Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 23/12/2010 n. 25999

Redazione 23/12/10
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Svolgimento del processo
1. Con sentenza 15 settembre 2006, il Tribunale di Roma, pronunciandosi nella controversia tra il Partito Politico della Democrazia Cristiana, costituitosi inizialmente in persona dell’allora segretario amministrativo nazionale T. e del segretario politico nazionale S.A. (nel seguito: DC- S.A.), e successivamente costituitosi di nuovo nelle persone di P.G. e L.A., nelle rispettive qualità di segretario politico e di segretario amministrativo (nel seguito: DC – L.A.), e la convenuta Associazione dei Cristiani Democratici Uniti (nel seguito: CDU), accolse la domanda principale proposta dalla CD – L.A. e condannò la CDU a cessare ogni molestia nei confronti dell’attore in ordine all’uso in qualunque sede del nome della Democrazia Cristiana e del simbolo costituito da uno scudo crociato con scritto Libertas.

2. Con sentenza 2 maggio 2006 lo stesso tribunale di Roma, pronunciandosi nella controversia (introdotta peraltro successivamente al primo giudizio) instaurata dall’Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro (nel seguito: UDC;

contro la CD – L.A., aveva accertato che l’UDC aveva titolo per ottenere la tutela giudiziaria invocata nei confronti della convenuta per l’uso del simbolo costituito da uno scudo crociato con scritto Libertas, e condannato la convenuta al risarcimento dei danni.

3. Avverso la sentenza 15 settembre 2006 proposero appello sia la CDU, sia, in via incidentale, la DC – S.A., sia, con atto di appello notificato separatamente e limitato al regolamento delle spese, la DC – L.A.. In seguito a quest’ultimo appello, la stessa CDU propose appello incidentale di contenuto identico a quello del suo appello principale. Gli appelli furono riuniti.

4. Avverso la sentenza 2 maggio 2006 propose appello la DC – L. A.. Questa causa fu riunita a quella risultante dagli appelli contro la sentenza 15 settembre 2006 del Tribunale di Roma. In causa intervenne altresì il Partito Popolare Italiano (nel seguito: PPI).

5. Con sentenza 23 marzo 2009 la Corte di Appello di Roma ha:

– dichiarato che il partito politico della Democrazia Cristiana è correttamente rappresentato in giudizio dal segretario Amministrativo L.A. (DC – L.A.);

– dichiarato inammissibile nel giudizio di appello l’intervento del Partito Popolare Italiano;

– accolto, per quanto di ragione, l’appello della CDU avverso la sentenza n. 15 settembre 2006 e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettato la domanda proposta dalla DC – L.A. nei confronti della CDU con citazione 16 settembre 2002;

– accolto, per quanto di ragione, l’appello della DC – ***** avverso la sentenza del Tribunale di Roma, 2 maggio 2006 e, per l’effetto, rigettato la domanda proposta dall’UDC nei confronti della Democrazia Cristiana con atto di citazione notificato il 4 giugno 2003. 6. Avverso la sentenza della corte d’appello di Roma la DC – ***** ha proposto ricorso per cassazione, con dieci motivi di impugnazione.

Hanno proposto distinti controricorsi e ricorsi incidentali:

– la CDU, affidato a quattro motivi;

– la DC – S.A., con quattro motivi;

– il PPI, affidato a sei motivi;

– l’UDC, affidato a due motivi.

La DC – S.A. resiste con distinti controricorsi sia al ricorso incidentale dell’Associazione dei Cristiani Democratici Uniti, sia al ricorso incidentale del Partito Popolare Italiano.

7. All’udienza del 16 febbraio 2010, la causa è stata rimessa a nuovo ruolo per acquisizione atti.

Il ricorrente principale Partito della Democrazia Cristiana in persona dei segretari P. e L., L’Associazione Partito C.D.U., il Partito Popolare Italiano e l’U.D.C. hanno depositato memorie per la prima udienza collegiale, e per quella odierna.

L’istanza di rinvio della discussione, fatta pervenire dal difensore del Partito Politico della Democrazia Cristiana avv. S., non è stata accolta, perchè a giudizio della corte la certificazione medica prodotta non dimostra un impedimento assoluto a presenziare all’udienza.

I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza sono stati riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Motivi della decisione
8.1. Osserva – in limine – la Corte che in tema di ricorso per cassazione, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 ogni quesito formulato per ciascun motivo di ricorso deve consentire l’individuazione del principio di diritto censurato posto dal Giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione da parte della Corte di cassazione possa condurre a una decisione di segno inverso.

