Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 6/7/1991 n. 7471; Pres. Brancaccio A.

Redazione 06/07/91
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Svolgimento del processo

Con sentenza del 22 febbraio 1985, il Pretore di Napoli accoglieva la domanda proposta da M. C. nei confronti della Soc. EUROPCAR ITALIA e dichiarava che il rapporto di lavoro, instaurato tra le parti come contratto a termine si doveva considerare a tempo indeterminato, con condanna della convenuta alla reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro ed alla corresponsione della retribuzione dal 6 gennaio 1985.

Provvedendo sull’appello della soccombente, il Tribunale di Napoli, con sentenza del 22 maggio 1986, confermava la decisione impugnata.

Riteneva infatti il Tribunale che correttamente il primo giudice, dopo aver evidenziato il carattere innovativo dell’art. 8 bis della legge n. 79 del 1983 e la sua portata confermativa dell’interpretazione rigorosa dell’art. 1 lett. C) della legge n. 230 del 1962, aveva escluso la legittimità del termine apposto al contratto di lavoro in questione, dal momento che l’aumento del giro di affari, in coincidenza con il maggior flusso turistico della stagione estiva, era privo dei necessari caratteri di occasionalità e straordinarietà; così da poter essere fronteggiato con una efficiente organizzazione aziendale.

Riteneva inoltre il Tribunale che, nel caso di conversione di un rapporto di lavoro a termine, invalidamente costituito, in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si doveva escludere – in considerazione della diversità di disciplina relativa alla impugnazione di licenziamenti individuali rispetto a quella della legge n. 230 del 1963 per i contratti a termine affetti da nullità parziale – che in questo secondo caso sussista l’onere del lavoratore di proporre impugnazione nel termine di sessanta giorni dalla scadenza a norma dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966.

Relativamente al quarto motivo dell’appello – con il quale l’appellante aveva lamentato la disposta reintegrazione nel posto di lavoro, nonostante la riconosciuta inapplicabilità dell’art. 18 della legge n. 333 del 1970 – il Tribunale infine osservava come si dovesse "ripetere, col primo giudice, che l’esistenza del rapporto di lavoro legittima il lavoratore a chiedere l’adempimento delle obbligazioni che ne derivano per il datore di lavoro, e cioè consentire la prestazione di lavoro e corrispondere la retribuzione".

Avverso questa sentenza la Cos. EUROPCAR ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi di annullamento.

L’intimato ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la ricorrente – denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 1 lett. c) L. 18 aprile 1962, n. 230 – deduce che la sentenza impugnata, escludendo che le c.d. "punte stagionali" rivestano i caratteri dell’occasionalità e della straordinarietà, avrebbe dato alla normativa un’interpretazione inadeguata, implicante un eccesso di tutela della parte più debole.

Con il secondo motivo – denunciando violazione dell’art. 6 L. 15 luglio 1966, n. 604 – deduce inoltre che, essendo nulla clausola di durata, il rapporto di lavoro si doveva considerare, a norma dell’art. 1419 cod. civ., a tempo indeterminato sin dall’origine, con conseguente piena applicabilità della normativa sui licenziamenti individuali, per cui fondata si sarebbe dovuta considerare l’eccezione di decadenza del lavoratore della impugnazione del licenziamento.

Con il terzo motivo, si denuncia, infine, violazione e falsa applicazione degli artt. 18 e 35 L. 20 maggio 1970 n. 300, anche in riferimento all’art. 112 cod. proc. civ., nonchè vizio di motivazione su punti decisivi, perchè il Tribunale, nel confermare la decisione del primo giudice anche per la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, avrebbe superato il problema dell’applicabilità o meno dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, richiamando un principio di diritto che non aveva alcun collegamento con l’oggetto delle censure formulate con l’appello.

Il primo motivo del ricorso è infondato.

