Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 9/2/2009 n. 3177; Pres. Ianniruberto G.

Redazione 09/02/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex. art. 414 cod. proc. civ. al Tribunale – Giudice del lavoro di Arezzo O.C. conveniva in giudizio la s.p.a. POSTE ITALIANE – alle cui dipendenze aveva prestato lavoro – esponendo che era stato licenziato dalla società all’esito della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24 e che il licenziamento era illegittimo, per violazioni della citata legge sotto il profilo procedimentale e sostanziale. Il ricorrente richiedeva, pertanto, all’adito Giudice del lavoro di voler dichiarare l’illegittimità del licenziamento con ogni relativa conseguenza reintegrativa e risarcitoria.

Si costituiva in giudizio la s.p.a. POSTE ITALIANE che impugnava la domanda attorea e ne chiedeva l’integrale rigetto.

Il Tribunale di Arezzo – accoglieva il ricorso e -a seguito di impugnativa della parte soccombente e ricostituitosi il contraddittorio – la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza impugnata, condannando l’appellante al pagamento delle spese del giudizio.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. POSTE ITALIANE propone ricorso affidato a tre motivi; deposita ex art. 372 c.p.c. c.c.n.l. del 1994, del 2001 e del 2003, nonchè memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..

Resistono O.M. e R.A. – in qualità di eredi di O.C. deceduto nelle more del giudizio – che si sono costituiti depositando rituale procura difensiva e certificato di morte di O.C..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente – denunciando "violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3 e dell’art. 1362 e segg. cod. civ. in relazione agli artt. 4 e 5 dell’accordo interconfederale 20 dicembre 1993, nonchè vizi di motivazione" – rileva criticamente che "non si comprende come il giudice del secondo grado abbia potuto ritenere viziate e non correttamente espletate le comunicazioni di avvio e chiusura della procedura, posto che agli atti vi era la prova documentale che tra i destinatari delle comunicazioni vi erano le r.s.u., le quali – in virtù della previsione dell’art. 5, comma 1, dell’accordo interconfederale cit. – subentrano alla R.S.A. ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge".

Con il secondo motivo la ricorrente – denunciando "violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, nonchè vizi di motivazione" – censura la sentenza impugnata per aver "la Corte territoriale violato il disposto dell’art. 4 cit., in quanto nella comunicazione di apertura della procedura di mobilità le informazioni relative al problema occupazionale sarebbero state fornite con riferimento alle strutture organizzative di livello regionale e non invece unità produttiva per unità produttiva".

Con il terzo motivo di ricorso la società ricorrente – denunciando "violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, nonchè vizi di motivazione" – addebita alla Corte di appello di Firenze "di avere strumentalmente utilizzato, attraverso il diritto comunitario, il vuoto di riferimento normativo sui criteri di scelta, come schermo per nascondere scelte non perfettamente in linea con la legislazione nazionale". 2 – Si deve, anzitutto, respingere l’eccezione di improcedibilità del ricorso sollevato – in sede di discussione orale – dalla difesa degli eredi dell’intimato O.C. per essere stato notificato (in data 4 agosto 2006) il ricorso nel domicilio eletto dall’appellato quando questi era deceduto (in data (OMISSIS)).

Infatti la costituzione nel presente giudizio degli eredi del defunto intimato e la partecipazione all’udienza di discussione del loro difensore valgono a sanare la nullità della notificazione per raggiungimento dello scopo che si realizza – con effetto ex. tunc – normalmente con la costituzione in giudizio del destinatario dell’atto e che deve ritenersi verificata nel giudizio di cassazione in tutti i casi in cui il destinatario dell’atto ha potuto regolarmente svolgere la propria attività difensiva con la difesa in giudizio (Cass. n. 23871/2006).

