Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 15/10/2008 n. 25174; Pres. Carbone V.

Redazione 15/10/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza non definitiva emessa il 31 marzo 2003 la Corte d’appello di Roma, riformando una precedente decisione del tribunale della stessa città, ammise al passivo della liquidazione coatta amministrativa della San Remo s.p.a. Assicurazioni e Riassicurazioni (in prosieguo indicata solo come San Remo) un credito del sig. D.B.L., il quale era stato alle dipendenze di detta società, ne era stato licenziato, ma aveva poi ottenuto una declaratoria giudiziale d’illegittimità del licenziamento. Con separata ordinanza la corte d’appello dispose per la prosecuzione del giudizio al fine di determinare l’entità del credito ammesso al passivo.

La corte d’appello, nella suindicata sentenza non definitiva, rilevò che il sig. D.B., dopo aver rivolto al commissario liquidatore, in data 26 ottobre 1992, un’istanza finalizzata ad ottenere l’ammissione al passivo di un credito per retribuzioni non percepite sino alla data della domanda (L. 235.317.870), di un credito per risarcimento dei danni (L. 30.504.168) e di un ulteriore credito per retribuzioni spettanti sino alla data del ripristino, non ancora verificatosi, del rapporto di lavoro (L. 5.229.286 per ciascuna mensilità), aveva depositato nella cancelleria del tribunale tre successivi ricorsi:

a) il primo, in data il 21 luglio 1998 (poi però non iscritto a ruolo), con cui, dopo aver richiamato le precedenti istanze rivolte al commissario liquidatore, dichiarando di avere informalmente appreso che esse erano state per la quasi totalità disattese, il ricorrente aveva chiesto l’ammissione tardiva anche di crediti maturati in virtù del lavoro svolto in epoca precedente alla sua formale assunzione, in anni compresi tra il 1974 ed il 1988, oltre che del credito per risarcimento di ulteriori danni conseguenti all’illegittima estromissione dall’attività lavorativa, per un ammontare complessivo di L. 293.291.853, in via privilegiata, e di L. 2.050.000.000 in chirografo;

b) un secondo ricorso, in opposizione allo stato passivo, depositato il 4 febbraio 1999, al quale però aveva poi espressamente dichiarato di rinunciare con atto in data 5 febbraio 1999;

c) un ulteriore ricorso, depositato lo stesso 5 febbraio 1999, con cui aveva nuovamente proposto formale opposizione allo stato passivo, lamentando il mancato accoglimento integrale delle istanze a suo tempo rivolte al commissario liquidatore e chiesto l’ammissione al passivo anche di crediti per retribuzioni maturate in epoca successiva alla presentazione di dette istanze (per un ammontare di L. 1.073.102.205), nonchè per le retribuzioni a venire.

Ciò premesso, la corte d’appello osservò che la mancata iscrizione a ruolo del primo ricorso non ostava all’ammissibilità del terzo, per la diversità delle pretese ivi rispettivamente enunciate, ancorchè derivanti dalla medesima causa petendi; e che neppure vi ostava la rinuncia al secondo ricorso, giacchè la contestualità di tale rinuncia, rispetto alla proposizione di quello sopra indicato sub c), facevano sì che quest’ultimo, al di là delle formule adoperate, costituisse una mera continuazione e precisazione dell’altro, non essendosi perciò verificata alcuna consumazione del potere d’impugnazione spettante alla parte. Nè infine, sempre secondo la corte territoriale, il ricorso in opposizione allo stato passivo da ultimo menzionato poteva dirsi inammissibile per tardività, non avendo rilievo, ai fini della decorrenza del termine per proporre opposizione, la mera pregressa conoscenza di fatto che il ricorrente potesse avere avuto del deposito dello stato passivo formato dal commissario liquidatore (depositato il 28 luglio 1995), prima di quando (con atto ricevuto solo il 1 aprile 1999) glie ne era stata data rituale comunicazione.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso, per due motivi, il commissario liquidatore della San Remo.

Il sig. D.B., oltre a resistere al ricorso di controparte, ha formulato un ricorso incidentale, al quale la San Remo ha a propria volta replicato con controricorso.

