Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 3/11/2008 n. 26373; Pres. Carbone V.

Redazione 03/11/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.V., C., F., I., I. A. e L. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli il Ministero dei Lavori Pubblici e la s.p.a. Servizi Tecnici per ottenere, previa dichiarazione dell’illegittimità dell’occupazione, la restituzione e/o il risarcimento dei danni da loro subiti in seguito alla occupazione di terreni di loro proprietà, siti nel Comune di (omissis), da parte del predetto Ministero per la costruzione di una caserma dei Carabinieri ed alla esecuzione dei relativi lavori da parte dell’altra convenuta.

Entrambi i convenuti si costituivano in giudizio. Il Ministero contestava la domanda, mentre la società summenzionata, concessionaria delle opere, eccepiva il difetto di giurisdizione in ordine ad alcune delle domande azionate e, comunque, la congruità della indennità offerta e regolarmente depositata.

Nel corso del giudizio veniva ordinata la integrazione del contraddittorio nei confronti di M.N., usufruttuaria dei terreni.

Il Tribunale adito condannava i convenuti in solido al pagamento di L. 219.096.262 per indennità di espropriazione e di L. 69.385.031 per indennità di occupazione, oltre interessi dalla domanda al soddisfo.

Tale sentenza veniva impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli dal Ministero dei Lavori Pubblici, lamentando che il Tribunale avesse ritenuto la sua legittimazione passiva, quando unico legittimato dovevasi ritenere il concessionario dell’opera pubblica. Eccepiva, altresì, il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, deduceva la legittimità dell’espropriazione e conseguentemente la infondatezza dall’azione risarcitoria e, comunque, l’erroneità delle somme alle quali era stato condannato, in quanto la valutazione doveva essere fatta ai sensi dalla L. n. 359 del 1992, contestando la natura edificatoria dell’area occupata.

Con separato gravame detta sentenza veniva impugnata anche dalla s.p.a. Servizi Tecnici, lamentando che il primo Giudice avesse disatteso l’eccezione di difetto di giurisdizione, ribadendo la legittimità della procedura espropriativa, per la quale era stata depositata una congrua indennità di esproprio ed emesso il relativo decreto nei termini di legge e la conseguente infondatezza della condanna risarcitoria; deduceva, altresì, la erroneità delle somme calcolate e che contro la indennità di esproprio andava formulata opposizione alla stima dinanzi alla Corte d’Appello.

Gli appellati, costituendosi in giudizio, spiegavano appello incidentale per ottenere la liquidazione della svalutazione monetaria e la eliminazione della decurtazione di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65, non più applicabile secondo un recente indirizzo giurisprudenziale.

Riunite le due impugnazioni, la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza 15.4 – 3.5.2005, dichiarava il difetto di giurisdizione in ordine alle domande degli appellati relative alle richieste di annullamento degli atti della procedura espropriativa, dichiarava il difetto di legittimazione passiva del Ministero, infondata la domanda di risarcimento danni ed improponibile la domanda di opposizione alla stima.

Avverso detta sentenza F.V., nato a (omissis), F.C., F.F., I.A., Fo.Vi., nato a (omissis), F.I. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. La s.p.a. Servizi Tecnici in liquidazione ha resistito con controricorso. I ricorrenti hanno anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, e soprattutto n. 5) correlate agli artt. 3, 24, 42 e 111 Cost., nonchè agli artt. 112, 113, 115, 116 e 345 c.p.c., per omesso esame di istanze decisive prospettate dagli odierni ricorrenti, nonchè per omesse notifiche degli atti di esproprio ai diretti interessati, in violazione degli artt. 137, 138, 139 e 140 c.p.c., nonchè per violazione delle leggi tutte all’epoca vigenti relative alle procedure espropriative.

Con tale motivo i ricorrenti deducono, in sintesi, che la decisione impugnata sarebbe viziata, perchè basata su documentazione irritualmente prodotta in grado di appello. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3, 4 e 5) correlate agli artt. 3, 24, 42 e 111 Cost., nonchè agli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., per omesso esame di istanze decisive prospettate dagli odierni ricorrenti.

I Giudici di appello non avrebbero vagliato adeguatamente le molteplici domande, onde capire quali e quante di esse fossero di competenza del Giudice ordinario. Come si legge testualmente nel ricorso: "Avrebbero dovuto – nel contempo – dichiarare – per accettazione del contraddittorio o per rinunzia alla pregiudiziale eccezione, che la problematica della incompetenza a decidere per materia da parte della magistratura ordinaria era da intendersi superata. Le prove dirette al rigetto della suindicata eccezione, i Giudici le avrebbero ricavate dal verbale di causa del 12.11.1992 (in cui ebbe a ricevere l’incarico il c.t.u. ******* dopo la ordinanza emessa in data 11.7/15.7.1992 dal Presidente Scordo) e dal verbale di precisazione delle conclusioni del 23.4.2002. Nel primo verbale manca infatti "la riserva di gravame" avverso la ordinanza; nel secondo verbale si coglie soltanto la preoccupazione di andare incontro ad una sentenza di condanna al pagamento di rilevanti somme basate sui dati obbiettivi fissati nelle due consulenze tecniche di ufficio.

