Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 3/12/2008 n. 28724; Pres. Sciarelli, G., Est. Bandini, G.

Redazione 03/12/08
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In base alla legge n. 482 del 1968, la tutela dell’invalido non può spingersi fino a garantirgli l’obbligatorietà dell’assunzione anche in caso di assoluta ed oggettiva incompatibilità con gli assetti organizzativi aziendali.

 

(Omissis)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Barcellona PG F.S., appartenente alla categoria protetta degli “orfani”, assumendo l’illegittimità del rifiuto da parte della Nettunia srl alla sua assunzione a seguito dell’avviamento disposto dall’UPLMO competente ai sensi della L. n. 482 del 1968, chiese che venisse dichiarato il suo diritto all’assunzione, con condanna della predetta ******à al risarcimento dei danni.

Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza della convenuta, il Giudice adito respinse il ricorso, compensando le spese.

La Corte d’Appello di Messina, con sentenza in data 3.5 – 16.8.2005, respinse l’appello proposto dal F., con compensazione delle spese.

A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò che:

– l’obbligo di assunzione era collegato alla possibilità di utilizzare l’avviato in una delle mansioni compatibili con le sue condizioni e con quelle esistenti nell’azienda;

– la ******à convenuta si occupava solo della vigilanza e dello spegnimento degli incendi a bordo delle navi, avvalendosi di personale munito delle prescritte autorizzazioni alla qualifica di guardia ai fuochi;

– il F. non era in possesso di tale autorizzazione e, invitato a farlo, non aveva inteso conseguirla;

– all’interno della struttura non erano previste altre mansioni in cui poterlo diversamente utilizzare;

– la ******à aveva richiesto all’UPLMO l’avvio di “guardie ai fuochi muniti di certificazione di iscrizione nel registro di cui all’art. 68”, e aveva fatto richiamo all’ordinanza n. 3/77 della Capitaneria di Porto di Messina;

– non poteva essere imposta alla ******à l’inammissibile creazione di una mansione non prevista in organico.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, ****** ha proposto ricorso per cassazione fondato su sette motivi e illustrato con ricorso. La Nettunia srl ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione della L. n. 482 del 1968, art. 16 e ss, sostenendo che il datore di lavoro non può pretendere in capo al lavoratore avviato alcuna attitudine, specializzazione o titolo di sorta, sicchè avrebbe dovuta essere dichiarato l’obbligo della Nettunia srl alla sua assunzione nella categoria operaia o, non essendosi la società avvalsa della facoltà di indicare la categoria (operaia o impiegatizia), nella categoria amministrativa.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione della L. n. 482 del 1968, in relazione all’art. 2697 c.c., sostenendo che la Nettunia srl non aveva fornito la prova seria e rigorosa della sua incollocabilità. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione della L. n. 482 del 1968, in relazione all’art. 2103 c.c., sostenendo che la Nettunia srl non aveva nè sostenuto, nè provato, l’impossibilità o l’inesigibilità dell’assunzione a seguito di un’eventuale riorganizzazione aziendale. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 346 e 324 c.p.c., e art. 2099 c.c., sostenendo che, con l’affermazione della sostanziale illegittimità dell’atto di avviamento, la sentenza impugnata aveva violato il giudicato interno relativo all’affermata legittimità di tale atto.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., assumendo l’omessa pronuncia sui motivi di gravame concernenti:

a) la violazione di legge già evidenziata nel primo motivo di ricorso;

b) la violazione dei principi sull’onere della prova già evidenziati nel secondo motivo di ricorso;

c) la violazione di legge già evidenziata nel terzo motivo di ricorso.

Con il sesto motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 345 c.p.c., e art. 111 Cost., sostenendo che solo nella memoria di costituzione in appello la Nettunia srl aveva formulato l’eccezione, non suffragata da documentazione probatoria, di avere presentato all’UPLMO la richiesta prevista dalla L. n. 482 del 1968, con la precisazione che il personale da assumere con la qualifica di guardia di fuochi avrebbe dovuto possedere i requisiti di cui all’ordinanza 3/77 dell’Autorità Marittima di Milazzo, laddove in primo grado aveva sostenuto il difetto della richiesta L. n. 482 del 1968, ex art. 16.

