Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 13/12/2010 n. 25089

Redazione 13/12/10
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Svolgimento del processo
Con ricorso notificato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Agrigento, alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione, al Consiglio Nazionale Forense ed alla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Palermo, A.I. premesso che:

(2) era stato iscritto nell’"albo degli avvocati con delibera del Consiglio dell’Ordine… di Agrigento in data 13 novembre 2003"; (2) con "delibera del 15 giugno 2006" lo stesso Consiglio (essendo risultato che egli era stato condannato con tre distinte sentenze della Corte di Appello di Palermo "per il reato di falsità ideologica") aveva disposto l’"apertura di un procedimento disciplinare" nei suoi confronti che ("tenuto conto della sua giovane età ed in considerazione anche della richiesta di ammonimento formulato dal Pubblico Ministero") si era concluso con l’irrogazione della "sanzione della censura"; (3) "successivamente" egli aveva chiesto, "per ragioni personali" (espletamento di "incarico incompatibile con l’esercizio dell’attività professionale"), di essere "cancellato dall’Albo"; (4) avendo, "nei primi mesi del 2009", chiesto di "essere reiscritto all’Albo degli Avvocati", lo stesso Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Agrigento aveva disposto ("con Delib. 12 febbraio 2009") la sua "reiscrizione" -, in forza di un solo motivo, chiedeva di annullare la sentenza n. 227/09 depositata il 28 dicembre 2009 (notificata il 5 maggio 2010) con la quale il Consiglio Nazionale Forense aveva accolto il ricorso con il quale il Procuratore ******** presso la Corte di Appello di Palermo aveva impugnato la "summenzionata Delib. 12 febbraio 2009".

Nessuno degli intimati svolgeva attività difensiva.

Motivi della decisione
1. Con la sentenza gravata il Consiglio Nazionale Forense ha accolto l’impugnazione del Procuratore ******** territoriale osservando:

– "la censura … secondo cui all’eventuale rigetto della domanda di reiscrizione osterebbe… il generale principio del ne bis in idem" ("essendo state le condotte…, punite in sede penali, già valutate e sanzionate in sede disciplinare con la censura, in pendenza dell’iscrizione in ordine alla quale poi è stata disposta su richiesta dell’interessato la cancellazione dall’Albo per sopravvenuta incompatibilità") è "priva di pregio" in quanto "il diniego di iscrizione per difetto" del "requisito soggettivo" della "condotta specchiatissima ed illibata … non costituisce una "misura afflittiva": "risulta", quindi, "improprio istituire un parallelismo tra la sanzione disciplinare inflittagli nel 2007 e la valutazione della condotta… al diverso fine (non più di sanzionarla disciplinarmente nuovamente, ma) di accertare la sussistenza o meno (di quel) requisito che il Consiglio dell’Ordine è tenuto a verificare anche in sede di reiscrizione";

– "nel merito" (ribadito che "per consolidata giurisprudenza… il requisito soggettivo di cui trattasi può essere autonomamente accertato e valutato dal C.N.F., anche in base ad elementi diversi da quelli posti dal Consiglio dell’Ordine a fondamento della decisione impugnata"), "la circostanza" secondo cui "le condotte incriminate risalgono agli anni 1995, 1996 e 1997 perde di consistenza di fronte" (1) "al carattere non episodico ed isolato, bensì reiterato delle stesse (… cinque distinti episodi di falso, consumato in un… triennio, a riprova di un modus operandi, antinomico rispetto a norme giuridiche e regole deontologiche, tutt’altro che occasionale)", (2) "al fatto che l’autore… aveva un’età tale da consentirgli di apprezzarne compiutamente il disvalore e le conseguenze" e (3) "alla rilevante gravità delle stesse", essendosi "l’avv. A. I…. macchiato" (come evidenziato "dal P.G. ricorrente") di "numerosi reati di falso ideologico… rilevanti nella valutazione delle qualità morali di chi aspira ad esercitare la professione legale, consumati in un momento qualificante della stessa (qual’è quello connesso all’autentica della firma dell’assistito in calce al mandato alle liti, dalla cui invalidità derivano gravi conseguenze d’ordine processuali) e, quindi, di condotte in grado di incidere assai negativamente sull’aaffidabilità del professionista". 2. L’ A. – affermato che "il Consiglio dell’Ordine di Agrigento, con deliberazioni ormai definitive, ha, nell’ambito del procedimento di iscrizione e nell’ambito di un successivo procedimento disciplinare, ritenuto, anche implicitamente, sussistente in capo a lui… il requisito della condotta specchiatissima ed ilibata" – denunzia "violazione dell’art. 111 Cost.", "difetto di motivazione" nonchè "violazione del principio del ne bis in idem".

