Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 22/2/2010 n. 4062

Redazione 22/02/10
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Svolgimento del processo
Il Tribunale di Lecce, con la sentenza di cui in epigrafe, nelle cause riunite n.ri 3173 e 3174 del 2007, aventi ad oggetto rispettivamente opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi di P.C. nei confronti dalla cooperativa edilizia Santa Barbara s.r.l., ha accertato che quest’ultima non aveva il diritto di procedere esecutivamente nei confronti di P.C., non essendo esistente e ha compensato interamente le spese di causa tra le parti per la novità della soluzione adottata a favore del P.. Con ricorso del 20 febbraio 2007 il P. aveva proposto opposizione alla esecuzione, in ragione del processo esecutivo immobiliare n. 332/84 promosso nei suoi confronti dalla Cooperativa edilizia Santa Barbara s.r.l., che aveva a lui intimato il precetto in data 30 ottobre 2002 per ottenere il pagamento di Euro 62.344,44, in base a titolo costituito dalla sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 4 39/01, non computando per liquidare il dovuto la detrazione spettante al debitore dell’importo a lui dovuto per la stessa sentenza, che avrebbe dato luogo a un debito complessivo dell’opponente di Euro 27.687,41, somma inferiore a quella pretesa.

Deduceva l’opponente che la Cooperativa edilizia Santa Barbara era stata cancellata dal registro delle imprese il (omissis), in base ad un bilancio da cui risultava la inesistenza di qualsiasi credito e di conseguenza la stessa, per l’art. 2495 c.c., come novellato con la riforma del diritto societario del 2003, doveva considerarsi società estinta, perchè cancellata.

La Cooperativa opposta si costituiva in giudizio il 14 dicembre 2007, deducendo che il debitore aveva chiesto la conversione del pignoramento, proponendo opposizione agli atti esecutivi con ricorso del 27 maggio 2005, nel quale aveva dedotto l’estinzione della Cooperativa stessa, dopo aver proposto altra istanza di conversione rimasta inadempiuta.

Il giudice adito aveva dichiarato inammissibile la istanza di conversione e nominato un c.t.u. che aveva liquidato il credito preteso in Euro 48.461,89, dopo la rettifica di un precedente computo minore, osservando che, a differenza delle fattispecie richiamate dall’opponente, nel caso la società cancellata era creditrice e non debitrice delle somme pretese.

Ad avviso della Cooperativa, il liquidatore conservava la rappresentanza di essa per il recupero dei crediti e in tale veste aveva notificato il precetto il 4 novembre 2002, dopo la richiesta di cancellazione della società.

Con altro ricorso depositato il 24 maggio 2006, il P. proponeva opposizione agli atti esecutivi, con riferimento al provvedimenti del giudice dell’esecuzione del 21 marzo 2006, che avevano dichiarato inammissibile la istanza di conversione dell’opponente, per essere insufficiente la cauzione prestata, non potendo devalutarsi il credito a base del processo esecutivo basato su titolo esecutivo costituito da una sentenza. Dopo che il giudice aveva ordinato di rinotificare le istanze di cui al ricorso con atto di citazione, la Cooperativa si costituiva pure in tale procedimento, incontestatamente qualificato di opposizione agli atti esecutivi.

Riunite le due cause, di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, il giudice unico presso il Tribunale di Lecce, con sentenza del 20 agosto 2008, ha rilevato che la Cooperativa risultava cancellata dal registro delle imprese nel settembre 2004, quando già dal l’gennaio dello stesso anno era operante e vigente l’art. 2495 c.c..

Ha quindi affermato che la società doveva ritenersi estinta alla data dei procedimenti esecutivi da essa iniziati, come del resto sarebbe stato anche in caso di cancellazione precedente alla data di entrata in vigore della riforma delle società (1 gennaio 2004), data la interpretazione della norma modificata di cui sopra della sentenza della Cass. n. 18618 del 2006, per la quale l’articolo, regolando solo gli effetti della cancellazione e non le sue condizioni o i suoi presupposti, era da applicare retroattivamente e in riferimento a cancellazioni precedenti delle società, non potendo valere l’orientamento in precedenza prevalente, per cui la cancellazione non estingueva la società. Ritenuto quindi che la Cooperativa doveva ritenersi cancellata ed estinta alle date delle due opposizioni, entrambe del 2007, il Tribunale ha pronunciato nei sensi sopra riportati. Per la cassazione di tale sentenza del 20 agosto 2008, notificata al difensore domiciliatario della società in data 17 novembre 2008, quest’ultima ha proposto ricorso articolato in tre motivi e notificato l’11 dicembre 2008, e il P. si è difeso in questa sede con controricorso.

Motivi della decisione
1.1. Il primo motivo di ricorso della Cooperativa denuncia violazione degli artt. 2495 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il tribunale erroneamente ritenuto che la novellata norma che precede abbia sancito che la cancellazione della società dal registro delle imprese comporti la irreversibile estinzione della società.

Con tale statuizione non si è tenuto conto che la Cooperativa, in quanto inesistente, non poteva neppure evocarsi in causa nella opposizione, non essendo soggetto di diritto, per cui tale opposizione era da dichiararsi inammissibile.

La ricorrente richiama la giurisprudenza anche successiva (Cass. 15 gennaio 2007 n. 646 e 2 marzo 2006 n. 4652) per la quale la società cancellata non poteva considerarsi estinta, finchè vi erano rapporti pendenti che ad essa facevano capo, per cui nulla era mutato in ordine alla vicenda della cancellazione per le imprese collettive, che unanimamente in precedenza era stata ritenuta non estintiva delle società di capitale e delle cooperative finchè perdurassero rapporti delle stesse.