Con ordinanza n. 24300 del 22 novembre 2007 la prima sezione civile di questa corte, dopo aver riunito i due ricorsi sopra menzionati, avendo rilevato d’ufficio la necessità di rispondere preliminarmente all’interrogativo se al ricorso per opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa, indipendentemente dall’avvenuta comunicazione all’interessato, si applichi o meno il termine annuale d’impugnazione previsto dall’art. 327 c.p.c., ha sollecitato la rimessione della causa alle sezioni unite, dubitando della condivisibilità della soluzione affermativa formulata in proposito da Cass. n. 18579 del 2004 e sottolineando la rilevanza della questione, destinata a riprodursi in una molteplicità di cause.

Frattanto, con sentenza definitiva depositata il 2 aprile 2007, la Corte d’appello di Roma, sulla scorta di una consulenza tecnica d’ufficio, aveva proceduto a quantificare il credito del sig. D.B., disponendone l’ammissione in via privilegiata al passivo della liquidazione coatta per l’importo di Euro 522.475,45, a titolo di spettanze retributive, ed Euro 69.771,10, a titolo di trattamento di fine rapporto, oltre alla rivalutazione monetaria ed agli interessi.

Anche avverso questa seconda sentenza sono stati proposti un ricorso principale, da parte della San Remo, ed uno incidentale, da parte del sig. D.B., il quale ha poi depositato una memoria da lui personalmente sottoscritta.

All’odierna udienza i ricorsi riuniti avverso la sentenza d’appello non definitiva sono stati discussi dinanzi alle sezioni unite di questa corte unitamente a quelli aventi ad oggetto la sentenza definitiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Palesi ragioni di economia processuale suggeriscono anzitutto di riunire ai ricorsi proposti avverso la sentenza non definitiva della corte d’appello quelli che hanno ad oggetto la successiva sentenza definita emessa dal medesimo giudice nel prosieguo della stessa causa.

La riunione, tuttavia, non elide l’autonomia dei giudizi riuniti. Ne consegue che, tenuto conto della diversa data in cui sono state rispettivamente emesse la sentenza non definitiva e poi quella definitiva della corte d’appello, solo ai ricorsi proposti avverso quest’ultima possono trovare applicazione le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, alla disciplina del ricorso per cassazione.

1.1. Sempre in via preliminare occorre anche osservare che non è ammissibile la memoria depositata dal sig. D.B. personalmente, in luogo del difensore cui egli ha inteso revocare il mandato, giacchè nel giudizio di cassazione non è ammessa la difesa personale della parte. Non possono perciò esser prese in considerazione nè l’istanza di rinvio (che comunque non sarebbe giustificata dalla sola revoca del mandato al difensore alla vigilia dell’udienza di discussione del ricorso), nè le considerazioni difensive svolte in detta memoria, nè i documenti ad essa allegati (peraltro al di fuori dei limiti consentiti dall’art. 372 c.p.c.).

2. La corte d’appello, come s’è detto, ha accolto un’opposizione proposta, con ricorso depositato il 5 febbraio 1999, avverso lo stato passivo di una liquidazione coatta amministrativa reso esecutivo mediante deposito avvenuto in data 28 luglio 1995. Come rilevato con l’ordinanza della prima sezione civile di questa corte n. 24300 del 22 novembre 2007, ciò rende necessario vagliare preliminarmente se detto ricorso sia inammissibile per tardività, indipendentemente dalla data della comunicazione all’interessato della parziale reiezione delle richieste di ammissione allo stato passivo da lui in precedenza inoltrate al commissario liquidatore, in conseguenza del decorso del termine annuale stabilito dall’art. 327 c.p.c..

Ciò, evidentemente, equivale a chiedersi se quest’ultima disposizione sia o meno applicabile all’ipotesi considerata: se, cioè, il suaccennato termine annuale operi o meno in materia di opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa, disciplinata dalla L. Fall., art. 209, (con l’ovvia precisazione che a tale articolo si fa qui riferimento avendo riguardo al testo vigente all’epoca dei fatti di causa, anche se – giova incidentalmente aggiungere – le successive modificazioni ad esso apportate dal legislatore non sembrino destinate ad incidere neppure per l’avvenire sulla soluzione del problema in esame).