Con il settimo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione, sostenendo che: a) la motivazione della sentenza impugnata era contraddittoria laddove, dopo essere stata affermata la legittimità dell’atto di avviamento, era stata poi ritenuta la sua sostanziale illegittimità affermando che non potevano ricadere sulla parte datoriale “eventuali disfunzioni” dell’Ufficio di collocamento; b) non era stato dato seguito alle argomentazioni svolte nelle note difensive autorizzate relative alla sua collocabilità nella categoria amministrativa; c) non era stata valutata la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale date per provate le asserzioni della Nettunia srl in ordine all’organico aziendale; d) non aveva trovato riscontro la eccepita violazione dell’art. 2103 c.c., in ordine alla sua possibile collocazione nell’ambito aziendale anche mediante redistribuzione degli incarichi ovvero attraverso l’individuazione di mansioni compatibili; e) non era stata data contezza della valutazione delle fonti di prova che avevano formato il convincimento del Giudicante, emergendo dalla lettura del fascicolo di causa l’esatto contrario di quanto sostenuto; f) la sentenza impugnata risultava viziata dalle stesse carenze motivazionali della sentenza di prime cure in ordine alle questioni concernenti l’impossibilità di inserimento nell’organizzazione aziendale, la valenza delle affermazione della parte datoriale in ordine alla necessità della qualifica di guardie ai fuochi, la non esigibilità di una redistribuzione degli incarichi, l’implicita inversione dell’onere della prova in ordine alla collocabilità; g) l’osservazione secondo cui esso ricorrente non era invalido ma appartenente alla categoria degli “orfani” era irrilevante; h) difettava la prova in ordine all’assunto, peraltro tardivamente introdotto, circa l’avvenuta richiesta di avviamento di guardie ai fuochi munite di certificato di iscrizione nell’apposito registro.

2. La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che, in tema di collocamento obbligatorio, il datore di lavoro può ritenersi svincolato dall’obbligo di assunzione dell’invalido, avviato ai sensi della L. n. 482 del 1968, solo quando si riscontri l’assoluta impossibilità di un collocamento non pregiudizievole per l’invalido stesso, per i compagni di lavoro e per la sicurezza degli impianti, ovvero quando l’invalido non sia assolutamente collocabile in ragione della sua minorazione in alcun settore dell’azienda, anche accessorio o collaterale (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 8374/2004;

12516/1998), dovendo la relativa prova essere fornita dal datore di lavoro (cfr, ex plurimis, Cass. n. 5749/1997). Al contempo è stato ritenuto che la tutela dell’invalido non può spingersi sino a garantirgli l’obbligatorietà dell’assunzione anche a fronte di assetti organizzativi aziendali caratterizzati da una situazione di oggettiva ed assoluta incompatibilità con la sua qualificazione professionale e con le sue menomazioni (cfr, Cass., n. 11681/1995) e che il datore di lavoro non è tenuto a modificare o adeguare, sostenendo costi aggiuntivi, la sua organizzazione aziendale alle condizioni di salute del lavoratore protetto, nè in particolare, a creare per lui un nuovo posto di lavoro, anche concentrando in una sola unità mansioni non difficoltose già facenti parte, con altre più complesse, dei compiti degli altri lavoratori (cfr, Cass. n. 13960/2002); pertanto, in linea generale, il datore di lavoro non può ritenersi tenuto nè a modificare l’assetto aziendale dell’impresa, nè a creare appositamente un fittizio posto di lavoro, e può giustificatamente rifiutare l’assunzione ove dimostri l’impossibilità assoluta di collocamento impregiudizievole per l’invalido stesso, per i suoi compagni di lavoro e per la sicurezza delle attrezzature aziendali, tenendo conto di tutte le posizioni di;

lavoro in concreto esistenti nell’intera azienda e non già con riferimento soltanto a singoli o determinati settori o reparti di essa (cfr, Cass. n. 58/1987).