Nel caso, pur sussistendo un’attività giudiziale di recupero crediti della società verso il P. sin dagli anni 80, solo nell’anno 2002 la Cooperativa era potuta intervenire in una preesistente azione esecutiva in corso.

Con il quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., era quindi chiesto di affermare il seguente principio:"L’atto formale di cancellazione di una società dal registro delle imprese che abbia proposto azione per il recupero del proprio credito prima della formalità di cancellazione non determina l’estinzione irreversibile di essa ove non siano esauriti tutti i rapporti giuridici facenti capo alla stessa società". 1.2. Era poi censurata la sentenza impugnata per violazione dell’art. 75 c.p.c., anche per omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Anche a ritenere corretto il principio opposto adottato nella decisione di merito, il giudice avrebbe dovuto dichiarare inammissibili le opposizioni proposte il 14 settembre 2007 contro atti provenienti da un soggetto inesistente a decorrere dalla data della cancellazione del (omissis), dovendo ritenere nulla la evocazione in causa di soggetto inesistente.

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., si chiede di affermare: "La chiamata in giudizio di una società formalmente cancellata dal registro delle imprese e quindi estinta, è inammissibile". 1.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione dell’art. 617 c.p.c., in relazione anche all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la opposizione agli atti esecutivi del 2007 si sostanziava nella deduzione del difetto di rappresentanza della società estinta, mentre il precetto era stato notificato nel 2002, prima della cancellazione di cui sopra, con conseguente tardività anche delle contestazioni delle formalità del precetto stesso.

Lo stesso ricorrente rilevate le chiare differenze di orientamenti giurisprudenziali di questa Corte sulla questione degli effetti della cancellazione, ne ha chiesto l’assegnazione a queste Sezioni unite ai sensi dell’art. 374 c.p.c..

Correttamente la ricorrente rileva la diversità dei principi enunciati da questa Corte in ordine agli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese. Infatti, secondo un indirizzo di questa Corte, l’atto formale di cancellazione di una società dal registro delle imprese, così come il suo scioglimento, con l’instaurazione della fase di liquidazione, non determina l’estinzione della società ove non siano esauriti tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo a seguito della procedura di liquidazione, ovvero non siano definite tutte le controversie giudiziarie in corso con ì terzi, e non determina, conseguentemente, in relazione a detti rapporti rimasti in sospeso e non definiti, la perdita della legittimazione processuale della società e un mutamento nella rappresentanza sostanziale e processuale della stessa, che permane in capo ai medesimi organi che la rappresentavano prima della cancellazione (sono citate in ricorso Cass. 15 gennaio 2007 n. 646, 23 maggio 2006 n. 12114, e 2 marzo 2006 n. 4652).

Contrapposte a tale primo e unanime indirizzo ermeneutico, sono per la ricorrente, Cass. 28 agosto 2006 n. 18618, 18 settembre 2007 n. 19347 e 20 ottobre 2008 n. 25472, per le quali, a seguito della modifica apportata all’art. 2945 c.c., comma 2, dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, entrato in vigore il primo gennaio 2004, la cancellazione dal registro delle imprese produce l’effetto costitutivo dell’estinzione irreversibile della società anche in presenza di rapporti non definiti ed anche se è intervenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina ed ha riguardato una società di persone con conseguente perdita della capacità processuale della società e passaggio della rappresentanza dagli organi che la rappresentavano prima della cancellazione.

Sul problema degli effetti della cancellazione sulle società commerciali, di persone e di capitali, e sulla loro estinzione, sono di recente intervenute due ordinanze interlocutorie delle sezioni semplici (Cass. Sez. 3^ 9 aprile 2009 n. 8665 e sez. 1^ 15 settembre 2009 n. 19804) che hanno rimesso al Primo presidente il contrasto di cui al presente ricorso, chiedendo che di esso fossero investite queste Sezioni unite.

2. Il primo motivo di ricorso della Cooperativa, che censura la decisione di merito la quale ha adottato la seconda delle due indicate soluzioni e chiede quindi di applicare il vecchio orientamento ermeneutico che nega l’efficacia estintiva della cancellazione delle società di capitali e delle cooperative, il cui atto costitutivo sia depositato nella cancelleria del tribunale ai sensi dell’art. 2296 c.c. (oggi ufficio del registro delle imprese istituito con la L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8), è logicamente preliminare agli altri due motivi, potendo il suo esito determinare l’assorbimento delle questioni proposte con gli altri motivi, rendendo inammissibile l’impugnazione.

3.1. Come si è detto, fino alla riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, era stata unanime la scelta ermeneutica dei giudici di legittimità di ritenere la cancellazione dal registro delle imprese della iscrizione di una società commerciale, di persone o di capitali, mera pubblicità dichiarativa, che non produceva l’estinzione della società stessa, in difetto dell’esaurimento di tutti i rapporti giuridici pendenti facenti capo ad essa, per cui permaneva la legittimazione processuale di essa e il processo già iniziato proseguiva nei confronti o su iniziativa delle persone che già la rappresentavano in giudizio o dei soci, anche con riferimento alle fasi di impugnazione (con le già citate Cass. n. 646/07, 12114/06, 7972/00, 3221/99, cfr. pure Cass. 21 agosto 2004 n. 16500, 28 maggio 2004 n. 10324, 20 ottobre 2003 n. 15691, 2 agosto 2001 n. 10555, 1 luglio 2000 n. 8842, 15 giugno 1999 n. 5941, 20 ottobre 1998 n. 10380, 16 novembre 1996 n. 10065, tra altre) ovvero negli eventuali procedimenti di esecuzione, relativi ai medesimi rapporti accertati con sentenza costituente titolo esecutivo a base dei crediti da esigere (Cass. 8 agosto 1964 n. 2273).