2.1. Questa corte ha già affrontato espressamente la questione, con la sentenza n. 18579 del 2004. In tale sentenza si è anzitutto ribadito che la verificazione dei crediti da parte del commissario liquidatore ha natura di procedimento amministrativo; si è tuttavia aggiunto che, con il successivo deposito in cancelleria dello stato passivo, che costituisce il presupposto per le contestazioni davanti al giudice ordinario, tale provvedimento acquisisce una connotazione giurisdizionale, onde sono consentite le opposizioni e le impugnazioni di cui alla *******., artt. 98 e 100, (richiamati dall’art. 209, legge stessa); e se ne è tratta la conclusione che trova in proposito applicazione la disciplina dettata in materia di termini processuali dagli artt. 326 e 327 c.p.c., in virtù del carattere di lex generalis che il codice di rito riveste rispetto al procedimento di opposizione allo stato passivo.

Siffatto orientamento non può essere, tuttavia, confermato.

2.2. Va premesso che non giova qui invocare i precedenti costituiti da Cass. n. 8158 del 1990 e da Cass. n. 10782 del 1997, i quali in realtà riguardano una fattispecie diversa, perchè, in quei casi, era questione della tempestività (non già dell’opposizione allo stato passivo, bensì) dell’impugnazione avverso sentenze emesse in primo grado in cause di opposizione allo stato passivo del fallimento. Il principio ivi enunciato, quanto all’applicabilità della previsione generale dell’art. 327 c.p.c., non è dunque tale da fornire lumi in ordine alla questione in esame, che si riferisce invece all’applicabilità di detto termine al ricorso originariamente proposto avverso l’elenco dei crediti formato dal commissario liquidatore e reso esecutivo mediante deposito in cancelleria, a norma della *******., art. 209.

Neppure soccorre qui la giurisprudenza incline a ritenere quel termine applicabile anche allo stesso ricorso in opposizione allo stato passivo (non già della liquidazione coatta, bensì) del fallimento, ai sensi della *******., art. 98.

Che le disposizioni del codice di rito abbiano valenza di legge generale, rispetto alla speciale normativa prevista dalla legge fallimentare con riguardo ai procedimenti giurisdizionali in essa contemplati, con la conseguenza che dette disposizioni generali sono applicabili anche in tema d’impugnazione delle pronunce emesse all’esito di quei procedimenti ed ai relativi termini, ove non derogati dalla lex specialis, è affermazione certo condivisibile. Donde, appunto (a seguito della pronuncia di Corte cost. n. 152 del 1980, che ha dichiarato l’illegittimità della *******., art. 99, comma 5, nella parte in cui faceva decorrere dalla data di affissione il termine per impugnare la sentenza resa sull’opposizione allo stato passivo), come già dianzi ricordato, la sicura applicazione del sistema dei termini previsto in via generale dai citati artt. 326 e 327 c.p.c., – salvo la riduzione alla metà stabilita dalla legge speciale per i soli termini previsti dal primo di detti articoli – anche per l’impugnazione delle sentenze con le quali si conclude il giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento (si vedano, oltre alle pronunce già prima citate, Cass. n. 22107 del 2007, Cass. n. 5136 del 2002, Cass. n. 4606 del 1994, Cass. n. 11609 del 1990, Cass. n. 4795 del 1984, Cass. n. 2275 del 1984, Cass. n. 3171 del 1982, Cass. n. 5768 del 1981, Cass. n. 4065 del 1981, ed altre conformi).

Nè a diversa conclusione potrebbe pervenirsi quanto ai termini d’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa, stante anche l’espresso richiamo alla *******., art. 98, operato dal penultimo comma del citato art. 209, trattandosi comunque dell’impugnazione di provvedimenti aventi indiscutibile natura giurisdizionale.