A. Il ricorrente, in primo luogo, adduce:

– "nell’ambito del procedimento disciplinare, il Consiglio dell’Ordine è tenuto a porre in essere una verifica sulla sussistenza del requisito della condotta specchiatissima ed illibata" tanto che "ove il Consiglio dell’Ordine (lo) ritenga insussistente… non potrà procedere all’applicazione di una sanzione "lieve" (quale l’ammonimento o la censura) ma dovrà procedere alla cancellazione dall’albo per sopravvenuto venir meno di un requisito di iscrizione";

– "il Consiglio dell’Ordine di Agrigento, nell’ambito del procedimento disciplinare del 2007, ha posto in essere una valutazione, seppure, implicita, in ordine alla sussistenza… del requisito della condotta specchiatissima ed illibata": "infatti, il Consiglio dell’Ordine…, laddove ha valutata adeguata la sanzione della censura, ha ritenuto (seppur tacitamente) che le condotte contestate fossero inidonee a determinare il venir meno del requisito della condotta specchiatissima ed illibata; in caso contrario, il citato Consiglio dell’ordine avrebbe dovuto irrogare la sanzione della cancellazione ovvero della radiazione".

B. Il ricorrente, di poi, ritiene la "decisione" impugnata "erronea per difetto di motivazione" perchè non ha tenuto conto del fatto che la (sua) prima iscrizione… all’albo degli avvocati è avvenuta in data 13 novembre 2003… e, dunque, successivamente all’annotazione, nel certificato del Casellario Giudiziale, delle condanne penali che… sarebbero idonee a determinare il venir meno del requisito della condotta specchiatissima ed illibata (iscritte rispettivamente in data 30 marzo 2001 e 24 gennaio 2003…)".

Secondo l’ A., "da tale circostanza" discende:

(1) che "il Consiglio dell’Ordine di Agrigento aveva ritenuto con delibera del 13 novembre 2003 mai impugnata (e pertanto divenuta definitiva) che sussistessero in capo a lui… i requisiti per l’iscrizione nell’albo degli avvocati";

(2) che "in assenza di alcun fatto nuovo, i medesimi provvedimenti di condanna iscritti al casellario giudiziale sin dal 2003 e ritenuti non ostativi all’iscrizione, nel novembre 2003,… all’albo degli avvocati ma potrebbero, a distanza di anni, determinare l’adozione di un diverso giudizio in ordine ai requisiti soggettivi… ed, in particolare, non potrebbero indurre a ritenere insussistente il requisito della condotta specchiatissima ed illibata".

Per il ricorrente, quindi, "nel caso", "sussiste … una palese contraddittorietà nonchè un’evidente violazione del principio del ne bis in idem".

