Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 16/7/2008 n. 19495; Pres. Prestipino G.

Redazione 16/07/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 22 maggio 1998 la s.p.a. Centro Fieristico e Congressuale della valle d’Aosta, in liquidazione, ha convenuto davanti al tribunale di Torino la regione Valle d’Aosta chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, da liquidarsi nella misura di L. 17.640.011.656, per i ritardi con i quali erano state rilasciate le autorizzazioni per lo svolgimento delle attività fieristiche nel biennio 1994-1995, ritardi dai quali erano derivate notevoli perdite economiche e la messa in liquidazione della società. In corso di causa, dichiarato il fallimento della società, si è costituito il curatore.

Sono intervenuti in giudizio, per aderire alla domanda, i soci della società attrice L.M. e G.A..

La regione ha eccepito il difetto di giurisdizione e ha chiesto il rigetto della domanda.

Con sentenza del 14 marzo 2003 il tribunale, ritenuta l’infondatezza dell’eccezione di difetto di giurisdizione – sul rilievo che la questione relativa alla qualificazione della situazione giuridica soggettiva fatta valere attiene al merito, sulla base di quanto affermato dalla sentenza di questa corte n. 500 del 1999 – dichiarato ammissibile l’intervento dei soci, qualificata la situazione soggettiva fatta valere come interesse legittimo di tipo pretensivo e ritenuto sussistente un ritardo ingiustificato della regione nel provvedere sulle autorizzazioni, ha accolto parzialmente la domanda, condannando la regione al risarcimento dei danni nella misura di Euro 395.531,36.

Con sentenza dell’11 ottobre 2005 la corte d’appello di Torino, ha dichiarato inammissibili l’intervento e l’appello incidentale proposto dai soci e ha rigettato l’appello principale proposto dalla Regione e quello incidentale proposto dal fallimento.

Per quanto riguarda la questione di giurisdizione, che rileva in questa sede, la corte territoriale ha ritenuto che si era formato il giudicato interno sull’affermazione della giurisdizione, in quanto la relativa statuizione del tribunale non aveva formato oggetto dell’appello proposto dalla regione e pertanto doveva ritenersi inammissibile l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata (sulla base della sentenza della corte costituzionale n. 204 del 2004 e del conseguente orientamento di questa corte: sentenze nn. 5078 e 7000 del 2005) per la prima volta con la comparsa conclusionale.

Avverso la sentenza della corte d’appello di Torino la regione ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi, al quale resistono il Fallimento e i soci L. e G.. Il Fallimento e i soci hanno anche proposto ricorsi incidentali articolati, rispettivamente, su tre e su due motivi, ai quali resiste la Regione con autonomi controricorsi.

La regione e il Fallimento hanno anche presentato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso principale e i ricorsi incidentali, proposti nei confronti della stessa sentenza, debbono essere riuniti.

Con il primo motivo del ricorso principale la regione Valle d’Aosta lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c. e della sentenza della corte costituzionale n. 204 del 2004, affermando che erroneamente la corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’eccezione di carenza di giurisdizione, nel presupposto che tale eccezione sarebbe stata formulata per la prima volta con la comparsa conclusionale, mentre sarebbe stata sollevata in sede di precisazione delle conclusioni e ciò sarebbe sufficiente a farla ritenere ammissibile.

Inoltre, l’applicazione del principio stabilito dalla corte costituzionale, secondo cui le questioni di risarcimento del danno da ritardo della p.a. nel compimento dell’attività provvedimentale sarebbero state devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, non sarebbe preclusa dall’ipotizzato giudicato interno, sia perchè la questione di giurisdizione potrebbe essere esaminata, anche d’ufficio, fino a quando il rapporto processuale è pendente, sia perchè a ritenere il contrario, e cioè che dal combinato disposto degli artt. 37, 345 e 346 e 329 c.p.c., comma 2, derivi la preclusione della proponibilità dell’eccezione di difetto di giurisdizione fondata sul sopravvenire del nuovo criterio di riparto della giurisdizione operato con sentenza della corte costituzionale pronunciata dopo la proposizione dell’atto d’appello, dovrebbe sollevarsi questione di costituzionalità in relazione all’art. 3 Cost., comma 1 e art. 25 Cost., comma 1, essendo irragionevole e ingiusto porre a carico dell’appellante un onere di sollevare la questione di giurisdizione con l’atto d’impugnazione, quando la ragione sulla quale l’eccezione si fonda sia sopravvenuta nel corso del giudizio d’appello.