Il medesimo principio è invocabile anche con riferimento al termine entro cui può essere ab origine proposta l’opposizione avverso il decreto col quale il giudice delegato dichiara esecutivo lo stato passivo. Lo impongono il riconosciuto carattere giurisdizionale del procedimento di verificazione del passivo nel fallimento e la natura decisoria dell’anzidetto decreto di esecutività dello stato passivo, onde si è osservato che l’eventuale successiva opposizione costituisce lo sviluppo in sede contenziosa di quel procedimento ed ha connotati spiccatamente impugnatori (Cass. n. 3765 del 2007, Cass. n. 19605 del 2004, Cass. n. 18935 del 2003, Cass. n. 11456 del 2003, Cass. n. 11026 del 1997, ed altre conformi). Dal che discende la necessità di applicare all’opposizione stessa il regime codicistico dei termini d’impugnazione dianzi richiamato (nei limiti in cui non sia derogato da altre specifiche disposizioni della medesima legge fallimentare), ivi compreso il termine annuale di cui al citato art. 327, decorrente dalla data di deposito del decreto.

Diverso è, però, lo scenario in cui si attua la formazione del passivo nel procedimento di liquidazione coatta, al quale pacificamente è attribuita natura amministrativa (si vedano, tra le altre, Sez. un. n. 11216 del 1997, Cass. n. 17048 del 2007, Cass. n. 1817 del 2005 e Cass. n. 15102 del 2001; ma, prima ancora, Corte cost. n. 155 del 1980); scenario nel quale solo eventualmente, a seguito della proposizione di uno dei ricorsi ipotizzati dalla L. Fall., già citato art. 209, possono inserirsi momenti giurisdizionali, che però non valgono a modificare i caratteri schiettamente amministrativi delle operazioni di verifica dei crediti precedentemente svolte dal commissario liquidatore. Le quali, infatti, oltre ad essere affidate ad un soggetto estraneo alla giurisdizione, prescindono dalla necessità di domande di parte (destinate ad assolvere, se proposte, solo ad una funzione collaborativa) e non sono in alcun modo vincolate al contenuto di tali eventuali domande.

E’ vero che, in talune occasioni, è stato affermato che, a seguito del deposito in cancelleria e dell’acquisizione del conseguente carattere esecutivo, lo stato passivo formato dal commissario liquidatore "assume carattere giurisdizionale" (così, ed esempio, Sez. un., n. 11216 del 1997, cit.); ma questa espressione – più o meno precisa che sia la scelta delle parole adoperate – non può avere altro significato che quello di sottolineare il carattere giurisdizionale dei rimedi accordati dal menzionato art. 209, a chi intenda contestare l’operato del commissario. Il deposito dello stato passivo costituisce, cioè, il momento a partire dal quale può aprirsi, nell’ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa, una di quelle fasi giurisdizionali cui sopra s’è fatto cenno: giacchè gli interessati recuperano la facoltà di rivolgersi al giudice, nelle forme dell’opposizione richiamate in detto articolo, al fine di ottenere l’accertamento dei crediti (e degli eventuali privilegi) o delle pretese restitutorie che lamentano essere stati pretermessi, oppure al fine di contestare l’ammissione di crediti (e di privilegi) o delle pretese altrui. Il deposito dello stato passivo nella cancelleria del tribunale, con funzione di pubblicità, non può invece certamente avere la virtù di far acquistare intrinseca natura giurisdizionale all’atto conclusivo di un procedimento di carattere amministrativo – qual è quello di verificazione del passivo nella liquidazione coatta -, posto in essere dal soggetto al quale compete dar corso a quel procedimento e di portarlo in tal modo a conclusione. Nè, ovviamente, a questo fine rileva il carattere definitivo ed immutabile (salvo che a seguito di ricorso al giudice) dello stato passivo una volta depositato, trattandosi di una caratteristica che discende dalle esigenze proprie della procedura concorsuale e non è affatto incompatibile con la natura amministrativa di un atto che il legislatore vuole suscettibile di eventuale modifica solo per effetto di un successivo intervento giurisdizionale, entro i limiti e con lex forme previste per tale intervento.