Dal punto di vista formale, la Relazione al libro del lavoro del codice civile, sul neo istituito registro delle imprese (nn. 98 e ss.), afferma che lo stesso (art. 2188 e ss. c.c. modificati dalla citata L. 29 dicembre 1993, n. 580, istitutiva del registro di cui sopra presso le Camere di commercio, sotto la vigilanza del giudice delegato) ha avuto lo scopo "di attuare un sistema completo ed organico di pubblicità legale, idoneo a portare a conoscenza del pubblico l’organizzazione dell’impresa, le sue vicende e le sue trasformazioni" (n. 99).

Chiarisce la relazione che l’"iscrizione ha normalmente efficacia dichiarativa. Eccezionalmente, e solo in quanto la legge espressamente lo dichiari, come avviene ad es. per la costituzione delle società per azioni, delle società in accomandita per azioni, delle società a responsabilità limitata e delle cooperative, la iscrizione ha efficacia costitutiva" (n. 100)", e "crea la presunzione juris et de iure " che i fatti iscritti siano noti a tutti" (n. 100).

Il rilievo di regola solo dichiarativo della pubblicità attuata con l’iscrizione nel registro delle imprese è riaffermato nell’art. 2193 c.c., per il quale le iscrizioni delle vicende societarie rendono opponibili le stesse ai terzi; il regime speciale di pubblicità vuole tutelare la esigenza dei terzi, in specie dei creditori sociali, di conoscere le vicende dell’impresa collettiva e accertare da esse sia la capienza del patrimonio sociale per la responsabilità della società per i debiti di essa che la eventuale estensione di detta responsabilità ai soci, con riferimento alle società che svolgono attività di impresa e si qualificano commerciali, di cui ai capi 3^ e ss. del Titolo 5^ del Libro 5^ del c.c. (art. 2200), siano esse di persone e prive di personalità giuridica (s.n.c. ed s.a.s.) o persone giuridiche (s.p.a., in accomandita p.a., s.r.l. e cooperative ex art. 2325 c.c., art. 2518 c.c. e ss.).

Le iscrizioni nel citato registro riguardano vicende della impresa collettiva, dalla nascita alla cessazione delle sue attività che determina l’estinzione della società, fino alla quale è esclusa ogni responsabilità dei soci per le società persone giuridiche, il cui patrimonio è totalmente autonomo rispetto a quelli dei soci, costituendo la personalità il limite e la misura della capacità di essere titolare e di gestire i beni conferiti all’impresa collettiva, sussistendo comunque una capacità giuridica delle società iscritte ritenute "soggetti" di diritto diversi e distinti dai soci, anche quando non vi sia la personalità giuridica.

Iscritta la cancellazione dell’iscrizione delle società (artt. 2191 e 2192 c.c.), su istanza dei liquidatori o di ufficio, viene comunque meno la opponibilità delle vicende dell’impresa collettiva ai terzi, anche se questa può conservare una soggettività limitata e per singoli atti, non diversa da quella delle società semplici o di fatto (art. 2297 c.c.). In tale contesto normativo anteriore alla riforma del 2003 delle società di capitali, pienamente giustificato era l’indirizzo ermeneutico giurisprudenziale, sostanzialmente unanime in sede di legittimità, favorevole alla prosecuzione della capacità giuridica e della soggettività delle società commerciali, anche dopo la cancellazione della iscrizione nel registro delle imprese e dopo il loro scioglimento e la successiva liquidazione del patrimonio sociale.

Tale posizione, oltre a rispettare la natura dichiarativa della pubblicità, garantiva il ceto creditorio con l’affermazione del permanere di una soggettività attenuata e di una limitata prosecuzione della capacità processuale della società la cui iscrizione era stata cancellata (su tale tipo di soggettività cfr., in particolare, Cass. 15 giugno 1999 n. 5941 e 13 luglio 1995 n. 7650), consentendosi l’assoggettamento di tale società alla procedura fallimentare anche successivamente all’anno dalla c.d. "formalità" della cancellazione dell’iscrizione a sua volta iscritta, delle società commerciali di persone (art. 2312 c.c.) e di quelle per azioni (art. 2456 c.c.), così semplificando il recupero dei crediti, senza costringere i loro titolari ad agire contro una pluralità di soci, con le incertezze conseguenti, già in rapporto alla loro individuazione, pur a riconoscere loro una posizione poziore rispetto a quella dei creditori particolari dei soci. Mentre di regola i creditori della società, per il principio di responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c.), possono rifarsi sul patrimonio di essa finchè è in vita, essi, dopo l’estinzione, non possono che soddisfarsi sui singoli soci, con prelazione sui creditori personali dei soci stessi (art. 2280 c.c., applicabile ai sensi del previgente art. 2452 c.c., comma 1, anche alle società di capitali e per l’art. 2297 c.c., a quelle commerciali di persone, per le quali è prevista la previa escussione del patrimonio sociale ex art. 2268 c.c.), essendo comunque meno garantiti per la soddisfazione dei loro diritti.