Tali principi, enunciati in relazione all’avviamento al lavoro degli i “invalidi”, devono ritenersi applicabili anche in relazione all’avviamento al lavoro degli “orfani”, riguardo ai quali neppure sussiste l’obbligo di adibizione a mansioni compatibili con le condizioni fisiche, posto che la speciale tutela apprestata a loro favore non è riconducibile a queste ultime, ma ad ostacoli e limitazioni di carattere sociale (cfr, Cass., nn. 4608/1986;

4979/1987).

Ne discende, pertanto, che, in relazione alla categoria degli “orfani”, non viene in rilievo l’eventuale incidenza delle menomazioni, siccome non sussistenti, ma soltanto la compatibilità o meno dell’avviato al lavoro con gli assetti organizzativi aziendali.

Nella fattispecie all’esame la ritenuta necessità, al fine dell’inserimento nella struttura aziendale, del possesso della specifica qualificazione professionale di guardia a fuochi integra sicuramente un requisito inerente alla concreta collocabilità del lavoratore avviato, trattandosi di autorizzazione richiesta, per motivi di sicurezza, per l’espletamento dell’attività esercitata dall’impresa. Deve ancora rilevarsi che, dalla stessa formulazione dei motivi di ricorso per cassazione, emerge che la eventuale collocabilità del F. nella categoria amministrativa era stata sollevata soltanto nelle note difensive autorizzate in grado d’appello, venendo così a costituire la formulazione di una domanda nuova rispetto a quella, svolta con il ricorso introduttivo di primo grado, di assunzione con le mansioni di operaio o ausiliario; e, del resto, sulla base dell’accertamento in fatto contenuto nella sentenza della Corte territoriale, secondo cui la Nettunia srl aveva richiesto all’UPLMO l’avviamento di guardie ai fuochi muniti di certificato di iscrizione nell’apposito registro, si ricava che detta richiesta era stata svolta con riferimento alla categoria operaia e non impiegatizia. Un tanto premesso, e rilevato che la Corte territoriale ha accertato, sempre in punto di fatto, che la Nettunia srl si occupa solo della vigilanza e dello spegnimento degli incendi a bordo delle navi, che a tal fine si avvale di personale munito delle prescritte autorizzazioni alla qualifica di guardie ai fuochi, che il F. non ne era in possesso e che pertanto la sua assunzione avrebbe comportato la creazione di una mansione non prevista in organico, deve ritenersi l’insussistenza dei vizi denunciati con i primi tre motivi di ricorso; dal che discende anche l’infondatezza del quinto motivo, essendosi la Corte territoriale, con i testè ricordati rilievi, pronunciata sulle relative doglianze svolte in grado d’appello.

3. Parimenti infondato risulta altresì il quarto motivo.

La Corte territoriale ha espressamente ribadito la legittimità dell’atto di avviamento al lavoro e ha solo rilevato, con affermazione che costituisce sostanzialmente un obiter dictum, non essendosene tratta alcuna decisiva conseguenza, che l’Ufficio di Collocamento avrebbe dovuto diversamente avviare il F. (ossia in un’impresa dove non sussisteva una sua ragione di incollocabilltà) senza che da ciò sia stata fatta però discendere una specifica censura di illegittimità dell’atto di avviamento; deve quindi escludersi la sussistenza del lamentato vizio di violazione del giudicato interno in ordine alla legittimità di tale atto.

4. Già con la memoria difensiva di primo grado (di cui questa Corte ha potuto avere diretta cognizione, essendo stato dedotto un error in procedendo) la Nettunia srl aveva eccepito che, anche nella ipotesi in cui la denuncia semestrale fosse stata considerata quale richiesta di avviamento, l’UPLMO non avrebbe potuto…avviare al lavoro presso la Nettunia lavoratori che rivestono qualifica diversa da quella di guardia ai fuochi (risultando inoltre dalla sentenza di prime cure, che vi fa espresso riferimento, l’avvenuta acquisizione al giudizio della suddetta denuncia).