A differenza di quanto si è visto accadere nel procedimento fallimentare, in cui l’opposizione allo stato passivo – come s’è detto – costituisce lo sviluppo in sede contenziosa della precedente fase di verifica dei crediti ad opera del giudice delegato e può essere, almeno per certi aspetti, assimilata all’impugnazione di un provvedimento giurisdizionale, nella liquidazione coatta amministrativa esiste una ben più marcata soluzione di continuità tra la fase della formazione del passivo, affidata ad un organo amministrativo e destinata a concludersi con un atto ugualmente di carattere amministrativo, e la successiva eventuale fase contenziosa, che si celebra dinanzi ad un giudice ed ha, essa sola, natura giurisdizionale. Il che, necessariamente, porta a dover escludere che, in difetto di qualsiasi richiamo esplicito o implicito, sia consentito applicare all’opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta una regola, come quella contenuta nell’art. 327 c.p.c., che ha sì valenza generale, ma pur sempre soltanto nell’ambito delle impugnazioni di provvedimenti giurisdizionali e non anche quando si tratti di far valere per la prima volta dinanzi ad un giudice diritti asseritamente lesi o comunque non riconosciuti nell’ambito di un precedente procedimento amministrativo.

Non vi sono quindi ragioni, sotto il profilo rilevato d’ufficio nella citata ordinanza della prima sezione di questa corte, per dichiarare inammissibile il ricorso in opposizione allo stato passivo del quale si discute nella presente causa.

3. Si deve pertanto passare all’esame dei due motivi del ricorso proposto dalla San Remo avverso la sentenza non definitiva della corte d’appello, che sono in larga parte sovrapponibili onde conviene considerarli congiuntamente.

3.1. In entrambi detti motivi la ricorrente denuncia la violazione della *********., artt. 98, 101 e 209, nonchè vizi di motivazione dell’impugnata sentenza.

Insiste, anzitutto, nel sostenere che il ricorso in opposizione allo stato passivo depositato dal sig. D.B. in data 5 febbraio 1999 avrebbe dovuto esser dichiarato inammissibile, perchè – contrariamente a quanto affermato dalla corte d’appello – esso aveva il medesimo contenuto sostanziale di quello già depositato in data 21 luglio 1998, però poi abbandonato per mancata iscrizione a ruolo: di talchè nè le doglianze formulate in detto ricorso del 21 luglio 1998 avverso lo stato passivo formato dal commissario liquidatore, nè le nuove pretese creditorie con esso fatte valere in via di insinuazione tardiva avrebbero potuto più essere riproposte, tanto più che siffatte ulteriori pretese, in quanto derivanti dal medesimo rapporto, avrebbero dovuto essere oggetto non di un’istanza di insinuazione bensì pur sempre di un ricorso in opposizione allo stato passivo.

La ricorrente sostiene, inoltre, che la corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso in esame anche per ulteriori ragioni, e cioè perchè la proposizione del precedente ricorso, depositato il 21 luglio 1998, implicava che il sig. D.B. avesse avuto piena conoscenza della parziale reiezione delle proprie precedenti istanze di ammissione al passivo, onde in nessun caso gli era consentito formulare mesi dopo un nuovo atto di opposizione per dolersi del mancato accoglimento delle medesime istanze, tanto più che quella dichiarazione di piena conoscenza appariva certamente idonea a far decorrere il termine fissato dal secondo comma del citato art. 209 (come risultante dopo la sentenza di Corte cost. n. 155 del 1980).

3.2. Le riferite doglianze non appaiono meritevoli di accoglimento.

E’ da escludere che il ricorso depositato dal sig. D.B. nella cancelleria del tribunale il 21 luglio 1998, poi non iscritto a ruolo, sia preclusivo della successiva opposizione. Quel ricorso, infatti, non integra esso stesso un atto di opposizione allo stato passivo, in relazione alle istanze di ammissione non riconosciute dal commissario liquidatore, le quali risultano solo richiamate ma con espressa riserva di proporre opposizione in altra sede. Quanto al resto, come correttamente osservato dalla corte d’appello, l’istanza di insinuazione tardiva aveva per oggetto pretese creditorie sicuramente diverse da quelle fatte valere con la precedente (tempestiva) istanza di ammissione al passivo, giacchè riguardava crediti di lavoro asseritamene maturati in anni anteriori o danni "ulteriori" derivati dal licenziamento.