La posizione giurisprudenziale esposta, costituente ius receptum, era stata criticata da quasi tutta la dottrina, in base alla lettera del combinato disposto dei già vigenti artt. 2312, 2324 e 2456 c.c., norme per le quali, "dopo la cancellazione" delle iscrizioni, sia delle società di persone che di quelle di capitali, "i creditori sociali possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci" delle società in nome collettivo e di quelli accomandatari delle s.a.s., illimitatamente e nei confronti dei soci delle società persone giuridiche in proporzione alla rispettiva quota di riparto per questa parte così come con l’attuale art. 2495 c.c., (giacchè la novella del 2003 per le società con personalità giuridica ha lasciato in sostanza immutata la previgente disciplina).

Peraltro la mancata espressa previsione, nella previgente normativa, di una estinzione della società con personalità giuridica e di una perdita della capacità giuridica e della soggettività delle società commerciali di persone, quale effetto della cancellazione della iscrizione della società, a sua volta iscritta nel registro, e la previsione dell’azione dei creditori sociali anche contro i liquidatori se vi è loro colpa nell’inadempimento e non quali successori dell’impresa collettiva estinta ma per responsabilità extracontrattuale, sono state due circostanze che in diritto hanno concorso a formare il richiamato indirizzo ermeneutico dei giudici di legittimità, che, in rapporto al previgente art. 2456 c.c., per la natura dichiarativa della pubblicità anche in ordine agli atti di scioglimento e di messa in liquidazione della società, affermavano correttamente che, nella scansione degli eventi relativi alla vita della società resi pubblici, non la cancellazione ma solo la cessazione di ogni attività imprenditoriale (art. 2195 c.c.) determinava la estinzione della società.

Quest’ultima non era una vicenda resa opponìbile ai terzi con la pubblicità della cancellazione, da sola inidonea a produrre l’effetto estintivo, con la conseguenza che, in caso di sopravvenienze attive o passive della società stessa e della pendenza di processi nei quali essa era parte, alla stessa doveva riconoscersi una limitata soggettività e capacità giuridica, come società semplice o di fatto (art. 2268 c.c.), per legittimarla a proseguire il processo.

3.2. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 319 del 21 luglio 2000, ha rilevato come la lettura delle norme sugli effetti della pubblicità della cancellazione delle società espressione dell’allora diritto vivente comportasse una chiara disparità di trattamento tra imprese individuali e imprese collettive ai fini della dichiarazione di fallimento, in quanto per l’imprenditore persona fisica la stessa era consentita entro un anno dalla cancellazione mentre per le imprese collettive, rimaneva sempre incerto il momento della loro fine o estinzione, da cui far decorrere il termine di un anno entro cui, ai sensi della previgente della *******., art. 10, poteva essere dichiarato il loro stato di insolvenza.

Per i giudici della legge l’approccio ermeneutico della Corte di Cassazione era irrazionale, perchè poteva escludere in fatto la stessa possibilità dello stato d’insolvenza dell’imprenditore collettivo, da accertare in rapporto ad un soggetto non operativo per il quale quindi non potevano sussistere la stessa pluralità di inadempienze che da luogo a detto stato; così come per l’imprenditore individuale la cancellazione costituiva il momento finale dell’attività d’impresa e quello di decorrenza del termine di un anno di cui all’art. 10, allora vigente del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, anche per le società commerciali, con o senza personalità giuridica, la stessa vicenda doveva determinare l’inizio del termine di decadenza, non potendo avere rilevanza le sopravvenienze attive e passive e la pendenza di processi per escludere ai fini del fallimento la loro estinzione.

La sentenza della Corte costituzionale è da leggere in collegamento con la precedente decisione n. 66 del 12 marzo 1999, che aveva invano sollecitato i giudici di legittimità a dare una interpretazione del sistema normativo di riferimento costituzionalmente orientata, fissando per ogni impresa una data certa, cioè quella della cancellazione dell’iscrizione della società dal registro delle imprese, quale dies a quo di decorrenza del termine annuale per dichiarare il fallimento della *******., citato art. 10, oggi sostituito dall’art. 9, della riforma delle procedure concorsuali (D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5). Proprio il permanere dell’interpretazione prevalente di cui sopra ha determinato la Corte costituzionale a dichiarare illegittimo, perchè in contrasto con l’art. 3 della carta fondamentale e con il principio della certezza dei rapporti giuridici, l’art. 10 sopra citato, "nella parte in cui prevede(va) che il termine di un anno dalla cessazione dell’impresa, entro il quale può intervenire la dichiarazione di fallimento, decorra, per l’impresa collettiva, dalla liquidazione effettiva dei rapporti facenti capo alla società invece che dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese".

Affermare la irrilevanza di tale pronuncia sulla questione, così come sembra dirsi nell’ordinanza interlocutoria citata n. 8665/2009 della prima sezione civile, per essere essa relativa solo alla disparità di trattamento dell’impresa individuale rispetto a quella collettiva in ordine ai tempi per dichiararne il fallimento, non è condivisibile, se si tiene conto del citato dispositivo della sentenza del giudice delle leggi, da cui appare chiaro il rilievo che per essa ha la disciplina della cancellazione della società, da equiparare alla liquidazione di tutti i rapporti facenti capo alla stessa, alla fine della sua capacità giuridica e alla estinzione della sua soggettività o personalità, così equiparando impresa individuale e collettiva ai fini del loro fallimento dopo la cancellazione. Per la Corte costituzionale, nel sistema, così come la cessazione dell’impresa commerciale individuale si presume assolutamente per l’iscrizione della cancellazione di essa dal registro delle imprese (art. 2196 c.c.), per non lasciare indefinito il termine entro cui chiedere il fallimento dell’imprenditore collettivo con ogni conseguenza in rapporto ai singoli soci, è indispensabile individuare l’identico dies a quo del termine annuale di cui alla *******., art. 10, per dichiarare il fallimento, facendolo decorrere dalla cancellazione della iscrizione della società nel registro delle imprese, al fine di garantire la certezza dei rapporti e la tutela dell’affidamento dei terzi e riconoscendo la rilevanza di tale pubblicità ai fini dell’estinzione non riconosciuta invece in sede giurisdizionale, in caso di permanenza delle attività d’impresa.