2. Il motivo non è fondato.

2.1. La corte d’appello ha correttamente affermato che sul capo della sentenza del tribunale di Torino in data 14 marzo 2003 che, respingendo con statuizione esplicita l’eccezione della regione, ha dichiarato la propria giurisdizione, si è formato il giudicato.

Infatti, è orientamento pacifico che il principio secondo cui il difetto di giurisdizione può essere rilevato anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (art. 37 c.p.c.) deve essere coordinato con il sistema delle impugnazioni, con la conseguenza che tale principio trova un limite nel giudicato interno sulla giurisdizione che si forma quando il giudice di merito si sia pronunciato sulla giurisdizione con statuizione non impugnata. Essendo rimasta soccombente, quindi, la regione avrebbe dovuto proporre tempestivamente appello anche sul capo con il quale era stata respinta la sua eccezione di difetto di giurisdizione. Pertanto è del tutto irrilevante che la riproposizione dell’eccezione di giurisdizione nel giudizio d’appello sia avvenuta per la prima volta con la comparsa conclusionale, come erroneamente affermato dalla sentenza della corte d’appello, o, come in effetti è accaduto, in sede di precisazione delle conclusioni, in quanto, comunque, si era anteriormente già formato il giudicato interno.

2.2. Questa corte ha ripetutamente affermato (sentenze n. 3046/2007, 3370/2006, 23645/2006, 21835/2004; 6487/2002) che il principio sancito dall’art. 5 c.p.c, secondo cui i mutamenti di legge intervenuti nel corso del giudizio non assumono rilevanza ai fini della giurisdizione – la quale si determina con riguardo alla legge vigente al momento della proposizione della domanda – si riferisce esclusivamente all’effetto abrogativo determinato dal sopravvenire di una nuova legge, e non anche all’effetto di annullamento dipendente dalle pronunce di incostituzionalità, che (a norma dell’art. 136 Cost., della Legge Costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, art. 1 e della Legge di attuazione 11 marzo 1953, n. 87), impediscono al giudice di tenere conto della norma dichiarata illegittima ai fini della decisione sulla giurisdizione. L’efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionale, tuttavia, si arresta di fronte al giudicato o al decorso dei termini di prescrizione o decadenza stabiliti per l’esercizio di determinati diritti.

I principi ora indicati non si pongono in contrasto con alcuna norma costituzionale. Non con il canone della ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., perchè il limite dell’efficacia dichiarativa e retroattiva delle sentenze della corte costituzionale, consistente nella salvaguardia dei rapporti e delle situazioni esaurite, appare razionale e conforme ad elementari esigenze di stabilità e certezza dei rapporti e delle situazioni giuridiche, sostanziali e processuali. Nè si può ipotizzare un contrasto con l’art. 24 Cost., perchè da un lato, il diritto di difesa dell’attore deve coordinarsi con il contrapposto diritto di difesa del convenuto, e, dall’altro, tale diritto si esercita nei limiti in cui la legge abbia previamente attribuito tutela agli interessi sostanziali o processuali della parte. Infine, la predeterminazione del giudice sulla base delle regole legali, in cui si sostanzia la garanzia di cui all’art. 25 Cost., impone che tali regole consentono l’individuazione del giudice prima che sorga la "regiudicanda", e solo per economia processuale è consentito attribuire rilievo a mutamenti della situazione di diritto che siano idonei a radicare la giurisdizione (o la competenza) di cui il giudice al momento della domanda sia sfornito. Al contrario contrasterebbe con il principio di cui all’art. 111 Cost. una regola che consentisse di vanificare l’attività processuale, sfociata in una pronuncia irrevocabile, per il successivo verificarsi di un effetto idoneo a far venir meno retroattivamente la giurisdizione (o la competenza) di cui il giudice era fornito al momento della proposizione della domanda.

A parte, quindi, la questione se la sentenza della corte costituzionale n. 204 del 2004 possa avere rilievo nella specie (trattandosi di giudizio instaurato il 22 maggio 1998, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80 del 1998) gli effetti di detta pronuncia si arresterebbero di fronte all’accertamento del verificarsi del giudicato interno sulla giurisdizione in data anteriore alla pubblicazione della sentenza stessa.

Rigettato il motivo del ricorso principale relativo alla giurisdizione, la causa deve essere rimessa al primo presidente per l’assegnazione alla sezione semplice per l’esame dei restanti motivi.

P.Q.M.

La corte, riunisce i ricorsi, rigetta il primo motivo del ricorso principale e rimette la causa al primo presidente per l’assegnazione alla sezione semplice per il giudizio sui restanti motivi del ricorso principale e sui ricorsi incidentali.

Redazione