Queste Sezioni Unite, con sentenza n. 5740 del 29 settembre 1983, hanno già ritenuto che lo art. 1 comma 2 lett. C) della legge n. 230 del 1962, nel consentire l’apposizione di un termine al contratto di lavoro "quando l’assunzione abbia luogo per l’esecuzione di un’opera e di un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere straordinario od occasionale", si riferisce a quelle opere o servizi che, pur potendo consistere in un’attività qualitativamente identica a quella ordinariamente esercitata dall’impresa, ne determinino un incremento particolarmente rilevante, in relazione ad eventi isolati ed eccezionali, tali da non poter essere affrontati con la normale struttura organizzativa produttiva, per quanto efficiente ed adeguatamente programmata. La norma in esame, pertanto, non può essere invocata al fine di giustificare assunzioni a tempo determinato per sopperire a fluttuazioni del mercato ed inerenti di domanda prevedibili e ricorrenti in determinati periodi dell’anno, quali appunto la c.d. "punte stagionali", trattandosi di fenomeni che un’impresa opportunamente programmata deve essere in grado di fronteggiare nell’ambito della propria attività naturale e normale.

Né tale principio trova limitazioni o deroghe per effetto di leggi sopravvenute (L. 3 febbraio 1978, n. 18 L. 26 novembre 1979, n. 498, L. 25 marzo 1983, n. 79) che hanno ampliato, per periodi di tempo determinato ed in speciali settori economici, i casi di ammissibilità del contratto di lavoro a termine, trattandosi di leggi che non hanno abrogato od interpretato autenticamente la anzidetta disposizione della legge n. 230 del 1962, ma hanno invece portata innovativa nelle sole ipotesi espressamente disciplinate.

La sentenza impugnata, come già esposto, ha effettuato puntuale applicazione di tali principi – dai quali il collegio non ha motivo di discostarsi – sicchè la censura in esame è del tutto inconsistente.

Parimenti infondato è il secondo motivo.

La questione dell’applicabilità dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966 nel caso di scadenza di un contratto di lavoro a termine illegittimamente stipulato e di comunicazione della conseguente disdetta è stata risolta dalla prevalente giurisprudenza in senso negativo o facendo leva sulla specialità della disciplina della legge n. 230 del 1962 rispetto a quella relativa alla estinzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e sulla conseguente diversità di oggetto (v. per tutte, sent. 5 marzo 1983, n. 1646; 21 dicembre 1982 n. 7092), oppure osservando che la azione diretta all’accertamento dell’illegittimità del termine va qualificata non come impugnazione di licenziamento, ma come azione di nullità del contratto (art. 1418 e 1419 comma 2° cod. civ.), che è imprescrittibile e non soggiace al termine di decadenza del cit. art. 6 (v. sent. 29 marzo 1988, n. 2623; 2 febbraio 1988, n. 1004; 19 dicembre 1985, n. 6514; 2 marzo 1984, n. 1480; 5 marzo 1983, n. 1646). In senso contrario è stato ritenuto (v. sent. 9 marzo 1983 n. 3167) che, dovendosi, in caso di apposizione illegittima del termine al contratto di lavoro, intendersi il rapporto come stipulato a tempo indeterminato, la risoluzione che si verifichi alla scadenza pattuita equivale ad un recesso illegittimo del datore di lavoro che comporta l’applicabilità della disciplina sui licenziamenti individuali ed in particolare del ripetuto art. 6. Per le suesposte ragioni e per il semplice rilievo che, in ipotesi di scadenza del termine e di comunicazione della relativa disdetta, un licenziamento da impugnare non è, in fatto, assolutamente ravvisabile, il secondo indirizzo non può essere condiviso, anche se suggerisce ed introduce una precisazione che la giurisprudenza non ha mancato di effettuare (v. sent. 19 dicembre 1985, n. 6514; 12 aprile 1983, n. 2585; 10 gennaio 1983, n. 150; 6 luglio 1981, n. 4413). Ed invero, se il datore di lavoro, nel presupposto dell’intervenuta conversione del rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato, non si limita a comunicare la disdetta, ma intima un vero e proprio licenziamento da questo ultimo rapporto, non vi è dubbio che la disciplina di licenziamento individuale e, con essa, l’art. 6 debba trovare applicazione.

