Corte di Cassazione Civile Sezione lavoro 29/4/2009 n. 10005; Pres. Ianniruberto G.

Redazione 29/04/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Salerno P.R. riferiva che in data 13 luglio 2003 era stata licenziata dalla s.p.a Campolongo Hospital, presso la quale aveva prestato la sua opera quale addetta al servizio cucina, senza alcuna motivazione. Chiedeva, pertanto, che venisse dichiarata la illegittimità, nullità od inefficacia del licenziamento, con le conseguenze di carattere risarcitorio, per inosservanza della L. n. 223 del 1991, ovvero dell’art. 2112 c.c..

Precisava, infatti, che alla sua richiesta di motivazione del recesso, aveva ricevuto dalla società un invito a riscuotere il t.f.r. con la sottoscrizione di un verbale di transazione, dato che poi sarebbe stata assunta dalla Onama s.p.a., azienda alla quale era stato ceduto l’appalto il ramo di servizio relativo alla ristorazione e che, in base ad accordo sindacale, si era impegnata ad assumere i lavoratori già addetti alla cucina della società cedente.

La Campolongo Hospital si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale dichiarava inefficace il licenziamento in questione e condannava la datrice di lavoro all’indennità risarcitoria dalla data del recesso alla reintegra.

La Corte di appello di Salerno, adita a seguito di gravame della società, rigettava l’impugnazione e compensava le spese del giudizio. Per quanto rileva ai fini del presente giudizio quella Corte, pur dando atto che non era sindacabile la scelta dell’appellante di cedere un ramo di azienda, non per questo il datore era dispensato dall’osservanza delle regole di procedimento, rilevava, comunque, che, nella specie, non si era avuta quella vicenda successoria, in quanto si era avuta una c.d. esternalizzazione dei servizi, integrante una cessione dei contratti di lavoro, per il perfezionamento dei quali era necessario il consenso dei lavoratori.

Aggiungeva, poi, che, pur a voler ammettere che si era avuto un trasferimento di ramo d’azienda, non per questo era consentito procedere al licenziamento dei lavoratori, con successiva loro assunzione da parte della Onama s.p.a., nella misura in cui in tal modo, operandosi una interruzione del rapporto, i lavoratori stessi vedevano compromessi alcuni diritti che, in caso di continuazione del rapporto, avrebbero conservato; che, da ultimo, il licenziamento di più di cinque dipendenti avrebbe comportato l’obbligo di attivare la procedura di cui alla L. n. 223 del 1991.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Campolongo Hospital s.p.a. con cinque motivi, illustrati da memoria.

La P. non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo – denunziando violazione degli artt. 112, 434 e 437 c.p.c., sostiene la ricorrente che nella sentenza impugnata è stata negata l’esistenza di un trasferimento d’azienda, per affermarsi che, nella specie, si sarebbe configurata una mera cessione dei contratti di lavoro, nonostante che sul punto la sentenza di primo grado avesse ravvisato il fenomeno previsto dall’art. 2112 c.c. e nulla sia stato dedotto in contrario dalla parte appellata.

Con il secondo motivo la società critica la sentenza impugnata per violazione dell’ari. 2112 c.c. per aver ritenuto che tale fattispecie richieda che l’oggetto della cessione sarebbe "estraneo alle competenze di base della struttura sanitaria", escludendo, pertanto in maniera erronea che la normativa richiamata possa essere invocata allorquando l’attività ceduta sia accessoria o secondaria.

Con il terzo motivo viene denunziata la violazione o falsa applicazione degli artt. 2112 e 2103 c.c.. Sostiene la Campolongo Hospital di non essere tenuta alla reintegra della P., in quanto con la cessione del ramo d’azienda il posto di lavoro "era nella disponibilità" della cessionaria, che, ripetutamente, aveva invitato la lavoratrice a prendere servizio alle sue dipendenze.

Erronea sarebbe pertanto la decisione impugnata nella parte in cui argomenta che la società avrebbe dovuto dimostrare di non poter reperire presso la propria organizzazione un posto di lavoro diverso.