Pur potendo il legislatore regolare diversamente l’impresa collettiva e quella individuale, per la eguaglianza dei terzi creditori nelle due fattispecie, la Corte costituzionale è quindi intervenuta sul previgente art. 10 della legge fallimentare, per il quale la cessazione dell’impresa consentiva di dichiarare il fallimento entro un anno da essa solamente "se la insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo", rilevando che, come per l’imprenditore individuale, la norma comporta che il termine di cui sopra decorra dalla iscrizione della cancellazione dal registro delle imprese che rende nota ai terzi la cessazione dell’attività, altrettanto è a dirsi per le società commerciali, per le quali la cancellazione deve produrre il medesimo effetto.

Il giudice delle leggi, pur non qualificando la iscrizione della cancellazione delle società costitutiva della estinzione, ha chiarito che, ai fini del fallimento, la qualifica di impresa dei soggetti operanti in forma societaria, dovesse presumersi venuta meno con la cancellazione, la quale, per le imprese collettive, comportava anche la fine della loro personalità o soggettività coincidente con la misura della capacità giuridica delle società non persone giuridiche, per cui, solo entro un anno da tale pubblicità, anche sussistendo rapporti pendenti, della società poteva dichiararsi lo stato di insolvenza.

3.3. L’anno successivo alla citata sentenza della Corte Costituzionale c’è stata la legge di delega per la riforma del diritto societario n. 366 del 2001, che all’art. 8, relativo allo scioglimento e alla liquidazione della società, al comma 1, lett. a, prevede che la legge delegata semplifichi le procedure di accertamento delle cause di scioglimento e dei procedimenti di nomina dei liquidatori, dando mandato al legislatore delegato di "disciplinare gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese".

All’art. 9 della stessa legge relativo alla "cancellazione" della società dal registro si dispone che il futuro decreto legislativo semplifichi e precisi le circostanze per le quali devono cancellarsi le società di capitali dal registro delle imprese, prevedendo pure "forme di pubblicità della cancellazione dal registro" che, nella legge di delega, è considerata vicenda societaria da iscrivere nel registro, con gli effetti sostanziali e processuali di cui all’art. 2495 c.c., tra i quali, per la prima volta, espressamente si prevede la estinzione della personalità delle società di capitali e di quelle cooperative. La riforma delle società di capitali e cooperative di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, entra in vigore il 1 gennaio 2004 e in essa vi è l’art. 2495 c.c., novellato con il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, e sostitutivo del previgente art. 2456 c.c., il cui contenuto è rimasto immutato nella previsione del comma 1, delle condizioni e presupposti della cancellazione, costituiti dallo scioglimento della società e dalla procedura di liquidazione, essendosi modificato il solo comma 2, con l’inserimento in esso dell’inciso preliminare "ferma restando l’estinzione della società" dopo la cancellazione e la nuova previsione della notifica, entro un anno da detto effetto estintivo, presso la sede della società estinta, delle domande dei creditori sociali nei confronti dei soci, che risponderanno di tali debiti nei limiti della parte di capitale a ciascuno di loro ripartito o dei liquidatori in colpa per l’inadempimento, con disciplina analoga a quella della notificazione dell’atto riassuntivo della causa ai successori, in caso di morte della parte del processo.

La riforma introdotta tiene conto della cancellazione della iscrizione della società come istituto sostanziale da pubblicizzare, di cui alla legge di delega, e prevede che resta "ferma… la estinzione della società, dopo la cancellazione", considerando quindi la prima effetto della seconda, secondo la lettera della legge, che è in palese contrasto con il diritto vivente elaborato da questa Corte, ritenuto emendabile dal giudice delle leggi con una lettura costituzionalmente orientata della previgente *******., art. 10.

Nessun eccesso vi è stato dai limiti della delega della riforma societaria per la quale erano da disciplinare, come detto, "gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese", non precisandosi se questa dovesse essersi avuta prima o dopo l’entrata in vigore della legge delegata che, per i dati testuali dell’art. 2495 c.c., è ultrattiva, e produce i suoi effetti, tra cui quello di estinzione della società per cancellazione, solo dal 1 gennaio 2004, data d’entrata in vigore della novella (cfr. pure art. 223 bis disp. att. c.c.).

Non può non rilevarsi che, ai sensi dell’art. 2193 c.c. e della richiamata relazione al codice civile in materia di pubblicità nel registro delle imprese, soltanto la previsione "espressa" per legge può provocare l’effetto estintivo, cioè costitutivo, della cancellazione dell’iscrizione delle società di capitali e cooperative, e tale previsione si è avuta per la prima volta con l’art. 2495 c.c., novellato; ciò comporta che l’estinzione può aversi, per le cancellazioni precedenti alla data di entrata in vigore del 1 gennaio 2004, del D.Lgs. n. 6 del 2003, solo a detta data, dovendosi ritenere contestuale per l’avvenire con ciascuna cancellazione successiva, per il principio di ultrattività delle norme, di cui agli artt. 10 e 11 preleggi, e dall’art. 73 Cost., che consentono deroghe espresse a tale regola per cui ogni legge e anche l’art. 2495 c.c., opera solo per l’avvenire, salvo a volere riconoscere una natura "interpretativa" che non sembra giustificarsi sulla base della lettera del dato normativo, che, anzi, con l’art. 218 disp. att. c.c., e art. 223 bis disp. att. c.c., u.c., conferma l’ultrattività della disciplina peraltro non contestabile per i profili processuali dell’artìcolo regolati in base al principio "tempus regit actum".