8.2. Sempre in limine la Corte rileva altresì che lo stesso art. 366 bis c.p.c. dispone, nella sua seconda parte, che nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. La relativa censura deve pertanto contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. sez. un. 1 ottobre 2007, n. 20603).

9. Dall’applicazione di questi principi discende la necessità che ogni censura si traduca in un distinto quesito di diritto, ovvero, nel caso di censure per vizi di motivazione, in una distinta sintetica indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Sono conseguentemente inammissibili i motivi di ricorso che, cumulando al proprio interno questioni, dai profili giuridici oggettivamente diversi, di violazione di norme di diritto sostanziale, di nullità della sentenza o del procedimento, o di vizi di motivazione, si concludano con un unico quesito, di contenuto eterogeneo, che come tale non è idoneo ad identificare nè una questione di diritto, nella quale – che si tratti di diritto sostanziale (Cass. 14 settembre 1976 n. 3152; 28 luglio 1997 n. 7050; 22 dicembre 2003 n. 19618) o processuale (dove la cassazione è giudice del fatto processuale: per tutte, Cass. 22 novembre 2006 n. 24856) – la motivazione censurata sarebbe irrilevante, nè un vizio di motivazione, il quale attiene esclusivamente all’accertamento del fatto e non alla regola di diritto richiamata.

10. Facendo applicazione, al caso di specie, dei sopra riferiti principi ritiene la Corte che debba dichiararsi innanzi tutto l’inammissibilità dei motivi che denunciano cumulativamente la violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) e i vizi di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), concludendosi con un unico quesito, quali sono tutti i dieci motivi in cui si articola il ricorso principale proposto dal partito della Democrazia cristiana di L. A..

11.1 Alla stessa conclusione si deve pervenire per i motivi del ricorso incidentale proposto dalla CDU. Il primo di essi, in particolare, sovrappone la questione del giudicato, che sostiene essersi prodotto sul suo diritto all’uso del simbolo conteso, alla questione, eterogenea, dell’accertamento che la corte di merito avrebbe dovuto svolgere in ordine all’identità soggettive delle parti tra le quali il giudicato medesimo si sarebbe formato, e all’altra, dei criteri in forza dei quali dovrebbe svolgersi l’indagine sull’identità o diversità delle associazioni non riconosciute.

11.2. Il secondo e il terzo motivo del ricorso della CDU, vertenti sulla rivendicata validità della deliberazione del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana che approvò l’adozione del nome "Partito Popolare Italiano", denunciano, insieme alla violazione di norme di diritto sostanziale, un difetto di motivazione sui punti del regime d’impugnabilità delle delibere in questione e dell’individuazione dell’organo competente alla deliberazione; punti dei quali non è illustrato il carattere decisivo. L’omissione assume rilievo in relazione alla decisione impugnata nella quale, dopo l’affermazione della nullità della delibera in questione, il diritto della ricorrente all’uso di quel nome è escluso in ragione di un’interpretazione del contenuto degli accordi intercorsi, a questo riguardo, tra la medesima associazione politica che aveva adottato la deliberazione e la parte ricorrente. La pretesa validità della deliberazione non avrebbe riflessi sull’esito del giudizio, in difetto di un mezzo d’impugnazione che travolgesse le affermazioni della corte di merito concernenti il suo contenuto e la sua efficacia.

11.3. Considerazioni in tutto analoghe devono essere fatte a proposito del quarto motivo del ricorso della CDU, concernente la violazione di norme di diritto e l’omessa motivazione in ordine all’efficacia che, anche in ipotesi di ritenuta nullità della deliberazione di cui ai motivi precedenti, non potrebbe negarsi alla successiva transazione. Anche qui va rilevato che la ratio decidendi del rigetto della domanda della parte ricorrente non è costituita dall’invalidità della transazione in questione, ma dall’interpretazione del suo contenuto, al quale è stato negato valore traslativo del diritto conteso.

12.1. Sono inammissibili anche i quattro motivi del ricorso proposto dalla DC – S.A.. Il primo di essi presenta il medesimo cumulo, già osservato a proposito dei motivi del ricorso principale, di questioni di violazione di norme di diritto sostanziale, di norme processuali e di vizi di motivazione, inammissibilmente riassunte in un unico quesito.

