Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 4/5/2011 n. 9769

Redazione 04/05/11
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Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale Ascoli Piceno F.S. esponeva che, quale dipendente della CARISAP, in regime di part – time per il periodo 1/3/97 – 28/2/99, nel corso del quale era stato trasferito alla sede Centrale di Corso Mazzini in Ascoli, aveva richiesto il rinnovo del rapporto a tempo parziale, ma la richiesta gli era stata rigettata per ragioni organizzative e produttive dell’azienda, quando invece in tal regime già lavoravano nella stessa sede altre due dipendenti. Anche la successiva domanda di prestazione a tempo definito, con decorrenza 1/10/99, presentata per motivi di salute, gli era stata respinta, contrariamente a quanto era avvenuto in ordine alle richieste di identico contenuto avanzate dalle altre due colleghe della stessa unità.

Premesso che la CARISAP aveva solitamente sempre concesso la trasformazione del rapporto da tempo pieno a part – time, per periodi biennali o annuali, il ricorrente affermava il proprio diritto a tale trasformazione, in rinnovo o proroga di quello scaduto, e sosteneva che la CARISAP avrebbe dovuto considerare la sua domanda nello stesso contesto in cui aveva esaminato le domande delle altre due dipendenti che avevano invece ottenuto la trasformazione, risultando le sue esigenze poziori rispetto a quelle delle medesime, sia perchè determinate da ragioni di studio e salute, sia perchè egli era già lavoratore in part-time cui era stato imposto il sacrificio del tempo pieno.

Sosteneva poi che l’operato della Cassa nei suoi confronti era da ritenersi discriminatorio a causa di un pregresso contenzioso in cui la Banca medesima era risultata soccombente, quanto al suo trasferimento a (OMISSIS), annullato dal Giudice. La CARISAP, inoltre, era rimasta inadempiente alle disposizioni contrattuali, pretermettendo la sua domanda nell’assegnazione o riassegnazione dei posti in part-time esistenti nell’unità produttiva.

Chiedeva, pertanto, l’accertamento del suo diritto alla trasformazione del rapporto a tempo parziale dal febbraio del 99 o dal dicembre del 99 o comunque dal periodo ritenuto di giustizia, con condanna della datrice di lavoro ad eseguire la trasformazione medesima.

Resisteva la CARISAP, eccependo la carenza di interesse ad agire del F. per assenza di una posizione giuridica qualificabile come diritto, perchè, ai sensi delle disposizioni contrattuali, il datore di lavoro era soltanto facultizzato – e non obbligato – ad accogliere domande di trasformazione del rapporto a tempo parziale. Nel caso, la prima domanda era di rinnovo, mentre la seconda era nuova domanda, ed in nessuna delle due occasioni erano esistenti le esigenze aziendali per la trasformazione.

Negava poi che il comportamento da essa tenuto fosse discriminatorio rispetto alle altre colleghe, che avevano diversa posizione.

Con sentenza resa il 10.6.2003 e depositata il 20 seguente, il Giudice respingeva la domanda del F., con addebito a costui delle spese del grado.

Escludeva la sussistenza di un diritto del dipendente alla trasformazione, in quanto, ai sensi dell’art. 3 del CCNL del settore, l’Istituto poteva accogliere le domande di prestazioni a tempo parziale presentate dai dipendenti in servizio, in presenza di proprie esigenze organizzative e produttive.

Avverso tale decisione proponeva appello il F., con ricorso depositato il 16 marzo 2004, con il quale riproponeva la domanda disattesa in primo grado.

La CARISAP si costituiva resistendo al gravame.

Con sentenza del 10-21 marzo 2006, l’adita Corte d’appello di Ancona accoglieva parzialmente il gravame dichiarando il diritto del F. alla trasformazione a tempo parziale del suo rapporto di lavoro dal gennaio 2000, nonchè l’inadempienza al relativo obbligo ad opera della ******à, che condannava ad effettuare la trasformazione.

A sostegno della decisione osservava che solo in relazione a detto periodo la posizione del F., sulla base dei criteri indicati nella contrattazione collettiva, si presentava come preferenziale rispetto a quella di altri due dipendenti che si erano visti accogliere analoghe domande, sia in considerazione delle condizioni di salute che della maggiore anzianità.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno spa con tre motivi, depositando anche memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste F.S. con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato a due motivi.

Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).

Con il primo mezzo di ricorso la CARISAP, denunciando violazione dell’art. 100 c.p.c. ed insufficiente e/o contraddittoria motivazione in relazione a detta norma, sostiene che il F. non avrebbe più avuto interesse ad insorgere contro la mancata concessione del "part-time", o mancato rinnovo annuale dello stesso, essendo ormai trascorso il periodo di durata (annuale) del richiesto "part-time", e che, comunque, la Corte non avrebbe motivato sufficientemente l’opposta valutazione.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando erronea applicazione degli artt. 1175 e 1362 c.c. in relazione al CCNL di riferimento nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta che la Corte d’appello, nell’affermare l’obbligo della CARISAP di esaminare la domanda di richiesta di part – time del F. "in occasione di ogni analoga domanda di colleghi della stessa unità produttiva", non abbia motivato la ragione per la quale la domanda dello stesso F., condizionata quanto a decorrenza (1.10.1999) e durata (un anno), potesse considerarsi "analoga" alle domande di altri dipendenti benchè non sottoposte a condizione alcuna.

Con il terzo motivo, infine, la Cassa di Risparmio, denunciando omessa, insufficiente e/o erronea motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) lamenta, sotto diversi profili, una inadeguatezza delle argomentazioni adottate dalla sentenza impugnata laddove è pervenuta a riconoscere il diritto del F. al part – time prevalente su quello degli altri colleghi interessati.

Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente per la loro stretta connessione, è fondato nei limiti e nei termini di cui qui di seguito. Va, anzitutto, osservato che la mancata concessione della trasformazione a "part – time" de rapporto a tempo pieno in corso, ove nel caso concreto risulti giuridicamente doverosa, ai sensi e per gli effetti della contrattazione collettiva, costituisce un inadempimento contrattuale, di cui si può sicuramente chiedere l’accertamento in quanto potenzialmente foriera di danno.

Pertanto, sotto questo profilo, è indubitabile la sussistenza di un interesse a detto accertamento.

Viceversa, è altrettanto indubitabile la infondatezza di una pretesa di trasformazione "ora per allora" del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale.

Va in proposito chiarito che – come puntualizzato dal Giudice d’appello l’art. 3 del CCNL del settore recita espressamente:

"l’azienda, in presenza di proprie esigenze organizzative e produttive, può accogliere domande di prestazione a tempo parziale presentate dai dipendenti in servizio e/o assumere lavoratori a tempo parziale.

L’azienda, purchè ciò risulti compatibile con le obiettive esigenze tecniche, organizzative e produttive, accoglierà prioritariamente le domande di quei lavoratori in servizio con l’inquadramento necessario che, appartenendo all’unità produttiva in cui si è manifestata l’esigenza, siano riconosciuti idonei a svolgere le mansioni per le quali la stessa si è determinata; ove ciò non avvenga, l’interessato può chiedere alla direzione aziendale che gli vengano forniti chiarimenti.

Fermo quanto previsto dai commi 1 e 2, in sede aziendale potranno essere definiti, d’intesa con le OO.SS. aziendali facenti capo alle Organizzazioni dei lavoratori stipulanti, criteri di precedenza per l’accoglimento delle domande dei lavoratori che intendono effettuare la propria prestazione in tempo parziale. Restano comunque escluse le posizioni di lavoro relative a prestazione lavorative non adeguatamente utilizzabili da parte dell’Azienda, ove eseguite per un tempo ridotto; nel mese di dicembre di ciascun anno l’azienda, in apposito incontro da tenersi con le OO.SS. aziendali facenti capo alle Organizzazioni dei lavoratori stipulanti, comunicherà le posizioni di lavoro che sono state ricomprese, nel corso dell’anno, nel rapporto a tempo parziale. "L’articolo prosegue con l’indicazione delle percentuali massime dei rapporti in pari – time.