Resta dunque l’interrogativo se – fermo restando che anche le società cancellate prima di tale data, a partire dal 1 gennaio 2004 debbono considerarsi estinte a causa della entrata in vigore della nuova legge – gli effetti di tale estinzione debbano essere fatti risalire a tale data o a quella della precedente cancellazione.

In tale ultimo senso sembra orientata la sentenza n. 18618 del 2006 che, per la prima volta, da rilevanza ermeneutica generale, nella disciplina dei rapporti tra creditori e società, alla previsione dell’art. 2495 c.c., in rapporto alla pubblicità delle cancellazioni precedenti e anche ai fini del fallimento delle imprese collettive, cui avevano fatto riferimento le sentenze citate della Corte Costituzionale, per rilevare l’incidenza della nuova disciplina della pubblicità nel registro con effetti su altri tipi di società sia pure su un piano meramente processuale. Si afferma infatti, in tale sentenza, che, nell’applicare la L. Fall., art. 10, in rapporto ad una società di fatto venuta meno con il trasferimento dell’azienda di questa ad una società di capitali, operato con atto notarile avente data certa e pubblicizzato nel registro delle imprese in cui era iscritta detta società, il termine annuale per la dichiarazione di insolvenza della società di fatto, non poteva che decorrere da tale richiamata pubblicità, pur essa estintiva della limitata soggettività della società dante causa, a garanzia delle esigenze di certezza nei rapporti con i terzi sottostanti la disciplina legale, cui si era dato rilievo con la sentenza della Corte costituzionale n. 319/2000, tenuto pure conto delle sentenze della stessa Consulta n. 361 del 7 novembre 2001 e 131 dell’11 aprile 2002.

Tali interventi del giudice delle leggi avevano dato identico rilievo alla pubblicità della cessazione della attività delle imprese individuali e di quelle collettive, più che alla prosecuzione di questa in fatto, per escludere la violazione di norme costituzionali e del principio di eguaglianza tra i loro creditori e quelli delle società, dopo la riforma del registro delle imprese di cui alla L. n. 580 del 1993.

Per la prima volta si afferma dalla Corte di legittimità che il carattere dichiarativo della pubblicità non comporta che la cessazione di fatto dell’attività di impresa possa prevalere sulla cancellazione iscritta nel registro, che rende certa e opponibile ai terzi la diversa data di detta cessazione dell’attività d’impresa, producendo l’opponibilità del venir meno della capacità giuridica della società, anche ai fini della decorrenza del termine annuale per la declaratoria di insolvenza, facendo presumere detto adempimento formale la conclusione dell’attività imprenditoriale, a garanzia dei terzi che dalle iscrizioni degli eventi relativi alle imprese hanno conoscenza "legale" di essi, con ogni riflesso anche processuale di tale affermazione.

3.4. Tuttavia la citata sentenza del 2006 della Cassazione afferma che il nuovo art. 2495 c.c., "non disciplinando le condizioni per la cancellazione ma gli effetti della stessa, cioè la estinzione della società cancellata, si applica anche alle cancellazioni intervenute in epoca anteriore alla sua entrata in vigore", senza nulla osservare in ordine alla retroattività o ultrattività degli effetti della legge.

Appare evidente l’incidenza sui giudici di questa Corte della legge di delega che tali effetti aveva espressamente chiesto di disciplinare, senza precisare se gli stessi potessero retroagire, ma non escludendo che la legge delegata potesse riferirsi anche a cancellazioni già avvenute, con la conseguenza che per le cancellazioni anteriori all’entrata in vigore della riforma, l’effetto dell’estinzione non poteva che riconoscersi e "restare fermo" alla data del 1 gennaio 2004.

Lo stesso novello art. 2495 c.c., è scritto in modo da regolare i soli effetti estintivi a decorrere dall’entrata in vigore della riforma del diritto societario anche in rapporto alle cancellazioni precedenti, avendo carattere di jus superveniens ultrattivo e produttivo di effetti estintivi nuovi, anche per le pregresse cancellazioni, in rapporto a quanto previsto nelle preleggi e in Costituzione (cfr. sul tema Cass. 5 marzo 2007 n. 5048) e non emergendo dal suo contenuto una pretesa natura meramente interpretativa e ricognitiva della norma, che ne avrebbe comportato la retroattività e il superamento per il passato del pregresso diritto vivente superato con la novella. Non può quindi configurarsi l’art. 2495 c.c., introdotto dal D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 4, che ha sostituito il previgente art. 2456 c.c., come norma interpretativa della pregressa disciplina e retroattiva, espressione di una lettura in consapevole contrasto con il precedente ius receptum, che negava natura costitutiva alla cancellazione della iscrizione della società dal registro delle imprese, come afferma invece la citata sentenza di questa Corte n. 25192 del 2008, per la quale la novella costituirebbe solo una lettura orientata costituzionalmente del sistema normativo precedente.