3/a – Passando, quindi, atto disamina dei motivi di ricorso, gli stessi – da valutarsi congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi -non sono meritevoli di accoglimento. Al riguardo si rileva che – come si evince sostanzialmente dalla sentenza impugnata – che la ragione per la quale doveva reputarsi illegittimo il licenziamento del lavoratore era riposta nella violazione dell’accordo sindacale del (OMISSIS), che aveva determinato il criterio di scelta dei lavoratori da licenziare facendolo ricadere, con l’accordo delle organizzazioni sindacali, sulla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità e di vecchiaia. A tale accordo aveva, infatti, fatto seguito a distanza di soli due giorni una postilla "unilaterale" dell’azienda, datata (OMISSIS), attraverso la quale si intendeva "fare rientrare dalla finestra, sia pure limitatamente ad alcuni lavoratori, il criterio delle esigenze tecnico-produttive (previste dalla L. n. 223 del 1991, art. 5), che invece era stato escluso dal precedente accordo sindacale. In questo ultimo atto pattizio era stato contemplato, come criterio di scelta per tutto il personale, il possesso dei requisiti per la pensione di anzianità, a prescindere, pertanto, dalle esigenze tecnicoproduttive, che si erano invece tenute presenti – sebbene soltanto per alcuni lavoratori – a seguito di una successiva "nota" datoriale.

Una volta, quindi, che l’operazione del costo del lavoro era stata effettuata sulla espulsione di tutto il personale presente nell’intero complesso aziendale, senza tener conto delle singole e specifiche esigenze tecnico-produttive, la deroga introdotta tra l’altro unilateralmente, finiva per tradursi in un mancato rispetto del precedente accordo e finiva per creare una successiva e non concordata discrezionalità in capo al datore di lavoro suscettibile di determinare possibili discriminazioni dal momento che i dipendenti trattenuti seppure temporaneamente in servizio vedevano realizzati – per esclusiva scelta aziendale ed a differenza degli altri licenziati – tutte le aspettative contrattuali maturate e maturande nel 2002, il saldo del premio di produttività con conseguenze per loro favorevoli sia sul t.f.r. che sullo stesso trattamento di pensione.

L’assunto della Corte territoriale risulta corretto e conforme alla giurisprudenza di legittimità che anche di recente ha statuito che la cassa integrazione guadagni straordinaria viene autorizzata dal Ministero del Lavoro a seguito dell’approvazione di un programma ed a seguito della valutazione delle ragioni della impresa comportanti l’esclusione di meccanismi di rotazione, al fine di rendere l’attuazione del suddetto programma funzionale oltre che all’efficienza produttiva dell’impresa stessa anche a quelle finalità di ordine socio-economico, che con l’intervento della cassa integrazione si voglio perseguire. Ne consegue che nel corso della sua durata non è consentito – pena la invalidità della intera procedura di messa in cassa integrazione con le consequenziali ricadute in termini risarcitori -determinare, neppure con la copertura negoziale tramite sopravvenuti accordi collettivi sul punto, un mutamento dei criteri di scelta del personale da sospendere, con l’abbandono dei criteri inizialmente previsti nel programma e la contestuale adozione di altri criteri diversi e privi di razionalità e congruità rispetto alla causa integrabile, potendosi operare un mutamento dei criteri selettivi solo a seguito di un decreto di proroga, volto ad accertare la compatibilità di tale cambiamento con la regolare esecuzione del programma, ovvero a seguito di una distinta domanda di integrazione salariale e di un successivo decreto autorizzativi sulla base di un nuovo e distinto programma (cfr. al riguardo Cass. 23 maggio 2008 n. 13777).