C. L’ A., ancora, contesta l’affermazione del giudice forense secondo cui "la circostanza che le condotte incriminate risalgano agli anni 1995, 1996 e 1997 perde di consistenza di fronte al carattere non episodico ed isolato, bensì reiterato delle stesse; al fatto che l’autore delle dette condotte aveva un’età tale da consentirgli di apprezzarne compiutamente il disvalore e le conseguenze; alla rilevante gravità delle stesse, a buon ragione evidenziata dal P.G. ricorrente allorquando ha sottolineato che l’avv. A.I. si è macchiato di numerosi reati di falso ideologico rilevanti nella valutazione delle qualità morali di chi aspira ad esercitare la professione legale; consumati in un momento qualificante della stessa (qua è quello connesso all’autentica della firma dell’assistito in calce al mandato alle, lite, dalla cui invalidità derivano gravi conseguenza d’ordine processuale) e, quindi, di condotte in grado di incidere assai negativamente sull’affidabilità del professionista" e sostiene che "il Consiglio Nazionale Forense, nella sua decisione, ha omesso di valutare taluni elementi che invece risultano fondamentali ai fini di una corretta valutazione della sua condotta"; "in particolare":

(a) "che i fatti oggetto delle citate condanne risalgono al 1996 e, dunque, ad un momento in cui la giovane età ma soprattutto l’inesperienza professionale lo hanno indotto… al compimento di taluni errori" "nel momento in cui si sono verificati gli episodi contestati (1996), (egli)… non era ancora iscritto all’ordine degli avvocati (l’iscrizione è avvenuta solo nel 2003) ma aveva agito nella qualità di praticante con patrocinio"): "tale circostanza, in alcun modo valutata dal Consiglio Nazionale Forense, è certamente idonea, a dimostrare come le condotte contestate… siano state poste in essere nella fase iniziale della propria attività professionale addirittura precedente all’iscrizione all’albo degli avvocati e dunque in un momento in cui l’inesperienza può indurre a porre in essere, seppure senza dolo, comportamenti non corretti";

(b) "che successivamente a tali fatti" egli "ha sempre tenuto, anche nell’esercizio dell’attività professionale, una condotta integerrima ed improntata ai canoni della lealtà e della correttezza, dimostrando il possesso della dignità e probità proprie della professione forense" ("… ha presentato nel 2010 "istanza di riabilitazione" che… allega");

(c) "che i fatti oggetto delle citate condanne sono stati commessi… in assoluta buona fede, senza dolo" (nella sua "decisione… datata 7 luglio 2007 e divenuta definitiva perchè non impugnata nei termini prescritti" il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Agrigento, neon riferimento a tali fatti", "escluso il dolo… e tenuto conto della sua giovane età ed in considerazione anche della richiesta di ammonimento formulata dal Pubblico Ministero", "aveva ritenuta congrua la sanzione della censura").

Il ricorrente, infine, richiama le decisioni del "Cons. Naz. Forense 26 febbraio 2007 n. 4 (… anche la decisione… n. 136/04)" (per la quale "il requisito della condotta specchiatissima ed illibata, necessario per l’iscrizione all’albo professionale, non è di per sè da escludere per la sola presenza di un procedimento o di una decisione penale a carico dell’interessato, ma deve essere valutato autonomamente e discrezionalmente dal consiglio dell’ordine in sede di accertamento dei requisiti richiesti") e "19 dicembre 2008 n. 168" (secondo cui "ai fini dell’iscrizione all’Albo degli Avvocati, il requisito della condotta specchiatissima ed illibata deve ritenersi sussistente nel soggetto che sia stato condannato per il reato di falso, laddove la giovane età, l’accertata buona fede ed il successivo provvedimento di riabilitazione consentano, dopo dodici anni dalla commissione del fatto criminoso, di ritenere stabilizzata in senso positivo la personalità del richiedente, al quale dunque può essere riconosciuta attualmente, considerata l’occasionalità e distanza nel tempo della condotta ostativa,l’affidabilità in ordine allo svolgimento della professione forense") ed afferma che "il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Agrigento, nel l’ambito della propria discrezionalità ed in conformità ai principi enunciati nelle summenzionate decisioni, ha correttamente ritenuto che le sentenze di condanna emesse nei suoi confronti… non fossero idonee ad escludere la sussistenza… del requisito della condotta specchiatissima ed illibata".