Anche la tutela dell’affidamento dei cittadini in rapporto agli effetti della loro conoscenza dell’iscrizione della cancellazione che all’epoca in cui la stessa avvenne non escludeva la continuazione dell’esistenza in vita della società e l’effetto estintivo di cui alla novella, induce a ritenere, la irretroattività delle norme, non prevista testualmente dalla legge nei sensi indicati, in conformità alle Preleggi e alle norme costituzionali.

La citata pronuncia del 2008 deve invece condividersi per la parte in cui afferma che, se per le società con personalità giuridica si riconosce dalla nuova norma la erroneità del pregresso indirizzo giurisprudenziale prevalente, nel sistema è logico riconoscere al novellato art. 2495 c.c., un effetto espansivo che impone un ripensamento della pregressa giurisprudenza anche per le società commerciali di persone, in adesione ad una lettura costituzionale della norma. Le società in nome collettivo e in accomandita semplice non hanno personalità giuridica ma solo una limitata capacità per singoli atti di impresa e, con la cancellazione della loro iscrizione dal registro, come si estingue per l’art. 2495 c.c., la misura massima di detta capacità, cioè la personalità delle società che di essa sono dotate, deve logicamente presumersi che venga meno anche detta ridotta capacità delle società di persone, rendendola opponibile ai terzi con una pubblicità solo dichiarativa della fine della vita di essa, della stessa natura cioè di quella della loro iscrizione nel registro a decorrere dal 1 gennaio 2004 e per l’avvenire, come sopra già precisato.

Pertanto, anche per le società di persone, può presumersi, che la cancellazione dell’iscrizione nel registro delle imprese di esse comporti la fine della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali e le cooperative, anche se in precedenza per esse si era esattamente negata in passato la estinzione della società e della capacità di essa, fino al momento della liquidazione totale dei rapporti facenti ad essa capo, in difetto di una espressa previsione dell’effetto estintivo per le società di capitali.

Tale soluzione ermeneutica, oltre che nelle indicate ragioni logiche e sistematiche che inducono a uniformare la disciplina dei diversi tipi di società, trova giustificazione anche nella *******., art. 10, come novellato con il citato D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 9, il cui comma 1, consente, per gli imprenditori individuali e collettivi, come già detto, la dichiarazione di fallimento "entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se la insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo", con chiaro identico rilievo dell’iscrizione della cancellazione per ogni tipo di società commerciale, sia di persone che di capitali.

Non si viola in tal modo l’art. 2193 c.c., nè il rigido formalismo della relazione al codice sul carattere assoluto della presunzione di conoscenza delle vicende societarie iscritte nel registro, facendo salvo la citata *******., art. 10, comma 2, la facoltà di dimostrare "il momento dell’effettiva cessazione dell’attività" imprenditoriale, "da cui decorre il termine del comma 1", per la declaratoria del fallimento, per entrambi i tipi di società, solo nel caso la cancellazione sia stata ordinata di ufficio e non sia quindi dovuta a richiesta dei liquidatori, potendo le società, in tale condizione peculiare, considerarsi cessate ed estinte anche in un momento diverso dalla cancellazione stessa se si dimostri che il provvedimento si fondava su dati di fatto errati.

Il riconoscimento alla cancellazione delle società di persone di un effetto solo dichiarativo della estinzione della stesse da riconoscere al primo gennaio 2004 o successivamente, resta confermato dalla disciplina delle azioni dei creditori sociali nei confronti dei soci per debiti della società di persone, riconosciuta dall’art. 2312 c.c., come accade per quelle con personalità giuridica cancellate ed era già previsto dal previgente art. 2456 c.c., e risulta confermato dall’attuale art. 2495 c.c., con una chiara differenza delle due discipline delle azioni nei due casi, connessa alla natura dei due tipi societari. Differenti sono infatti i limiti della responsabilità dei soci, nelle società di persone di regola illimitata, dopo l’escussione del capitale sociale, ai sensi degli artt. 2304 e 2324 c.c. (cfr. pure artt. 2267 e 2268 c.c., per le società semplici), e invece, in quelle di capitali e nelle cooperative, coerentemente con il sistema, limitata fino alla concorrenza di quanto riscosso nel riparto del capitale sociale, dal socio chiamato a rispondere dei crediti sociali, in ragione dell’accentuata e totale autonomia del patrimonio delle società aventi personalità giuridica, che non consente una soddisfazione che superi quanto di esso è stato ripartito tra i soci e resta comunque destinato a soddisfare i creditori della società, nei limiti della sua capienza anche dopo la ripartizione.

Consegue quindi che l’inciso "ferina restando la estinzione della società", che la novella ha inserito con riferimento espresso alle società di capitali e alle cooperative, integra il presupposto logico, nel sistema, per una lettura della cancellazione delle iscrizioni di società di persone dichiarativa della cessazione della loro attività dal momento dell’entrata in vigore della legge anche per le cancellazioni precedenti e dalla data della cancellazione dell’iscrizione per quelle successive al 1 gennaio 2004, consentendo la previsione espressa di legge dell’estinzione delle società con personalità giuridica, di dar luogo a quella interpretazione costituzionalmente orientata delle norme da sempre sollecitata dal giudice delle leggi e favorevole ad un identico trattamento di tutti i creditori delle imprese individuali e collettive di qualsiasi tipo, oggi possibile in ragione della riforma del 2003.

Infatti il venir meno della società costituisce il medesimo presupposto della analoga disciplina delle azioni dei creditori delle società contro i soci di cui all’art. 2312 c.c., comma 2, e dell’art. 2324 c.c., soggetti che rispondono per l’eventuale inadempimento, in solido e illimitatamente, previa escussione del patrimonio sociale, ove sia cessata la vita della società.