Nella specie la Soc. EUROPCAR si è limitata a comunicare disdetta per scadenza del termine illegittimamente apposto e non vi era, in effetti, alcun licenziamento che dovesse essere impugnato.

Il terzo motivo è incentrato sulla questione della applicabilità, in caso di accertamento dell’illegittimità dell’opposizione del termine e di conversione del contratto di un contesto di lavoro a tempo indeterminato, dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970; questione che è stata decisa in modo difforme dalla sezione semplice, si da dar luogo all’assegnazione del ricorso a queste Sezioni Unite.

Secondo un indirizzo, in passato maggioritario (v. sent. 2 luglio 1980, n. 4149; 27 gennaio 1981, n. 634; 24 febbraio 1982, n. 1176; 9 maggio 1983, n. 3167; 8 novembre 1983, n. 6606), la questione era risolta in senso affermativo, perchè dovendosi intendere il rapporto a termine, illegittimamente stipulato, come convertito in un rapporto a tempo indeterminato, la risoluzione che si verifica alla scadenza pattuita equivale ad un recesso illegittimo che rende applicabile la disciplina sui licenziamenti individuali e quindi, ricorrendone le condizioni, anche l’art. 18 della legge n. 300 del 1970.

Contro queste ragioni (che sono le stesse addotte a sostegno dell’applicabilità dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966) la più recente giurisprudenza (v. sent. 29 marzo 1988, n. 2623; 2 febbraio 1988, n. 1004; 5 novembre 1987, n. 8117; 8 maggio 1987, n. 4259; 27 gennaio 1987, n. 763; 15 ottobre 1985, n. 5058; 5 marzo 1983, n. 1646) ha opposto che, nella controversia promossa per ottenere la conversione di un rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo determinato, l’azione si qualifica non come impugnazione di licenziamento, ma come azione di nullità parziale, e non sono perciò applicabili le disposizioni sui licenziamenti individuali, con conseguente esclusione, in particolare, della possibilità di ordinare, a norma dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, ancorchè la conversione del rapporto a termine nel rapporto a tempo indeterminato dia ugualmente al dipendente il diritto di riprendere il suo posto e di ottenere il risarcimento del danno qualora ciò gli venga negato.

Ritiene il Collegio che questo secondo indirizzo debba essere preferito per la decisiva ragione che la norma dell’art. 18 presuppone la sussistenza di un licenziamento (inefficace, annullabile, nullo) che, in ipotesi di scadenza del termine e di conseguente mera disdetta, assolutamente difetta; e naturalmente, come già sopra precisato, questa soluzione si deve intendere superata allorchè il datore di lavoro, nel presupposto dell’intervenuta conversione legale del rapporto (la quale, è appena il caso di notarlo, opera di diritto e può dar luogo a sentenze solo dichiarative), intimi un vero e proprio licenziamento dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato, risultante dalla conversione; chiaro essendo che in questo caso la disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, ricorrendone le condizioni, è integralmente applicabile.

Anche il terzo motivo non coglie dunque nel segno perchè, come già testualmente ricordato in narrativa, il giudice d’appello ha dato atto che il Pretore non aveva applicato l’art. 18 della legge n. 300 del 1970, ma l’ordinaria disciplina del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, accogliendo la domanda di adempimento delle obbligazioni che ne derivano; sicchè confermando la decisione di primo grado, la sentenza impugnata ha fatto esatta applicazione dei principi sopra enunciati ad una fattispecie concreta caratterizzata dalla mera disdetta del contratto a termine e dalla conseguente assenza di un licenziamento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato risultante dalla conversione.

Il ricorso deve essere dunque rigettato.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e dichiara per intero compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione

Redazione