D. L’ A., in fine, formula questo quesito:

"se ai fini della reiscrizione all’Albo degli Avvocati, il requisito della condotta specchiatissima ed illibata debba ritenersi sussistente nel soggetto che sia stato condannato per il reato di falso, ove i fatti che hanno determinato la condanna siano stati compiuti nella fase iniziale dell’attività professionale e la condotta dell’interessato dopo tali fatti sia anche integerrima ed improntata ai canoni della lealtà e della correttezza, dimostrando il soggetto interessato di essere in possesso della dignità e probità proprie della professione forense". 3. Il ricorso deve essere respinto perchè infondato.

A. In via preliminare va evidenziato che allo stesso – siccome relativo a decisione depositata dopo il 4 luglio 2009 – non si applica il disposto dell’art. 366 bis c.p.c., (introdotto, come noto, dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, a far data dal 2 marzo 2006) perchè espressamente abrogato (con detta decorrenza) dal combinato disposto della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), e art. 58, comma 5.

Il quesito di diritto (peraltro parziale perchè non riflette compiutamente tutte le sintetizzate doglianze) formulato dal ricorrente, pertanto, deve essere considerato solo come una (ormai superflua) sintesi della complessiva censura da lui svolta contro la sentenza impugnata.

B. Per il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 37, comma 1, (convertito, con modificazioni, dalla L. 22 gennaio 1934, n. 36), invero, il Consiglio dell’Ordine, "di ufficio e su richiesta del Pubblico Ministero", deve pronunciare la "cancellazione" dell’iscritto all’albo (tra gli altri) "1) nei casi di incompatibilità" e "2) quando sia venuto a mancare uno dei requisiti indicati nell’art. 17, nn. 1) e 2)" ("salvi i casi di radiazione").

Nella specie lo stesso ricorrente ricorda di essere stato, appunto, cancellato dall’albo (a sua richiesta) per "incompatibilità".

Il medesimo art. 37, comma 6, di poi, consente ai professionisti cancellati dall’albo "a termini" delle sue previsioni (quindi anche in ipotesi di cancellazione per "incompatibilità") di essere "nuovamente iscritti qualora" (1) "dimostrino" ("se ne è il caso") (a) "la cessazione dei fatti che hanno determinato la cancellazione" nonchè (b) "l’effettiva sussistenza dei titoli in base ai quali furono originariamente iscritti", e (2) "siano in possesso dei requisiti di cui all’art. 17, nn. 1), 2) e 3)".

La norma, quindi, per quanto rileva, ammette la reiscrizione all’albo soltanto se il richiedente, al momento della sua istanza, sia "in possesso" – oltre che di quelli indicati nei nn. come modificato dal D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, art. 49: "essere cittadino italiano o italiano appartenente a regioni non unite politicamente all’Italia, ovvero cittadino di uno Stato membro dell’Unione Europea" e 2 "godere il pieno esercizio dei diritti civili" -, anche del requisito della "condotta specchiatissima ed illibata" previsto dall’art. 17, n. 3.

Nell’ultimo suo inciso, ancora, lo stesso art. 37, comma 6, prescrive di applicare (anche) alla reiscrizione le "disposizioni dell’art. 31".

C. L’art. 37, comma 1, n. 2, come visto, impone (e, quindi, consente) di pronunciare la cancellazione dell’iscritto se lo stesso non possa più vantare i requisiti (innanzi richiamati) indicati nell’art. 17, nn. 1 e 2, non anche per la perdita del requisito di cui al n. 3:

questa, quindi ("salvi" sempre "i casi di radiazione", ovverosia di infrazioni che hanno determinato questo provvedimento espulsivo), non è da sola sufficiente per disporre la "cancellazione" dall’albo del professionista.