Per le società di persone, sembra logico ritenere che l’espressa disciplina della responsabilità dei soci subentrati alla società verso i creditori sociali per effetto della cancellazione ha come presupposto, il venir meno della soggettività e della capacità giuridica limitata di esse, parallelo all’effetto costitutivo – estintivo della cancellazione dell’iscrizione delle società di capitali di cui all’art. 2495 c.c., (così le cit. Cass. n. 19347/07, relativa a società consorziate e 29242/08), riaffermandosi, per le società commerciali senza personalità giuridica, la natura dichiarativa dell’effetto al 1 gennaio 2004 per le cancellazioni precedenti l’entrata in vigore della novella e quella contestuale alla pubblicità per quelle future.

3.5. Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto: "L’art. 2495 c.c., comma 2, come modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, è norma innovativa e ultrattiva, che, in attuazione della legge di delega, disciplina gli effetti delle cancellazioni delle iscrizioni di società di capitali e cooperative intervenute anche precedentemente alla sua entrata in vigore (1 gennaio 2004), prevedendo a tale data la loro estinzione, in conseguenza dell’indicata pubblicità e quella contestuale alle iscrizioni delle stesse cancellazioni per l’avvenire e riconoscendo, come in passato, le azioni dei creditori sociali nei confronti dei soci, dopo l’entrata in vigore della norma, con le novità previste agli effetti processuali per le notifiche intraannuali di dette citazioni, in applicazione degli artt. 10 e 11 preleggi, e dell’art. 73 Cost., u.c..

Il citato articolo, incidendo nel sistema, impone una modifica del diverso e unanime pregresso orientamento della giurisprudenza di legittimità fondato sulla natura all’epoca non costitutiva della iscrizione della cancellazione che invece dal 1 gennaio 2004 estingue di certo le società di capitali nei sensi indicati.

Dalla stessa data per le società di persone, esclusa l’efficacia costitutiva della cancellazione iscritta nel registro, impossibile in difetto di analoga efficacia della loro iscrizione, per ragioni logiche e di sistema, può affermarsi la efficacia dichiarativa della pubblicità della cessazione dell’attività dell’impresa collettiva, opponibile dal 1 luglio 2004 ai creditori che agiscano contro i soci, ai sensi degli artt. 2312 e 2324 c.c., norme in base alle quali si giunge ad una presunzione del venir meno della capacità e legittimazione di esse, operante negli stessi limiti temporali indicati, anche se perdurino rapporti o azioni in cui le stesse società sono parti, in attuazione di una lettura costituzionalmente orientata delle norme relative a tale tipo di società da leggere in parallelo ai nuovi effetti costituivi della cancellazione delle società di capitali per la novella.

La natura costitutiva riconosciuta per legge a decorrere dal 1 gennaio 2004, degli effetti delle cancellazioni già iscritte e di quelle future per le società di capitali che con esse si estinguono, comporta, anche per quelle di persone, che, a garanzia della parità di trattamento dei terzi creditori di entrambi i tipi di società, si abbia una vicenda estintiva analoga con la fine della vita di queste contestuale alla pubblicità, che resta dichiarativa degli effetti da desumere dall’insieme delle norme pregresse e di quelle novellate, che, per analogia iuris determinano una interpretazione nuova della disciplina pregressa delle società di persone.

Per queste ultime, come la loro iscrizione nel registro delle imprese ha natura dichiarativa, anche la fine della loro legittimazione e soggettività è soggetta a pubblicità della stessa natura, desumendosi l’estinzione di esse dagli effetti della novella dell’art. 2495 c.c., sull’intero titolo 5^ del Libro quinto del codice civile dopo la riforma parziale di esso, ed è l’evento sostanziale che la cancellazione rende opponibile ai terzi (art. 2193 c.c.) negli stessi limiti temporali indicati per la perdita della personalità delle società oggetto di riforma".

La scelta di risoluzione del contrasto nel senso dell’effetto estintivo della società cooperativa, a seguito della cancellazione anche anteriore alla vigenza del D.Lgs. n. 6 del 2003, sia pure al momento dell’entrata in vigore di essa (1 gennaio 2004), comporta che la Cooperativa Santa Barbara, cancellata il (omissis) su sua domanda del (omissis), dalla data della cancellazione è da ritenere estinta e priva di legittimazione sostanziale e processuale e che per tale motivo ad essa è stato negato dal giudice del merito la sua legittimazione al procedimento esecutivo.

Ciò comporta che la Cooperativa edilizia ricorrente come non era soggetto di diritto allorchè ha resistito alle opposizioni proposte dal P. nel 2007 sin dal settembre 2004 e mancava quindi di legittimazione a resistere in quella sede, tale era anche al momento di proposizione del presente ricorso per cassazione, perchè persona giuridica ormai estinta ad ogni effetto di legge dalla data dell’iscrizione della cancellazione dal settembre precedente, che ha per legge comportato la contestuale estinzione della società, evento che, se si fosse dichiarato o comunicato dal difensore nel corso del giudizio di merito ne avrebbe determinato l’interruzione.

Pertanto il ricorso per cassazione deve dichiararsi inammissibile, mancando di legittimazione a proporlo la ormai inesistente Cooperativa Santa Barbara.

In rapporto alla chiara giustificazione della parte soccombente nel merito nell’insistere nella sua posizione, espressione dell’indirizzo ermeneutico prevalente alla data d’inizio delle azioni a base delle domande decise con la sentenza impugnata, equa appare la compensazione totale delle spese del presente giudizio di cassazione tra le parti.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 12 gennaio 2010.

Redazione