Detto principio non può non trovare applicazione anche in sede di messa in mobilità dei lavoratori a seguito di ristrutturazione o riconversioni aziendali, dovendo la riduzione del personale seguire un iter procedimentale, cadenzato in buona misura sulle stesse regole disciplinati la cassa integrazione e dovendo anche nella riduzione del personale perseguirsi finalità volte a conciliare il recupero della produttività delle imprese con un impatto che, per la collettività dei lavoratori, sia il meno penalizzante in termini socioeconomico. Ne consegue l’incompatibilità anche con l’istituto dei licenziamenti collettivi e con la disciplina legale che lo regola di un mutamento -nel corso della procedura sfociante nella mobilità delle regole inizialmente pattuite con le organizzazioni sindacali con altre regole, che lascino più ampi spazi di discrezionalità all’imprenditore, e che per di più siano suscettibili di determinare per il loro contenuto il pericolo di diversità di trattamento o illegittime forme di discriminazione tra lavoratori. Alla luce dell’enunciato principio la sentenza impugnata si presenta, sorretta da una motivazione congrua, priva di salti logici e corretta sul piano giuridico, sicchè si sottrae alle censure avanzate con il ricorso della società Poste Italiane in termine di violazione dei principi fissati dalla L. n. 223 del 1991, art. 5.

Censure che si presentano tra l’altro prive del requisito della specificità. Ed invero anche a volere condividere l’opinione della società secondo la quale nel caso di specie si era verificato unicamente un differimento e non una disapplicazione del criterio di scelta della massima anzianità contributiva pattuito con l’iniziale accordo sindacale del (OMISSIS), ciò non poteva in ogni caso determinare che tale differimento fosse operato in maniera unilaterale dalla società stessa, atteso che anche il differimento avrebbe dovuto, in ogni caso essere concordato con i sindacati in ragione delle possibili conseguenze che ne potevano scaturire.

3/b – In merito, poi, alle doglianze del ricorrente sul punto – su cui si incentra il contenuto di tutti "i quesiti di diritto" dell’interpretazione del contratto collettivo come dianzi data dalla Corte territoriale, si rileva che l’interpretazione dei contratti collettivi di lavoro è riservata all’esclusiva competenza del giudice del merito, le cui valutazioni soggiacciono, nel giudizio di cassazione (anteriormente, peraltro, alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente: sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica, sia la denuncia del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione (ossia la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la anzidetta violazione e delle ragioni della obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito) non potendo le censure risolversi – così come è avvenuto per le censure proposte dalla ricorrente e che, quindi qualificano di inammissibilità i relativi quesiti di diritto-, in contrasto con l’interpretazione loro attribuita, nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (Cass. n. 7740/2003, Cass. n. 11053/2000).

3/c – Con riferimento, inoltre, ai pretesi vizi di motivazione – che, secondo la società ricorrente, inficerebbero la sentenza impugnata – vale rilevare che: -) il difetto di motivazione, nel senso d’insufficienza di essa, può riscontrarsi soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice e quale risulta dalla sentenza stessa emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l’obiettiva deficienza, nel complesso di essa, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, – come per le doglianze mosse nella specie della ricorrente quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; -) il vizio di motivazione sussiste unicamente quando le motivazioni del giudice non consentano di ripercorrere l’iter logico da questi seguito o esibiscano al loro interno non insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l’esame di punti decisivi della controversia – irregolarità queste che la sentenza impugnata di certo non presenta; -) per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.

3/d – In ogni caso, a definitiva conferma della pronuncia di rigetto dei motivi di ricorso in esame, vale riportarsi al principio di cui alla sentenza di questa Corte n. 5149/2001 (e, di recente, di Cass. Sez. Unite n. 14297/2007) in virtù del quale, essendo stata rigettata la principale assorbente ragione di censura, il ricorso deve essere respinto nella sua interezza poichè diventano inammissibili, per difetto di interesse le ulteriori ragioni di censura.

4 – In definitiva, alla stregua, delle considerazioni svolte il ricorso proposto dalla s.p.a. POSTE ITALIANE deve essere respinto.

La rilevanza della questione, confermata dalle incertezze della giurisprudenza al riguardo, induce a compensare integralmente le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa per intero le spese del giudizio di cassazione.

Redazione