Dal rilievo discende che vanamente il ricorrente invoca il "giudicato" (od il principio del ne bis in idem) dato dalla censura irrogatagli dal Consiglio dell’Ordine all’esito della compiuta valutazione della rilevanza disciplinare dei suoi comportamenti (accertati con le sentenze penali ritenute dal giudice a quo espressive della mancanza del requisito della "condotta specchiatissima ed illibate") atteso che quella valutazione, per l’art. 37, comma 1, n. 2, non contiene (essendo evidentemente irrilevante ai fini di quel decidere) nessuna considerazione e/o valutazione (neppure implicita) della idoneità o meno di quei comportamenti a far venir meno i caratteri della "condotta" dell’iscritto che la norma impone di riscontrare sia al momento dell’iscrizione che della reiscrizione.

D. La doglianza sintetizzata al punto 2.B. è inammissibile.

D.1. Con la stessa, infatti, si denunziano (a) "una palese contraddittorietà" della sentenza qui gravata con la "del itera del 13 novembre 2003" ("mai impugnata") – assumendosi che con quella delibera "il Consiglio dell’Ordine" abbia ritenuto "non ostativi all’iscrizione" i "provvedimenti penali" in questione all’epoca già annotati nel casellario giudiziale – e (b) una conseguente "violazione del principio del ne bis in idem" lamentando unicamente un "difetto di motivazione" per non avere il giudice forense "tenuto conto" di tale "fatto".

Di questo "fatto" (integrante una vera e propria causa petendi autonoma dall’altra, data dalla sentenza disciplinare), però, non vi è traccia nella sentenza impugnata, nè in ordine allo stesso il ricorrente (il quale non espone neppure, come impone l’art. 366 c.p.c., di averlo sottoposto all’esame di quel giudice) lamenta, come altrimenti necessario, una violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sul punto: la specifica questione, pertanto, risulta proposta per la prima volta in questo giudizio di legittimità.

D.2. La delibera detta, peraltro e comunque, siccome di sola iscrizione all’albo professionale (quindi avente ad oggetto un provvedimento suscettibile anche di revoca in autotutela: cfr., Cass., un., 10 gennaio 2003 n. 257), ha natura meramente amministrativa già Cass., un., 12 novembre 1990 n. 10888 scrisse:

"secondo il consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di questa S.C. e la prevalente dottrina, all’atto della iscrizione nell’albo (che per legge è necessaria all’esercizio delle professioni intellettuali: artt. 2229 e 3331 c.c., e singoli ordinamenti professionali) deve riconoscersi natura di atto amministrativo non negoziale di accertamento costitutivo, con cui si accerta l’esistenza di un diritto, peraltro non immediatamente esercitabile e con cui si rimuove un limite all’esercizio di esso attraverso un mutamento formale della preesistente situazione giuridica del soggetto, il quale solo grazie a quello può esercitare la libera professione (Cfr. le sentenze 3296 – 1987; 1665 – 1983: 1358 – 1983; 3675 – 1982; 4677 – 1979)" per cui l’eventuale contrasto della sentenza qui impugnata con quella delibera è inidoneo a produrre sia una "contraddittorietà" tra giudicati (non potendo un atto amministrativo rivestire tale qualità) che la violazione del (derivato) principio del "ne bis in idem" invocato dal ricorrente.

E. Anche l’ultima doglianza (punto C. del paragrafo che precede) è priva di fondamento.

E.1. Il R.D.L. 22 novembre 1933, n. 1578, art. 56, comma 3, consente agli "interessati" (come al "Pubblico Ministero") di "proporre ricorso avverso le decisioni del Consiglio nazionale forense alle sezioni unite della Corte di Cassazione… per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge".

Per l’art. 360 c.p.c., comma 4 (ultimo), (nel testo di tale articolo sostituito con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, applicabile alla specie per essere stata la sentenza impugnata depositata dopo l’entrata in vigore della stessa) "le disposizioni di cui ai commi 1 e 3, si applicano alle sentenze ed ai provvedimenti diversi dalla sentenza contro i quali è ammesso il ricorso per cassazione per violazione di legge".