Nell’accordo aziendale integrativo, al punto 3, sono poi dettati i criteri di precedenza per l’accoglimento delle domande di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno e tempo parziale, con l’indicazione, nell’ordine, delle seguenti fattispecie:

problemi di salute del lavoratore o di un membro del suo nucleo familiare che richiedano particolari forme di assistenza; gravi motivi familiari legati alla famiglia del prestatore e all’educazione dei figli; esigenze personali (motivi di studio, attività sociali, attività sportive etc.) ed infine richieste non motivate. In caso di identiche motivazioni da parte di più richiedenti, è previsto che si tenga conto dell’anzianità di servizio e delle esigenze aziendali. In questo quadro normativo – come correttamente sostenuto nella impugnata decisione – la posizione del lavoratore aspirante alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non può essere qualificata in termini di diritto soggettivo, nel senso che, ricorrendo una delle fattispecie indicate nell’accordo aziendale integrativo, il lavoratore istante abbia senz’altro diritto alla concessione del part-time; ciò in quanto, in via prioritaria, debbono sussistere le esigenze organizzative e produttive aziendali atte quantomeno a permettere, se non ad esigere, che alcune prestazioni lavorative, in una determinata unità produttiva, siano svolte in regime di tempo parziale. Ne discende che solo ed esclusivamente il datore di lavoro può – nell’esercizio della discrezionalità che gli compete in tutto ciò che attiene agli aspetti organizzativi dell’impresa – stabilire se effettivamente ci sia bisogno di prestazioni a tempo parziale e se le richieste avanzate in tal senso dai dipendenti rispondano alle esigenze aziendali medesime, sì da potere trovare accoglimento. Si tratta, quindi, di un potere discrezionale il cui esercizio non è sindacabile dal dipendente.

Una volta però che il datore di lavoro abbia ritenuto sussistenti, in una determinata unità produttiva e con riguardo a specifiche mansioni, l’esigenza di prestazioni a tempo parziale, nonchè l’utilità di prestazioni lavorative così rese, la decisione di concedere o negare la trasformazione del rapporto a part-time – rimarca, ancora, opportunamente il Giudice d’appello – non è più discrezionale, bensì vincolata ai criteri prestabiliti in sede di accordo collettivo, ai quali il datore di lavoro deve conformarsi nella regolamentazione dei singoli rapporti, facendo applicazione dei criteri di buona fede e correttezza che debbono ispirare l’esecuzione del contratto (ex artt. 1175 e 1375 c.c.). Con la conseguenza che l’inosservanza dei criteri preferenziali contrattualmente stabiliti legittima il dipendente che si ritenga leso dalla condotta datoriale ad agire per il risarcimento del danno, anche in forma specifica, per ottenere la trasformazione del rapporto in part-time che gli fosse stata ingiustamente negata sulla base dei descritti criteri, oltre ad eventuali altre voci di danno collegate allo stesso illecito.

In base a questa ricostruzione, la posizione datoriale rispetto alla concessione del part-time richiesto dal dipendente corrisponde ad un potere discrezionale nell’ai e vincolato nel quomodo.

Ne deriva che, mentre va escluso il diritto del dipendente di sindacare le decisioni datoriali in ordine alla sussistenza o meno delle esigenze organizzative e produttive compatibili con prestazioni rese in regime di tempo parziale, o richiedenti dette prestazioni, si può invece ravvisare in capo al dipendente una posizione di diritto soggettivo suscettibile di tutela risarcitoria relativamente alle modalità di esercizio di quel potere, e, quindi, relativamente al potere del datore di scegliere a chi accordare il part-time tra quei dipendenti che ne abbiano fatto richiesta, per la prima volta o in via di rinnovo.

In coerenza con tale corretta analisi della disciplina contrattuale applicabile, la Corte distrettuale è passata alla ulteriore fase volta ad accertare se la CARISAP, nel vagliare le domande di part – time avanzate dal F., abbia fatto legittima applicazione dei criteri preferenziali indicati in sede di contrattazione collettiva.