Se anche, quindi, si volesse dubitare della possibilità di azionare tali danni in via di ammissione tardiva, anzichè di opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa, ciò si rifletterebbe sull’ammissibilità di detta insinuazione tardiva, ma non certo su quella della successiva e distinta opposizione allo stato passivo, se ritualmente e tempestivamente proposta.

Anche il ricorso depositato nella cancelleria del tribunale dal medesimo sig. D.B. il 4 febbraio 1999, al quale lo stesso ricorrente ha rinunciato il giorno dopo, non ha rilievo in questa sede: perchè le considerazioni in base alle quali la corte d’appello ha ritenuto che il potere di impugnazione della parte non si fosse con tale ricorso già consumato e che il ricorso successivo abbia avuto solo la funzione di precisare il contenuto del precedente non sono state specificamente e puntualmente censurate in questa sede dalla ricorrente San Remo.

Resta da stabilire se, avendo il sig. D.B. dichiarato, già nel primo dei suddetti ricorsi, che egli era a conoscenza dell’avvenuto deposito dello stato passivo della liquidazione, l’opposizione successivamente proposta possa dirsi tempestiva.

La risposta deve necessariamente essere negativa, come già ritenuto dalla corte d’appello, giacchè detta dichiarazione attesta solo una generica conoscenza di fatto, come tale non idonea a sostituire la conoscenza legale dell’avvenuto deposito dello stato passivo, della data di tale deposito e del preciso contenuto del provvedimento depositato; conoscenza legale solo in presenza della quale (nei termini risultanti dalla modifica apportata alla *******., art. 209, dalla citata pronuncia della Corte costituzionale) può affermarsi decorra il termine perentorio entro cui la parte ha l’onere di opposizione.

Il ricorso proposto dalla San Remo va perciò rigettato.

4. Inammissibile è invece il ricorso incidentale proposto dal sig. D.B. avverso la sentenza non definitiva della corte d’appello.

La doglianza del ricorrente, nella parte in cui lamenta la mancata sospensione del giudizio ad opera di detta corte d’appello, in attesa della definizione di altra causa in cui si discuteva dell’illegittimità del licenziamento del medesimo sig. D.B. e della proponibilità in quella sede delle pretese retributive e risarcitorie azionate anche nel giudizio di opposizione allo stato passivo qui in corso, non è più sorretta da adeguato interesse, giacchè risulta che la causa asseritamente pregiudiziale è ormai definita con sentenza passata in giudicato. L’invocata sospensione non avrebbe quindi più motivo di essere comunque disposta.

Quanto poi alla doglianza secondo cui i crediti vantati dal sig. D.B. avrebbero dovuto essere direttamente soddisfatti al di fuori del concorso, derivando da eventi verificatisi dopo l’instaurazione della procedura concorsuale e dovendo trovare applicazione il disposto del D.L. n. 857 del 1976, art. 12, e del D.P.R. n. 45 del 1981, art. 19, è sufficiente osservare che siffatta pretesa appare del tutto nuova rispetto a quanto ha formato oggetto di discussione dinanzi alla corte d’appello, come risulta da quanto riferito nella sentenza non definitiva in questa sede impugnata (senza che il ricorrente incidentale abbia contestato la ricostruzione delle vicende processuali in detta sentenza indicate, specificando in quale atto difensivo egli avrebbe invece già fatto valere in sede di merito la pretesa prededucibilità del suo credito). Donde l’evidente inammissibilità anche di questo secondo profilo di doglianza.

5. Occorre ora procedere all’esame dei ricorsi proposti avverso la successiva sentenza definitiva con cui la corte d’appello ha determinato l’ammontare del credito ammesso al passivo.

