con riferimento a tale fase, infatti, sia la Corte costituzionale, sia la Corte di cassazione hanno ritenuto che le scelte rivolte versa l’ampliamento del principio del contraddittorio sono alternative e non univocamente realizzabili mediante l’intervento di adeguamento costituzionale adottabile mediante le sentenze della Corte costituzionale.

A completare siffatto quadro interpretativo è intervenuta la recente Cass. sez. un. 16 dicembre 2009, n. 26279, la quale ha stabilito che l’atto d’impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, debba essere rivolto e notificato agli eredi, senza che possa essere attribuita rilevanza nè al momento in cui il decesso è avvenuto, nè alla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente (restando esclusa, altresì, la possibilità di ricorrere alla rinnovazione ex art. 291 c.p.c., nel caso in cui l’impugnazione sia proposta nei confronti del defunto).

La pronuncia è pervenuta a questa conclusione nella considerazione che le norme in tema d’impugnazione fanno tutte dipendere la validità dei relativi atti da presupposti prettamente oggettivi, senza lasciare alcuno spazio di rilevanza a condizioni interne di buona fede. Ha pure richiamato l’insegnamento di uno dei fondatori della moderna scienza processuale (già richiamato da Cass. sez. un. 15783 del 2005, la quale ha escluso che possa attribuirsi rilievo all’ignoranza incolpevole, da parte dell’impugnante, dell’avvenuto raggiungimento della maggiore età della controparte) secondo cui le parti, quando è definito un grado e deve aprirsene un altro, tornano nella situazione in cui si trova l’attore prima di proporre la domanda, posto che nell’eventuale, successivo grado del giudizio si da luogo ad un nuovo rapporto processuale ulteriore e distinto, anche se collegato a quello ormai esaurito con la pronuncia della sentenza.

4 – IN CONCLUSIONE. Le sezioni unite ritengono che debba essere data continuità alla giurisprudenza finora esposta, applicandone i principi al caso in esame e ponendo in rilievo che la relativa peculiarità consente di escludere la violazione del diritto costituzionale alla difesa tecnica.

Ancora una volta occorre segnalare che la lesione del diritto alla difesa tecnica può essere riscontrato nel caso in cui l’evento interruttivo (con le eventuali conseguenze estintive o decadenziali) si verifichi in un momento processuale in cui la parte, munitasi di un difensore, resta personalmente indifferente rispetto allo svolgimento del giudizio. Nel senso che tutte le attività sono svolte dal suo rappresentante, il quale è anche destinatario di notificazioni e comunicazioni varie. Nel caso che ci riguarda, invece, la parte riceve il ben preciso stimolo processuale, costituito dalla notificazione della sentenza alla sua stessa persona.

Orbene, restando indiscusso che, in caso di morte del difensore nella già indicata fase processuale, l’unico mezzo di cui dispone la controparte per far decorrere il termine breve per impugnare è costituito dalla notifica personale dell’impugnazione, per un verso deve riconoscersi che la parte, in questa fase processuale di transizione, non può essere sottratta all’onere (peraltro, neppure gravoso) costituito dall’informarsi circa le ragioni dell’avvenuta notifica alla sua persona e non al difensore, per poi, appresa la morte di questo, rivolgersi ad altro professionista per l’eventuale, tempestiva impugnazione. Per altro verso, non è dato, in via interpretativa, investire la parte notificante dell’onere (ulteriore, rispetto a quello della notifica personale) di avvisare la controparte, alla quale rivolge la notifica personale, della morte del suo stesso difensore.

Inoltre, il rimedio proposto, per il caso in cui la parte incolpevolmente ignori la morte del suo difensore, consiste in un’interpretazione estensiva dell’art. 328 c.p.c., che consenta l’interruzione del termine breve per impugnare anche nel caso in cui la morte del difensore, ignota alla parte, sia avvenuta nel corso del procedimento di primo grado o, comunque, l’interruzione del termine d’impugnazione fino alla legale conoscenza dell’evento (mentre l’art. 328, disciplina il caso in cui uno degli eventi dell’art. 301 c.p.c., sopravvenga nel corso del termine). Ma a siffatta proposta occorre rispondere che nella specie si tratterebbe di introdurre in via ermeneutica un modulo processuale affatto nuovo (probabilmente, la rimessione in termini con modalità analoghe a quelle previste dall’art. 327 c.p.c., potrebbe essere una misura efficace) con la scelta di una serie di alternative la cui individuazione spetta solo al legislatore e che implicherebbe, innanzitutto, stabilire se la conoscenza dell’evento interruttivo in questione debba essere legale o effettiva.

Tant’è che la stessa Corte costituzionale (cfr. in particolare l’ord. n. 222 del 1995) ha ritenuto che l’estensione di una misura di garanzia dell’esercizio del diritto di difesa è ammissibile solo se risulta l’unico strumento costituzionalmente obbligato, mentre deve ritenersi inammissibile se esiste una pluralità di interventi possibili da rimettere, appunto, al legislatore. Così come non è consentito neppure al giudice delle leggi dettare una disciplina processuale nuova che non si limiti all’estensione analogica di norme preesistenti, ma richieda un intervento creativo e non solo correttivo.

Per ultimo, occorre fare – un’osservazione per nulla marginale. L’art. 153 c.p.c., come novellato dalla L. n. 69 del 2009, consente, dall’entrata in vigore della legge, una soluzione adeguata al problema della parte ignara del fatto interruttivo, contemplato nell’art. 301 c.p.c., di cui non abbia avuto idonea e tempestiva informazione e di cui non abbia sollecitato la conoscenza a causa delle disfunzioni organizzative dei procedimenti di merito, soprattutto nella fase successiva alla chiusura dell’istruzione probatoria. Il nuovo comma 3, dell’articolo in commento ha, infatti, introdotto una norma che consente alla parte che sia incorsa in una decadenza processuale, per l’inutile decorso di un termine perentorio, ad essa non imputabile, di essere rimessa in termini, in qualsiasi stato e grado del giudizio. A seguito dell’istanza, il giudice provvede ex art. 294 c.p.c., comma 2, e, se ritiene verosimili i fatti allegati, ammette la prova dell’impedimento e dispone la rimessione in termini. Con questa disposizione sarà possibile dimostrare l’esiguità del termine per impugnare dal momento dell’effettiva conoscenza, successiva alla notificazione della sentenza, della nuova situazione processuale, cui porre rimedio.

Proprio la novità di questo regime pone in luce la pregressa mancanza di uno strumento generale capace d’incidere sulla formazione del giudicato in casi corrispondenti a quello esaminato e si accompagna alla restrizione normativa di tutti i termini, (compresi quelli finalizzati alla prosecuzione e alla riassunzione del giudizio ex art. 305 c.p.c., e quelli riguardanti la decadenza dalle impugnazioni) che regolano le fasi di quiescenza del processo.

In conclusione, deve essere enunciato il seguente principio:

"Nell’ipotesi in cui il difensore della parte deceda dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni ma prima dell’udienza di discussione della causa, il termine breve per l’impugnazione decorre dalla notifica personale della sentenza alla parte rimasta priva di difensore, senza che assuma rilievo la mancata conoscenza incolpevole dell’evento interruttivo verificatosi (benchè non dichiarato) ai danni della parte stessa".

La sentenza impugnata s’è adeguata a questo principio, sicchè il ricorso deve essere respinto. La questione di legittimità costituzionale risulta già risolta in precedenza. La particolare importanza della questione impone la totale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2009.

Redazione