Il risultato di tale indagine è stato quello di ritenere legittimo il rigetto della domanda di rinnovo del part – time per il successivo biennio a decorrere dal 1/3/99, da parte della CARISAP, con la motivazione dell’insussistenza delle condizioni per l’accoglimento della richiesta, con riguardo alle esigenze organizzative e produttive proprie dell’Azienda. Tale negativo riscontro di esigenze aziendali armonizzabili con l’offerta di prestazione a tempo parziale – precisa in proposito la Corte di merito – non risultava, infatti, contraddetto dalla circostanza che presso la stessa unità produttiva fossero già in servizio le due dipendenti cui il part – time era stato accordato, nè risultava provato – stante anche la tardività delle produzioni documentali offerte dal F. – che la Cassa avesse già positivamente vagliato la compatibilità di tre lavoratori a tempo parziale nella stessa unità produttiva nel momento in cui F. medesimo, che già era in part time, venne trasferito presso la sede centrale; sicchè doveva ritenersi che il trasferimento del F. dal Servizio Tesoreria alla sede centrale di (OMISSIS) della CARISAP.) fosse conseguenza della pronunzia 18.12.1998 (richiamata dallo stesso lavoratore) del Tribunale di Ascoli Piceno quale giudice del lavoro in secondo grado, che ordinò alla CARISAP di reintegrare il dipendente presso la sede centrale.

Con la conseguenza di doversi ritenere che la Cassa non avesse avuto possibilità di scelta al riguardo, ma che fosse stata costretta a "subire" il trasferimento del F. nella sede centrale in regime di part-time senza poter al momento neppure valutare se, nell’unità produttiva di destinazione, sussistessero le condizioni organizzative atte a consentire l’utile accettazione di prestazioni lavorative a tempo parziale da parte dello stesso dipendente ivi trasferito. Sussisteva invece il potere della CARISAP di vagliare se ricorressero esigenze organizzative e produttive atte a consentire la prestazione in part – time offerta dal F. nel momento in cui questi ebbe a presentare la richiesta di proroga, ai primi di febbraio del 1999, legittimamente rigettando l’istanza. Ciò in quanto, al momento della presentazione della domanda di rinnovo ai primi di febbraio 1999, le altre due dipendenti erano già state in precedenza ammesse a lavorare in regime di tempo definito, talchè la Cassa non incorse in alcuna violazione dei criteri preferenziali nell’accesso al regime di tempo parziale.

Diversamente la Corte d’appello si è pronunciata in ordine alla domanda di trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale presentata dallo stesso F. nell’agosto del 1999, per motivi di salute, per un anno e con decorrenza dall’ottobre seguente, respinta anche questa dalla CARISAP perchè non ritenute sussistenti le condizioni organizzative aziendali che ne favorissero raccoglimento. In proposito, il Giudice a quo ha osservato che nel successivo mese di dicembre erano venuti a scadenza i rapporti a tempo parziale delle due dipendenti ( P. e N.), le cui domande erano state invece accolte, e che dalla espletata istruttoria era emerso che la N., addetta ai fidi, non era stata mai adibita all’Ufficio Cassa, mentre la P. nel 1999 aveva svolto saltuarie prestazioni presso il medesimo.

Coerentemente il Giudice d’appello – rimanendo nell’ambito delle allegazioni dell’appellante e senza estendere perciò l’indagine agli altri cassieri – ha ritenuto che in quel contesto l’esigenza tecnica di avere un cassiere in part-time sussistesse presso la sede centrale della CARISAP, posto che, in tale ipotesi, nelle ore pomeridiane lasciate libere dal F., quel servizio ben avrebbe potuto essere svolto dalla stessa P. – che lo aveva curato in precedenza per i predetti tre anni in modo continuo e che nell’anno 1999 (cui ci si deve riferire) lo aveva svolto, seppure saltuariamente, essendo stata comunque "utilizzata come jolly".

Pertanto, la buona fede e la correttezza imponevano di valutare concorsualmente le domande di tutti i soggetti interessati, anche se non presentate nello stesso momento ed, in particolare, di considerare che il F. aveva chiesto il tempo parziale per un anno, che ancora pendeva quando le altre due avevano rivolto analoga istanza, poi accolta. Sicchè dovendo il F., nel dicembre 1999, essere preferito nella concessione del part time sulla base dei criteri indicati dall’accordo aziendale integrativo richiamato dalle parti (ragioni di salute e anzianità di servizio), erroneamente l’istanza non era stata accolta dalla società.