Con il quarto motivo, nel denunziare violazione o falsa applicazione degli artt. 2112, 1362 e 1363 c.c., sostiene la ricorrente che nella specie non si è avuto un licenziamento "in senso tecnico", trattandosi di "un recesso senza perdita del posto di lavoro", come dimostrato dal fatto che, risolto il rapporto in data (OMISSIS), il nuovo rapporto sarebbe iniziato il giorno successivo, così come si è verificato per tutti gli altri lavoratori addetti al servizio cucina, d’altra parte dalla lettura degli accordi intercorsi con le organizzazioni sindacali emergeva chiaramente la volontà di far proseguire i rapporti senza soluzione di continuità, con la conseguenza che – pur in presenza di un recesso e di una nuova assunzione dal cessionario -il rapporto si configurava come unico ed ininterrotto.

Con l’ultimo motivo la sentenza impugnata è criticata per vizi di motivazione, in quanto non avrebbe correttamente interpretato l’accordo sindacale del 24 giugno 2003 concluso in conformità della L. n. 428 del 1990, art. 47, – e quindi nel rispetto delle procedure prescritte – mentre priva di motivazione è l’argomentazione relativa all’applicabilità della L. n. 223 del 1991, perchè non si è avuta alcuna riduzione del personale.

I primi quattro motivi si concludono con altrettanti quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

Nel procedere all’esame del ricorso è il caso di premettere – come emerge dalla narrativa – che la sentenza impugnata si fonda su una pluralità motivi, ognuno dei quali idoneo a sorreggere la decisione finale.

La Corte ritiene di dover esaminare la questione dell’applicabilità della L. n. 223 del 1991, costituendo la relativa argomentazione uno dei motivi utilizzati dalla Corte di appello per confermare la decisione del Tribunale.

Orbene, in punto di fatto non risulta controverso quanto si legge nella sentenza impugnata, che cioè il licenziamento che ha riguardato la P., ha interessato altri quindici dipendenti, donde la conseguenza che, ai sensi dell’art. 24 della legge citata, andava osservata la procedura prevista dall’art. 4 della stessa legge, il che nella specie non era avvenuto.

Per contrastare l’applicabilità della disciplina ora richiamata la ricorrente sostiene, con l’ultimo motivo, che non si è avuta alcuna riduzione di personale e che – come argomenta con il quarto motivo – si sarebbe trattato di un "recesso atecnico" perchè "non vi è stata perdita del posto di lavoro", essendo prevista una immediata assunzione da parte della società cessionaria.

E’ il caso di premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il trasferimento d’azienda in linea di principio non può essere addotto come causa giustificatrice del licenziamento, ma ciò non esclude che il cedente in vista dell’evento traslativo possa recedere, sia pure eventualmente in maniera illegittima, dal rapporto (cfr., tra le più recenti, Cass. 16 maggio 2006 n. 11424, 11 giugno 2008 n. 15495). Nella specie, come ancora una volta emerge dalla sentenza impugnata, la stessa ricorrente ha argomentato di aver risolto alcuni rapporti di lavoro, avendo concluso un accordo con le organizzazioni sindacali in vista dell’affidamento del servizio cucina alla Onama s.p.a., con la previsione che i lavoratori interessati avrebbero dovuto sottoscrivere un verbale di conciliazione con la cedente, per poi essere assunti ex novo dalla cessionaria. Evidente, dunque, che l’esistenza di una vera e propria risoluzione del rapporto è stata espressamente dedotta dalla Campolongo Hospital, per cui non è dato comprendere come tale evento – sia pure nel contesto descritto e con la prospettiva di una nuova assunzione – possa essere qualificato diversamente da un licenziamento. In questa situazione, trattandosi di una risoluzione che ha interessato più di cinque dipendenti, andava osservata la procedura descritta dalla L. n. 223, art. 4, che non poteva essere sostituita dall’accordo sindacale, del quale si è fatto cenno.

Correttamente, quindi, i giudici del merito hanno dichiarato inefficace il licenziamento della P..

In relazione alla fattispecie esaminata può dunque affermarsi il seguente principio di diritto:

il trasferimento d’azienda (o di un suo ramo) non costituisce giustificato motivo di licenziamento e qualora il cedente adotti siffatta misura risolutiva e convenga con le organizzazioni sindacali le modalità di assunzione da parte dell’acquirente dei lavoratori licenziati, ricorrendo i presupposti di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 24, deve essere comunque seguita la procedura prevista dall’art. 4 della stessa legge.

Con la soluzione accolta, si deve ritenere giuridicamente corretta una delle motivazioni poste a fondamento della sentenza impugnata, idonea a sorreggere la decisione, non occorre procedere all’esame degli altri motivi. Il ricorso pertanto va rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non avendo la parte intimata svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso.

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