5.1. Col ricorso principale la San Remo, dolendosi della violazione degli artt. 42 e 295 c.p.c., oltre che di vizi di motivazione, sostiene che il processo era stato sospeso in attesa della definizione sia del giudizio pendente in sede di rinvio dinnanzi al Tribunale di Latina, avente ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento del sig. D.B., sia del giudizio per opposizione allo stato passivo pendente in cassazione a seguito dell’impugnazione della sentenza non definitiva della stessa corte d’appello, di cui prima s’è detto. Secondo la ricorrente, il procedimento sospeso non avrebbe quindi potuto essere riassunto – come invece è accaduto – solo dopo la definizione del primo dei due giudizi dianzi richiamati, quando ancora l’altro era pendente, nè avrebbe potuto la corte territoriale, in difetto di qualsiasi ricorso per regolamento proposto avverso l’ordinanza di sospensione, arbitrariamente interpretare quella propria ordinanza come se avesse fatto riferimento ad uno solo e non ad entrambi i giudizi summenzionati.

5.2. Il ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato.

E’ inammissibile laddove, al fine d’identificare un error in procedendo, assume esservi stata da parte del giudice d’appello una non consentita revoca della precedente ordinanza (non impugnata con regolamento) di sospensione della causa. Revoca che, però, detto giudice d’appello non ha affatto pronunciato, avendo viceversa semplicemente ritenuto che la sospensione avesse riguardato la pendenza di un procedimento ormai definito (la causa avente ad oggetto l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento, riassunta in sede di rinvio dalla cassazione dinnanzi al Tribunale di Latina) e non anche l’altro procedimento di cui le parti avevano fatto menzione nella loro istanza.

Si tratta, come è evidente, di un’attività interpretativa in sè del tutto legittima – anzi, doverosa ad opera del giudice chiamato a provvedere sull’istanza di riassunzione – nel compimento della quale questa corte non può sostituire il proprio giudizio a quello del giudice di merito, potendo solo eventualmente vagliare l’idoneità della motivazione da quest’ultimo addotta.

Ma la corte d’appello non ha mancato di spiegare le ragioni dell’interpretazione fornita, fondata sull’uso al singolare dell’espressione "giudizio pendente"contenuta nell’ordinanza di sospensione – tale da suggerire che il rapporto di pregiudizialità riguardasse appunto uno solo dei due giudizi ai quali la parte istante aveva invece fatto riferimento – e sul rilievo che solo in relazione alla causa promossa per far accertare l’illegittimità del licenziamento del sig. D.B. – e non anche invece in relazione al procedimento di cassazione instaurato avverso la sentenza non definitiva della medesima corte d’appello – fosse configurabile quel rapporto di pregiudizialità necessario al quale la medesima ordinanza di sospensione aveva alluso. Motivazione, questa, non illogica, non contraddittoria e neppure insufficiente, ancorchè eventualmente non condivisa nei suoi esiti dalla difesa della San Remo, e perciò non certo tale da implicare l’annullamento della sentenza impugnata.

5.3. Manifestamente inammissibile è il ricorso incidentale proposto dal sig. D.B. avverso la sentenza definitiva della corte d’appello, giacchè contiene un motivo formalmente unico, ma nel quale in realtà è esposta una variegata serie di questioni – molte delle quali attinenti piuttosto alla precedente sentenza parziale ed alla coeva ordinanza della corte d’appello che non alla sentenza definitiva in questa sede impugnata -, cui fa seguito una pluralità di "quesiti"; i quali in effetti tali non sono, dal momento che, lungi dall’individuare un principio di diritto che il ricorrente vorrebbe veder affermato, in sostituzione di quello su cui è invece basata la decisione impugnata, costituiscono una sorta di lunga riepilogazione di tutto quanto già esposto nelle precedenti pagine del ricorso. Palese è quindi la loro non conformità a quanto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c..

6. La soccombenza reciproca induce a compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La corte, pronunciando a sezioni unite, riunisce i ricorsi di cui in epigrafe, rigetta entrambi quelli proposti dalla San Remo s.p.a. Assicurazioni e Riassicurazioni, in liquidazione coatta amministrativa, dichiara inammissibili entrambi quelli proposti dal sig. D.B. e compensa per intero tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Redazione