L’esposizione svolta consente di evidenziare, oltre che la parziale fondatezza del ricorso principale, la infondatezza di quello incidentale proposto dal F..

Infatti, con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 416 c.p.c., u.c. e dell’art. 167 c.p.c., comma 1, deducendosi che erroneamente il Giudice a quo avrebbe preso in considerazione la circostanza, effettuata per la prima volta nella memoria di costituzione in appello, di un ritrasferimento obbligatorio e ope iudicis nel dicembre 1998 del F. da (OMISSIS) alla Sede Centrale di (OMISSIS), in esecuzione del provvedimento giudiziario del Tribunale di Ascoli Piceno (sent. n. 22 del 18/12/1998 – 18/1/1999).

Sennonchè dalla lettura della sentenza impugnata e per quanto in precedenza esposto emerge che la deduzione della CARISAP abbia costituito una mera argomentazione difensiva, come tale non preclusa in appello, giustificata dalla linea difensiva del lavoratore con la quale si era inteso rimarcare che l’adibizione nel dicembre 1998 del F. alla Cassa della sede centrale della CARISAP era avvenuta sulla base del provvedimento giudiziario del Tribunale di Ascoli Piceno, al quale – come chiarito in sentenza – lo stesso lavoratore aveva fatto riferimento.

Va in proposito osservato che nell’ambito delle argomentazioni difensive delle parti, genericamente qualificabili come eccezioni, vanno distinte quelle che consistono nella semplice negazione del fatto costitutivo del diritto esercitato dalla controparte (mera difesa), quelle che consistono nella contrapposizione di un fatto impeditivo o estintivo, tale da escludere gli effetti giuridici del fatto costitutivo ex adverso affermato, (eccezioni in senso lato) ed, infine, quelle che consistono in un controdiritto contrapposto al fatto costitutivo affermato dall’attore, che non esclude l’azione, ma al convenuto il potere giuridico di invalidarlo (eccezioni in senso proprio). Solo riguardo a queste ultime, rimesse esclusivamente al potere dispositivo della parte, vale nel rito del lavoro l’onere di allegazione e di prova in primo grado, e la preclusione ex art. 437 cod. proc. civ. in grado d’appello, – ampliandosi con la loro proposizione l’ambito della controversia con conseguente violazione del principio del doppio grado di giurisdizione e della lealtà del contraddittorio, mentre per tutte le altre, che entrano nell’ambito della lite già all’inizio, in relazione all’obbligo del giudice di verificare le condizioni dell’azione, opera il principio della rilevabilità d’ufficio, e la loro puntualizzazione per la prima volta in appello non allarga il "thema decidendum" (Cass. n. 6272/1998; Cass. S.U. n. 89/1997).

Con il secondo motivo il F. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c. in ordine al divieto di nuove prove documentali in grado d’appello, lamentando che la Corte d’appello abbia ritenuta tardiva la documentazione volta a contrastare la ritenuta non obbligatorietà del trasferimento.

Sul punto – come sopra accennato – la Corte di merito ha correttamente osservato che trattandosi di documenti risalenti a periodi anteriori al giudizio – e quindi non di formazione successiva – per i quali la necessità di produrli era già sorta in precedenza, era ormai preclusa la loro produzione; con l’ulteriore specificazione che, non essendo emerse "piste" probatorie meritevoli di approfondimento, non poteva trovare applicazione il disposto dell’art. 437 c.p.c. sull’ammissibilità di ufficio dedotte prove documentali (Cass. S.U. 20.4.2005 n 8202 e la conforme giurisprudenza di legittimità che ne è seguita).

Per quanto precede, mentre il ricorso principale va accolto limitatamente alla dedotta esclusione della condanna ad effettuare la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, il ricorso incidentale va rigettato.

L’esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.
LA CORTE riunisce i ricorsi; accoglie parzialmente il ricorso principale e cassa la sentenza impugnata limitatamente al capo concernente la condanna della CARISAP ad effettuare la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale e la conferma nel resto. Rigetta il ricorso incidentale. Compensa le spese.

Redazione