Dal combinato disposto di tali norme discende che – diversamente da quanto ritenuto nel vigore del precedente, più restrittivo /cfr., tra le ultime, Cass., un., 11 Dicembre 2007 n. 25816 secondo cui, "relativamente alle decisioni del Consiglio nazionale forense", gli "accertamenti di fatto" e gli "apprezzamenti di merito", "per il disposto dell’art. 56 R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578", "sono sindacabili in sede di legittimità soltanto sotto i profili dell’assoluta mancanza o della mera apparenza della motivazione (v., per tutte, Cass. s.u. 17 novembre 2005 n. 23240, 12 maggio 2006 n. 10966, 27 ottobre 2006 n. 23071)"; adde : Cass., un., 23 marzo 2007 n. 7103), dettato della indicata norma procedurale – alla sentenza depositate dal Consiglio Nazionale Forense dopo l’entrata in vigore del detto suo nuovo testo sono applicabili tutte "le disposizioni di cui all’art. 360, comma 1", in particolare pure quella del n. 5, per cui quella sentenza è impugnabile innanzi a questa Corte anche "per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio" (cfr., analogamente, per le sentenze del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, tra le recenti, Cass., un., 24 settembre 2010 n. 20158).

E.2. Il vizio di omessa od insufficiente motivazione denunciabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come noto, sussiste soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione adottata (Cass., lav., 1.2 agosto 2004 n. 15693; id., lav., 9 agosto 2004 n. 5355).

Questi vizi (propriamente) motivazionali, peraltro, non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte perchè spetta solo a detto giudice (1) individuare le fonti del proprio convincimento, (2) valutare le prove, (3) controllarne l’attendibilità e la concludenza, (4) scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, (5) dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi (non ricorrenti nella specie) tassativamente previsti dalla legge in cui è assegnato alla prova un valore legale.

Il ricorrente che nel giudizio di legittimità deduca l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie, inoltre, ha l’onere (Cass.: un., 5 giugno 2008 n. 14824; 3^, 29 marzo 2007 n. 7767; 3^, 28 giugno 2006 n. 14973), sempre in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 c.p.c.), di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non valutate o mal valutate, nonchè di indicare le ragioni dei carattere decisivo delle stesse atteso che il mancato esame di una (o più) risultanze processuali può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione unicamente se quelle risultanze processuali non valutate o mal valutate siano tali da invalidare l’efficacia probatoria delle altre sulle quali il convincimento si è formato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass.: 3^, 22 febbraio 2010 n. 4205; 2^, 17 febbraio 2004 n. 3004).

E.3. L’applicazione al caso dei principi testè richiamati evidenzia l’insussistenza, nella sentenza gravata, di qualsiasi vizio di motivazione atteso che il ricorrente si è limitato a proporre una diversa valutazione del "fatto" e non ha dedotto l’omesso (od anche l’illogico) esame di circostanze fattuali non considerate dal giudice forense.

In particolare va evidenziato che – diversamente da quanto affermato dal ricorrente – quel giudice ha (1) espressamente negato ogni "consistenza", favorevole all’iscrivendo, della "circostanza che le condotte incriminate risalgono agli anni 1995, 1996 e (2) considerato l’"età" dell’autore degli illeciti penali ritenendola "tale da consentirgli di apprezzare compiutamente il disvalore e le conseguenze" degli stessi) e (3) spiegato le ragioni della giudicata "rilevante gravità" di quelle "condotte".

Tali osservazioni necessariamente escludono, nella complessiva valutazione compiuta dal giudice a quo, la stessa possibilità di attribuire alla "condotta" (assunta (Ndr: testo originale non comprensibile)) successiva una qualche idoneità (ai fini della reiscrizione all’albo) a cancellare la precedente.

4. Nessun provvedimento deve essere adottato in ordine alle spese processuali non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Redazione