In tale affermazione è evidentemente già contenuta l’eccezione di incollocabilità del F. (proprio perchè non in possesso della necessaria autorizzazione), cosicchè deve ritenersi insussistente la dedotta violazione dell’art. 345 c.p.c., e del principio del contraddittorio; anche il sesto motivo di ricorso è pertanto infondato.

5. In ordine al settimo articolato motivo di ricorso deve rilevarsi quanto segue.

5.1. La prima doglianza ripropone sostanzialmente la censura svolta, infondatamente, con il quarto motivo; la seconda prospetta un vizio di motivazione affatto insussistente, siccome connesso a domanda che, come già rilevato, era stata svolta tardivamente ed era quindi inammissibile.

5.2. La terza, quarta, quinta e sesta doglianze sostanzialmente ripropongono, sotto lo specifico aspetto del vizio di motivazione, le censure già svolte con i primi tre motivi di ricorso. Al riguardo deve osservarsi che, giusta il consolidato insegnamento di questa Corte, il ricorrente per cassazione che lamenti un vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata è tenuto ad indicare quali sono i vizi e le contraddizioni nel ragionamento del Giudice di merito che non consentono l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione e non può limitarsi a sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice di merito, poichè il Giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale e di sostituire una propria valutazione a quella data dal Giudice di merito, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte da quel Giudice (cfr, ex plurimis, Cass. nn. 27464/2006; 8718/2005; 12467/2003).

Ed invero la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al Giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, in quanto è del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa; ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del Giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione; pertanto le censure concernenti vizi di motivazione devono indicare quali siano i vizi logici del ragionamento decisorio e non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal Giudice di merito.

La Corte territoriale, con motivazione congrua e immune da vizi logici, ha messo in rilievo che l’obbligo di assunzione è collegato alla possibilità di utilizzare l’avviato in una delle mansioni compatibili con le sue condizioni e con quelle esistenti nell’azienda ed ha accertato in fatto la specifica natura dell’attività svolta dalla ******à, la necessaria utilizzazione di personale munito della richiesta autorizzazione, l’impossidenza da parte del F. di detta autorizzazione, l’impossibilità di utilizzo del medesimo in diverse mansioni per l’insussistenza delle medesime nell’ambito della struttura aziendale.

Trattasi all’evidenza di accertamenti di fatto, collegati fra loro da un coerente percorso argomentativo, che, come tali, in difetto di qualsivoglia mancata vantazione di aspetti essenziali ai fini del decidere, non possono essere oggetto di riesame da parte di questo Giudice di legittimità; nè, d’altro canto, il ricorrente ha indicato quali elementi probatori, di carattere decisivo e contrario, la Corte territoriale avrebbe omesso di prendere in considerazione;

dal che discende l’infondatezza anche dei profili di doglianza all’esame.

5.3 La settima doglianza è inammissibile per difetto di interesse, concernendo l’accertamento fattuale di una circostanza (l’appartenenza del F. alla categoria degli “orfani”) del tutto pacifica.

5.4. L’ottava doglianza ripropone, sotto il profilo del difetto di prova, la questione già denunciata con il sesto motivo di ricorso.

Richiamando quanto già considerato al riguardo, deve osservarsi che anche in questo caso il ricorrente, a fronte dell’accertamento fattuale svolto nella sentenza impugnata (secondo cui era risultato che era stato richiesto all’UPLMO di avviare guardie ai fuochi muniti di iscrizione nell’apposito registro), pretende un rilettura delle risultanze probatorie inammissibile in sede di legittimità. 5.5. Anche il settimo motivo di ricorso, nei distinti profili in cui si articola, va quindi disatteso.

6. In definitiva, sulla scorta delle considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato.

Tenuto conto della peculiarità fattuale della controversia all’esame e della condizione delle parti, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese afferenti al presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Redazione