Stando così le cose, i Giudici di Appello avrebbero dovuto convalidare il giudizio di competenza a decidere, esplicitato da tutti i Giudici di primo grado che hanno istruito ed accolto le domande degli odierni ricorrenti. Codesta Ecc.ma Corte voglia accogliere, pertanto, anche il presente motivo e, per l’effetto, disporre il rinvio degli atti alla Corte di Appello di Napoli, perchè altra sezione civile possa decidere sul punto come per legge, ossia anche in merito all’appello incidentale su cui – finora – è mancata ogni pronunzia". Con il terzo motivo denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3, 4 e soprattutto 5) correlate agli artt. 3, 24, 42 e 111 Cost., nonchè agli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., per omesso esame di istanze difensive prospettate dagli odierni ricorrenti.

Secondo i ricorrenti, alla luce delle decisioni della Corte Costituzionale, la Corte d’Appello di Napoli avrebbe dovuto confermare la competenza a decidere della magistratura ordinaria, accogliere l’appello incidentale e rigettare gli appelli del Ministero e della Servizi Tecnici s.p.a..

Conseguentemente la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata, avendo ritenuto carente di legittimazione passiva il Ministero in contrasto con il principio della responsabilità solidale verso terzi derivante dagli atti e dalle leggi in materia ed in contrasto con il principio della colpa in eligendo.

Avendo ritenuto la propria incompetenza a decidere, la Corte, inoltre, non avrebbe dovuto esaminare nel merito le domande delle parti, dichiarando il Ministero carente di legittimazione passiva.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3, 4 e soprattutto 5) correlate agli artt. 3, 24, 42 e 111 Cost., nonchè agli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c., per omesso esame di una specifica istanza contenuta negli atti di causa tra cui l’atto introduttivo del giudizio, accertata in sede peritale d’ufficio.

La decisione della corte di merito sarebbe altresì viziata per avere ignorato la istanza diretta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa dell’occupazione irreversibile di sessantotto metri quadrati di suolo edificatorio non previsti negli atti di esproprio, nonostante tale occupazione risultasse provata dall’accertamento effettuato dal C.T.U..

Il ricorso è inammissibile.

Manca innanzi tutto la esposizione sommaria dei fatti della causa, requisito prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., n. 3.

Tale requisito può ritenersi soddisfatto solo quando nel contesto del ricorso si rinvengano gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, senza che sia necessario attingere ad altre fonti per una immediata e precisa cognizione di tali circostanze (Cass. Sez. un. n. 1513 del 1998). Dalla lettura tanto della parte espositiva quanto della parte contenente i motivi non è dato comprendere quali fossero le specifiche domande proposte dagli attuali ricorrenti, quali le difese dei convenuti, quale sia stata la decisione del Giudice di primo grado, quali fossero le specifiche censure proposte in sede di appello, la decisione del Giudice di appello e le ragioni addotte a sostegno della stessa.

Il ricorso per cassazione deve, altresì, contenere, a pena di inammissibilità, motivi aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla sentenza impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di decisione impugnato e l’esposizione di ragioni che illustrino in maniera intelligibile ed esaustiva le dedotte violazioni di norme o le carenze di motivazione (cfr. tra le molte: Cass. n. 3654 del 2006; Cass. n. 18242 del 2003;

Cass. n. 2607 del 1999).

Qualora i motivi di ricorso non rispettino tali requisiti, devono considerarsi nulli per inidoneità al raggiungimento dello scopo, nullità che, con riferimento al ricorso per cassazione, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è sanzionata con l’inammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, ( cfr. tra le molte Cass. n. 359 del 2005).

I motivi contenuti nel ricorso sono generici e poco chiari, nè consentono di comprendere a quali statuizioni della sentenza si riferiscono e tanto meno le ragioni per le quali le stesse dovrebbero ritenersi errate ed, in definitiva, quali siano le questioni che la Corte, con riferimento alle statuizioni impugnate, è chiamata a risolvere.

Il quarto motivo di ricorso è inammissibile anche per una ulteriore ragione.

I ricorrenti non hanno indicato gli atti con i quali la questione, prospettata con il quarto motivo, è stata eventualmente introdotta dinanzi al Giudice di merito, riportandone, ai fini dell’autosufficienza del motivo, il contenuto.

Dalla sentenza impugnata risulta che gli stessi proposero appello incidentale per ottenere la liquidazione della svalutazione monetaria ed il maggior importo derivante dal diniego della decurtazione di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 65, perchè non più applicabile secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale.