12. 2. Il secondo motivo si espone allo stesso rilievo con riguardo alla dichiarata mescolanza di censure di violazione di legge e di vizi di motivazione, dovendosi solo osservare che la violazione dell’art. 75 c.p.c. è stata erroneamente dedotta sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, invece che come sarebbe stato corretto – n. 4, con riduzione apparente a due dei tre mezzi d’impugnazione inammissibilmente sovrapposti nel quesito finale.

12.3. Analogamente, il terzo motivo denuncia una violazione dell’art. 112 c.p.c., nella statuizione impugnata relativa alla rappresentanza del Partito Politico della Democrazia Cristiana nel processo, contemporaneamente sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e anche n. 3. Al di là del rilievo che la decisione sulle questioni processuali, quali la legitimatio ad processum, è assunta d’ufficio dal giudice sulla base di accertamenti condotti incidenter tantum e con effetti limitati al giudizio in corso, con conseguente impossibilità di configurare al riguardo un’extrapetizione o una violazione di legge censurabile sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è la stessa commistione delle questioni prospettate nell’unico quesito a renderlo inammissibile.

13.1. Inammissibili sono altresì i due motivi svolti nel ricorso incidentale dell’UDC. Il primo di essi espone, sotto la rubrica del vizio di omessa o contraddittoria motivazione, una censura di omesso esame, nella motivazione di rigetto della sua domanda di condanna della DC appellata al risarcimento dei danni, di un punto decisivo, costituito dalla priorità dell’uso del simbolo dello scudo crociato con la scritta Libertas, rispetto all’uso fattone dalla DC – *****, che doveva ritenersi in violazione di norme del diritto elettorale. Premesso che l’ambito della protezione assicurata dalle leggi elettorali è questione che non potrebbe farsi dipendere dal contenuto degli accordi intervenuti tra le varie componenti del P.P.I., è decisiva l’osservazione che segue. La censura di omesso esame di una domanda avente il medesimo petitum di quella respinta con l’impugnata sentenza, ma causa petendi diversa, perchè indicata non già nel titolo derivativo costituito dagli accordi intercorsi tra il PPI e la CDU bensì nel preuso, può essere esaminata esclusivamente sotto il profilo della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), e non anche sotto quello del vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Essa richiede pertanto la formulazione di uno specifico quesito di diritto, che è stato invece omesso, con la conseguente inammissibilità comminata dall’art. 366 bis c.p.c., parte prima.

13.2. E’ a sua volta generico ed inammissibile il secondo motivo, con il quale si censura la violazione dell’art. 7 c.c., D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 14 e D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 33 trattandosi di quesito formulato senza alcun collegamento con i fatti accertati nel giudizio di merito, e riferito ad una questione che in sentenza non è stata esaminata, come la stessa parte riconosce con il motivo precedente.

14.1. Il primo motivo del ricorso proposto dal PPI censura la statuizione d’inammissibilità del suo intervento nel giudizio in grado di appello. L’associazione ricorrente è intervenuta nei giudizi riuniti in appello, vertenti tra altre associazioni quali la DC e la CDU, nei quali si discuteva della nullità di una sua deliberazione. Essa sostiene che in tali casi sussiste il litisconsorzio necessario con l’associazione che ha adottato la deliberazione controversa, e che pertanto il suo intervento in appello sarebbe consentito dall’art. 344 c.p.c..

14.2. L’assunto non ha fondamento. La controversia tra due associazioni, in ordine alla nullità di una deliberazione assunta dagli organi di una terza associazione estranea al giudizio, è utilmente decisa sulla base di accertamenti che acquistano l’efficacia del giudicato soltanto tra le parti, e che non possono in alcun modo essere opposti all’associazione che ha assunto la deliberazione ma non ha partecipato al giudizio. Non ricorre pertanto il caso contemplato dall’art. 344 c.p.c., e l’intervento in appello è stato correttamente dichiarato inammissibile dalla corte territoriale.

14.3. Con il rigetto del primo motivo restano assorbiti tutti gli altri motivi del ricorso del PPI, vertenti su questioni di merito della controversia nella quale l’odierna parte ricorrente non aveva titolo per intervenire in appello.

15. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese processuali tra tutte le parti del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La certe dichiara inammissibili i ricorsi del Partito della Democrazia Cristiana rappresentata da P.P. e *****, della Associazione Partito C.D.U. Cristiani Democratici Uniti, del Partito Politico della Democrazia Cristiana rappresentata da S.A., e della U.D.C. Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro; rigetta il ricorso del Partito Popolare Italiano ex Democrazia Cristiana. Compensa le spese del giudizio di legittimità tra tutte le parti.

Redazione