La questione, pertanto, deve essere ritenuta nuova, e, pertanto, richiedendo accertamenti e valutazioni di merito, non è ammissibile in sede di legittimità.

Per quanto precede il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. I ricorrenti hanno chiesto alla udienza termine per procedere alla notifica del ricorso presso l’Avvocatura Generale dello Stato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti presente nei precedenti gradi di giudizio.

La Corte ritiene di non dover dar corso a tale richiesta per le considerazioni che seguono.

L’art. 6, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, che riconosce ad ogni persona il diritto ad un equo processo, nell’individuarne i caratteri stabilisce, tra l’altro, che "ogni persona ha diritto ad un equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile……".

Il processo non può essere equo, se non viene definito in un termine ragionevole.

Il diritto alla ragionevole durata del processo è stato successivamente riconosciuto anche dall’art. 111 Cost., come novellato dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 2, là ove dispone (comma 2) che la legge ne assicura la ragionevole durata.

L’art. 13 della citata Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali stabilisce che ogni persona, i cui diritti e le cui libertà, riconosciuti dalla Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad una istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone agenti nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.

Lo Stato Italiano ha dato attuazione al menzionato art. 13, prevedendo, per la ipotesi di mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, con la L. 24 marzo 2001, n. 89 (c.d. L. Pinto), il diritto ad un’equa riparazione.

La cit. L. art. 2, comma 2, stabilisce che il Giudice, nell’accertare la violazione, è tenuto a considerare "la complessità del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del Giudice del procedimento".

L’art. 175 c.p.c., (rubricato: direzione del procedimento) impone al Giudice istruttore di esercitare tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento.

Il precedente art. 127 c.p.c., da facoltà al Giudice, che dirige l’udienza, di fare o prescrivere quanto occorre affinchè la trattazione della causa avvenga in modo ordinato e proficuo.

Dall’esame coordinato delle disposizioni surriportate si evince che il rispetto del fondamentale diritto ad una durata ragionevole del processo impone, in concreto, al Giudice di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di energie processuali e formalità da ritenere superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo ed in particolare dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizione di parità (art. 111 Cost., comma 2, novellato), dei soggetti, nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti.

Alla luce delle su esposte considerazioni, nel processo in cui vi sia una pluralità di soggetti che hanno diritto a ricevere la notifica della impugnazione, non può non ritenersi superflua e, quindi, da evitare, al fine di definire con maggior celerità il giudizio, la concessione di un termine per la notifica della impugnazione alla parte totalmente vittoriosa nei cui confronti sia stata omessa, quando il giudice ritiene di dover dichiarare la inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione. In tale situazione, impedendo la dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità l’esame nel merito e determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, la parte totalmente vittoriosa, cui non sia stata notificata la impugnazione, non ha alcun interesse a ricevere tale notifica al fine di partecipare al processo, atteso che tale omissione non si traduce in un effettivo e concreto pregiudizio (giuridicamente rilevante) per la stessa e la sua eventuale partecipazione ad un processo dall’esito scontato non potrebbe apportare alcun utile contributo ai fini della giustizia della decisione.

La notifica alla stessa della impugnazione non avrebbe altro effetto che quello di procrastinare nel tempo un processo, il cui esito è scontato, contribuendo così soltanto (in contrasto con il fondamentale diritto ad una durata ragionevole del processo) alla disfunzione dell’apparato giudiziario ed al ritardo nella definizione di altri processi. Nel caso che ne occupa, come su dimostrato, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Il Ministero, al quale dovrebbe essere notificato e del quale, su sua eccezione, è stato dichiarato il difetto di legittimazione passiva, deve ritenersi totalmente vittorioso, per cui non si vede quale ulteriore interesse sostanziale dello stesso debba essere tutelato e quale ulteriore utilità giuridica possa derivargli dalla sua eventuale partecipazione al giudizio, non potendo certamente ottenere più di quello che dal processo ha ottenuto. A tutte le considerazioni che precedono si aggiunga il fatto che, se i ricorrenti hanno chiesto all’udienza termine per integrare il contraddittorio nei confronti del Ministero, significa che gli stessi erano già in precedenza consapevoli della necessità della effettuazione della notifica allo stesso presso l’Avvocatura Generale dello Stato. Accogliere la loro richiesta di concessione del termine per la notifica significherebbe avallare un comportamento contrario al principio di lealtà e probità processuale, di cui all’art. 88 c.p.c..

Come già detto, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, in virtù del principio della soccombenza, a rimborsare alla parte, che ha resistito in giudizio, Servizi Tecnici s.p.a., le spese del giudizio di legittimità, che, tenuto conto del valore della lite, appare giusto liquidare in Euro 1.700,00, (millesettecento), di cui Euro 200,00, per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rimborsare alla Servizi Tecnici s.p.a. le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.700,00, (millesettecento), di cui Euro 200,00, per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

Redazione